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— Ho seguito la tua carriera sulle olotrasmissioni. Hai avuto un grande successo e siamo orgogliosi di te.

Una luce si accese nello sguardo di lui. — Hai guardato una rappresentazione olovisiva?

— No, non una rappresentazione. Solo le critiche, le lodi…

La luce si spense, ma il sorriso di Drew era ancora caldo. — Non importa, Leisha. Sapevo che non avresti potuto guardarla.

— Voluto — precisò lei prima di riuscire a fermarsi.

Drew le sorrise. — No… potuto. Non importa. Anche se non mi lascerai più metterti in stato di sogno lucido, rappresenti ancora la singola e più importante influenza sul mio lavoro che possa mai avere.

Leisha aprì la bocca per ribattere, al sentimento, all’acuto dolore dietro al sentimento, alla cocciuta ambivalenza dietro tutt’e due le cose, ma prima di riuscire a parlare Drew aggiunse: — Ho portato qualcuno con me per il funerale di Alice.

— Chi?

— Kevin Baker,

L’imbarazzo di Leisha scomparve. Drew poteva ancora confonderla, quel figlio che non aveva partorito e che era divenuto qualcosa che lei non riusciva né ad affrontare né a comprendere, ma Kevin rappresentava un elemento noto. Lo conosceva da sessant’anni: da prima che fosse nato il padre di Drew.

— Perché è qui?

— Perché non glielo chiedi direttamente? — replicò brevemente Drew, e Leisha capì che Drew aveva scoperto, da Kevin, dalle banche dati o da qualche altra fonte, tutto ciò che era successo fra lei e l’uomo. Sessant’anni che valevano tutto. Il tempo non faceva altro che accumularsi, pensò Leisha. Come la polvere.

— Dov’è adesso Kevin?

— Nel patio a nord. — Drew aggiunse alle spalle di lei, mentre la donna lasciava il cortile: — Leisha, un’altra cosa. Non sono cambiato. Rispetto a quello che voglio, intendo dire.

— Io non sono sicura di quello che tu vuoi — replicò lei, anche se lo sapeva e si rimproverò per la stupida codardia.

Drew fece un gesto di impazienza: quanti anni aveva esattamente ormai? Venticinque. — Non ti credo, Leisha. Io voglio quello che ho sempre voluto. Te e il Rifugio.

Quello la colse di sorpresa, quanto meno per metà. Il Rifugio. Era passato oltre un decennio dall’ultima volta che Drew l’aveva menzionato con lei. Leisha pensava che l’infantile sogno di rivincita, giustizia, conquista o qualsiasi cosa era fosse svanito molto tempo addietro. Drew era seduto sulla carrozzella, un uomo robusto a dispetto delle gambe menomate, e il suo sguardo non vacillò quando incrociò quello di lei. Il Rifugio.

Era ancora un bambino, a dispetto di tutto.

Lei si recò al patio nord. Kevin si trovava lì da solo, esaminando un sasso modellato dal vento del deserto in una forma allungata e affusolata che assomigliava a una lacrima in pietra. Vedendolo, Leisha si rese conto che non provava per lui più di quanto non avesse provato alla vista di Richard. L’età aveva ucciso il corpo di Alice: sembrava avere lavorato, invece, sul cuore di Leisha.

— Salve, Kevin.

Lui si voltò di scatto. - Leisha. Grazie per avermi invitato.

E così Drew gli aveva mentito. Non sembrava importante. — Sei il benvenuto.

— Volevo rendere l’ultimo omaggio ad Alice. — Si mostrava imbarazzato, e alla fine sorrise mestamente. — Gli Insonni non sono molto bravi in queste occasioni, vero? Riguardo alla morte, voglio dire. Non ci pensiamo mai.

— Io ci penso — rispose Leisha. — Vorresti vedere Alice, adesso?

— Dopo. Prima c’è una cosa che voglio dirti e non so se avrò un’altra opportunità. Il funerale è fra un’ora, no?

— Kevin, ascolta. Non voglio che tu ti scusi, mi dia spiegazioni o cerchi di ricostruire eventi passati da quarant’anni. Non adesso. Non voglio e basta.

— Non avevo intenzione di scusarmi — rispose lui, un po’ irrigidito, e Leisha ricordò improvvisamente se stessa che diceva a Susan Melling sul tetto di quella stessa casa: "Kevin non ritiene che ci sia niente da perdonare". — Quello di cui volevo parlarti riguarda un argomento del tutto differente. Mi dispiace tirarlo fuori prima del funerale ma, come ti ho già anticipato, potrebbe non esserci un altro momento. Drew ti ha detto che interessi curo per lui?

— Non sapevo che tu curassi alcun interesse per lui.

— A dire il vero, li gestisco interamente. Non le prenotazioni delle tournée, c’è un’agenzia che se ne occupa, ma i suoi investimenti, la sicurezza e così via. Lui…

— Immagino che il capitale di Drew sia decisamente ridotto rispetto a quello dei tuoi soliti clienti multinazionali.

— Lo è — rispose Kevin, senza presunzione — ma lo faccio per te. Indirettamente. Quello che volevo dirti, però, è che lui insiste che io assicuri i suoi investimenti esclusivamente in fondi o speculazioni gestite dal Rifugio.

— E allora?

— La maggior parte dei miei affari si svolge comunque con il Rifugio, ma in altri termini. Tratto sulla Terra quando loro non vogliono scendere giù e, in particolare, mi occupo della sicurezza delle loro transazioni qui. Ci sono ancora moltissime persone qui che odiano gli Insonni, a dispetto del clima sociale benevolo che viene pubblicizzato sugli olocanali. Saresti sorpresa di quanti sono.

— No. Non penso — ribatté Leisha. — Che cosa volevi dirmi?

— Questo: al Rifugio sta per accadere qualcosa. Non so di che si tratti ma mi trovo in una posizione unica per vedere le frange più esterne della loro programmazione per quello che è. Specialmente tramite i piccoli investimenti di Drew, perché lui li vuole il più vicino possibile al cuore del commercio del Rifugio; incidentalmente, loro non hanno mai concesso che fosse molto vicino e adesso si sta ulteriormente allontanando. Stanno liquidando tutto ciò che possono, convertendo investimenti non in crediti ma in equipaggiamento e in beni tangibili quali oro, programmi software, perfino oggetti artistici. Ecco che cosa ha segnalato immediatamente il mio programma-cane-da-guardia: non era mai esistito un Insonne che collezionasse seriamente opere d’arte. Semplicemente non ci interessano.

Era vero. Leisha corrugò la fronte.

Kevin continuò: — Così ho cercato di scavare, anche in aree di cui non mi occupo. La sicurezza è più difficile da superare di quanto non sia mai stata: devono avere alcuni ottimi maghi dell’informatica lassù, anche se non ne esistono documentazioni ufficiali da nessuna parte. Il Rifugio ha passato lo scorso anno a spostare gli investimenti che non ha liquidato in holding situate all’esterno degli Stati Uniti. Will Sandaleros ha acquistato una stazione orbitale giapponese, Kagura, vecchissima e con notevoli danni interni, usata soprattutto per esperimenti di riproduzione genetica su animali da carne alterati per il lussuoso commercio con le stazioni orbitali. Sandaleros l’ha comperata a nome delle Imprese Sharifi, non del Rifugio. Hanno agito in modo strano con la Kagura: hanno licenziato tutti gli addetti ma non ci sono tracce che indichino che abbiano portato via alcun animale. Nemmeno una singola capra resistente alle malattie. Hanno probabilmente inviato alcuni dei loro a occuparsi degli animali, ma non sono riuscito a mettere le mani su un singolo documento. Adesso, poi, stanno cominciando a ritirare tutte le persone che si trovano sulla Terra per riportarle al Rifugio. I ragazzini diplomandi, i dottori in internato, i collegamenti commerciali, perfino l’occasionale cuoco che si trova giù a bazzicare per i bassifondi. Stanno tornando tutti al Rifugio, uno o due alla volta, per non dare nell’occhio. Ma stanno tornando tutti indietro.

Leisha si incupì. — Cosa pensi che possa significare?

— Non lo so. — Kevin appoggiò la pietra scolpita dal vento. — Pensavo che tu potessi essere in grado di immaginarlo. Conoscevi Jennifer meglio di chiunque altro di noi che sia rimasto qui.

— Kev, non penso proprio di aver mai conosciuto qualcuno in vita mia. — Le scivolò semplicemente dalla bocca: non aveva avuto alcuna intenzione di dire nulla di così personale. Kevin sorrise a denti stretti.

Drew portò la carrozzella fino al patio. Aveva gli occhi rossi. — Leisha, ti vuole Stella.