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— Salve, Miri. — Aveva una voce profonda, un po’ roca. A Miri piaceva quella caratteristica. Non sapeva, però, perché.

— D-d-david, v-v-voglio c-c-chiederti una c-c-cosa.

Lui guardò leggermente oltre Miri, fissando l’ologramma CAD. — Cosa?

Lei non aveva alcuna difficoltà a essere diretta: per tutta la sua vita, il problema nella comunicazione era venuto dalla difficoltà fisica e dalla esagerata semplicità del linguaggio rispetto all’enorme complessità dei suoi pensieri. Era abituata a semplificare il più possibile le cose per i Normali. Quella, poi, era anche una cosa semplice: sembrava adeguarsi perfettamente, quasi come nessun’altra, alle limitazioni del linguaggio.

— V-v-vuoi f-fare s-s-sesso con m-m-me?

David si raddrizzò. Le guance gli si colorirono. Continuò a guardare oltre di lei. — Mi dispiace, Miri, ma non è possibile.

— P-p-perché n-no?

— Ho già un’amica.

— C-c-hi?

— Non pensi che siano affari miei?

Si stava comportando freddamente, Miri non capiva il perché. Un’informazione non commerciale era di uso comune, e quale altra informazione poteva essere più pubblica? Lei era abituata a ottenere risposte alle proprie domande. In caso contrario, era abituata a indagare sul perché non poteva averne. — P-p-perché non mi d-d-dici c-c-chi è?

David si chinò più vicino allo schermo in modo ostentato. La sua bella bocca si irrigidì. — Penso che la conversazione sia terminata, Miri.

— P-p-erché?

Lui non le rispose. Le stringhe dei pensieri si aggrovigliarono improvvisamente, serrandolesi attorno come un cappio. — P-p-p-erché sono o-o-orribile? Perché t-t-tremo?

— Ho detto che non avevo altro da aggiungere! — La frustrazione, l’imbarazzo oppure la rabbia sopraffecero la cortesia, e alla fine, lui la fissò direttamente in volto prima di andarsene. Miri riconobbe lo sguardo: lo aveva colto spesso sul volto di sua madre, prima che Hermione si voltasse ad armeggiare con uno schermo, una tazza di caffè o qualsiasi cosa avesse a portata di mano. Miri capì anche che era lei il motivo della frustrazione, dell’imbarazzo o della rabbia e che lei, in qualche modo, aveva contribuito a sufficienza per giustificare la scortesia. Lui non la voleva, e lei non aveva alcun diritto di insistere… ma tutto ciò che aveva desiderato erano risposte. Incalzandolo, aveva soltanto umiliato se stessa. Lui non la voleva. Miri tremava, aveva una testa troppo grossa, balbettava e non era carina come Joan. Nessun Normale l’avrebbe voluta.

Tornò al proprio laboratorio camminando attentamente, come se fosse un composto chimico da non agitare. Seduta davanti alla scrivania, serrò nuovamente le mani, tremanti, frementi, e cercò di calmarsi. Di pensare. Di costruire ordinatamente reti equilibrate di pensiero che potessero contenere tutto ciò che era utile al problema, tutto ciò che era rilevante, intellettualmente, emotivamente, biochimicamente, tutto ciò che era produttivo. Dopo venti minuti, si alzò un’altra volta e lasciò il laboratorio.

Nikos Demetrios, il gemello di Christina, era affascinato dal denaro. Una volta aveva detto a Miri che il suo flusso internazionale, le fluttuazioni, gli usi, i cambi, il simbolismo erano tutti più complessi di qualsiasi schema geologico naturale sulla Terra ed esattamente altrettanto utili per la sopravvivenza biologica, oltre che essere più interessanti. A quattordici anni, aveva già dato suggerimenti sul commercio internazionale agli adulti Normali che ricoprivano importanti posizioni alla Borsa del Rifugio. Loro avevano accolto i suoi suggerimenti su opportunità di investimento in tutto il mondo: una nuova tecnologia per l’individuazione di correnti eoliche in sviluppo a Seul, un’applicazione di anticorpi catalitici brevettata a Parigi, l’embrionica industria aerospaziale marocchina. Miri lo trovò nella centrale comunicazioni nel suo piccolo ufficio circondato di schermi dati.

— N-n-n-nikos…

— S-salve, M-m-miri.

— V-v-vuoi fare s-s-sesso con m-m-me?

Nikos la fissò. Un colore a chiazze gli salì dal collo alla fronte. Miri capì che, come David Aronson, anche Nikos era imbarazzato ma, a differenza di David, non lo sembrava per il modo diretto in cui gli aveva posto la domanda. Lei riusci a pensare a un solo altro motivo che lo imbarazzasse. Si voltò e caracollò fuori dall’ufficio.

Nikos gridò: — A-a-aspetta, M-miri! — La sua voce sembrava realmente dispiaciuta: erano stati compagni di gioco per tutta la vita. Nikos non riusciva a coordinare i suoi movimenti come lei: lo distanziò facilmente.

Tornata nel laboratorio, porta serrata e segnale AMBIENTE STERILE attivato, Miri si sedette, costringendosi a forza a non piangere. Sua nonna aveva avuto ragione. C’erano dure necessità da affrontare. Non si piangeva.

Dopo quel giorno, si comportò in modo cortese ma distaccato con Nikos che non sembrò proprio sapere cosa farci. Alla fine lo vide con una Normale, una graziosa quattordicenne di nome Patrizia, che sembrava affascinata dall’abilità di Nikos con il denaro. Miri non aveva mai parlato molto con Christina: da quel momento le parlò meno. David non lo vide più. Con Tony restò la stessa di sempre: lui era il suo compagno di lavoro, amico, amato confidente. Suo fratello. A quel punto c’era soltanto quell’area a cui le confidenze non si estendevano, tutto lì. Non era importante. Non avrebbe permesso che fosse importante. Dura necessità.

Due settimane dopo, Miri riprese a guardare gli olocanali terrestri, ma solo quelli del sesso. Ce n’erano moltissimi. Ne trovò uno che le piaceva, tolse tutte le impronte di retina tranne la propria dalla programmazione della porta del laboratorio e imparò a masturbarsi in modo soddisfacente. Lo faceva due volte al giorno, essendo le sue risposte neurochimiche potenziate in quel campo come in ogni altro. Non si concesse mai di pensare a Tony mentre lo faceva, e Tony non le chiese mai perché non potesse più entrare nel suo laboratorio senza essere annunciato. Non ce n’era bisogno. Lo sapeva. Era suo fratello.

Sedendosi sulla poltrona che Drew le aveva indicato, a Leisha passò per la mente uno strano pensiero: "Vorrei essere una fumatrice". Ricordò suo padre che fumava, che allungava una mano per prendere il portasigarette d’oro con monogramma inciso, che, dell’accensione della sigaretta, faceva un rituale. Gli si socchiudevano gli occhi, e le guance gli si incavavano per la prima lunga boccata. Roger aveva sempre detto che lo rilassava. Anche allora Leisha aveva saputo che stava mentendo: lo rivitalizzava.

Che cosa desiderava, lei, in quel momento: tranquillità o rivitalizzazione? Le sembrava di avere bisogno di entrambe le cose e aveva la sensazione che quello che Drew le avrebbe offerto non le avrebbe fornito nessuna delle due.

Drew aveva insistito perché lei fosse la prima e perché fosse sola. — Una nuova forma di arte, Leisha — le aveva detto con quella peculiare intensità che lo aveva contraddistinto dal giorno dell’illegale esperimento di Eric. Drew era sempre stato intenso, ma quella era un’altra cosa. Guardò Leisha da sotto le folte ciglia scure, e la donna provò paura per lui. Dunque, era quello che si sentiva a essere un genitore: la paura che il proprio figlio non riuscisse a ottenere ciò su cui aveva lasciato il cuore. Paura che lui fallisse e che si sarebbe sentito più dolore per lui di quanto non se ne fosse mai provato per i propri fallimenti. Come aveva fatto a sopportarlo Alice? Come aveva fatto Stella?

Ma non Roger. Lui era stato sicuro, fin dall’inizio, che sua figlia non avrebbe fallito. "Sorpresa, Papà. Guardami adesso" in ozio astioso nel deserto da vent’anni, un Achille il cui Agamennone stava combattendo la propria stupida guerra, mentre Leisha allevava un figlio il cui talento principale era la piccola criminalità e che non era, in effetti, nemmeno suo.

Disse a Drew con una certa scortesia: — Dovresti sapere che non sono mai stata particolarmente sensibile verso l’arte, in alcuna forma. Forse qualcun altro…