Miri percorse nella navetta d’emergenza il breve tratto fino all’ospedale. I dottori trascinarono via velocemente Tony. Miri restò seduta, immobile, accecata, sollevando lo sguardo soltanto all’arrivo di sua madre.
— Dov’è! — gridò Hermione, e una piccola, crudele parte della mente di Miri si chiese se Hermione avrebbe finalmente guardato direttamente il figlio maschio più grande, ora che tutto ciò che valeva la pena guardare era sparito. Il sorriso di Tony. L’espressione dei suoi occhi. La sua voce che balbettava le sue parole. Le parole di Tony.
La scansione cerebrale mostrò un danno importante. Miracolosamente, tuttavia, la parte conscia era sopravvissuta. Le medicine che intorpidivano il suo dolore intorpidivano anche ciò che lo rendeva Tony, ma Miri sapeva che lui era ancora lì, da qualche parte. Rimase seduta accanto al fratello, tenendogli la mano afflosciata, un’ora dopo l’altra. La gente andava e veniva attorno a lei, ma lei non parlò con nessuno, non guardò nessuno.
Alla fine, il dottore portò una sedia accanto alla sua e le appoggiò una mano sulla spalla. — Miranda.
Le palpebre di Tony tremolavano di più in quel momento: lei lo fissò con attenzione.
— Miranda. Ascoltami. — Le prese dolcemente il mento con una mano e le voltò il viso verso il proprio. — Ci sono danni al sistema nervoso al di là di quello che si può rigenerare. Potrebbe esserci… non siamo sicuri di ciò che abbiamo davanti. Non abbiamo mai visto questa tipologia di danno.
— N-n-n-nemmeno su T-tabitha S-s-selenski? — disse lei amaramente.
— No. Questa è una cosa differente. Le scansioni Mallory di Tony mostrano un’attività cerebrale altamente aberrante. Tuo fratello è vivo, ma ha subito un danno importante e irreparabile alla zona pontina cerebrale, inclusi i nuclei del rafe e le strutture collegate. Miranda, tu sai cosa significhi, sei una ricercatrice in questo campo, ho qui i risultati delle analisi da farti vedere…
— N-n-non v-v-voglio vv-v-vederli!
— Sì — insistette il dottore. — Devi. Sharifi, veda di parlarle.
Il padre di Miri si chinò su di lei. Non si era accorta che fosse lì. — Miri…
— N-n-n-non farlo! Nn-n-no p-p-papà! N-n-non a T-t-tony!
Ricky Keller non finse di non capire a cosa alludesse. Né finse di possedere una forza che Miri sapeva, fra le caotiche e orrende stringhe della sua testa, che lui non possedeva. Ricky guardò il figlio ferito, quindi Miri, e lentamente, con le spalle incurvate, lasciò la stanza.
— A-a-a-andate f-f-fuori! — gridò Miri al dottore, alle infermiere, alla madre che era la più vicina alla porta. Hermione fece un breve gesto con una mano e la lasciarono tutti con Tony.
— N-n-no — sussurrò lei a Tony. La mano di lei si serrò convulsamente a quella del fratello. — N-n-n-non… — Le parole non volevano uscire. Soltanto pensieri e non in stringhe complesse: nella diritta e lineare ristrettezza della paura.
"Non glielo permetterò. Combatterò con tutti i mezzi che ho. Io sono forte come loro, più intelligente, noi siamo Super, combatterò per te; non glielo permetterò; non mi possono impedire di proteggerti; nessuno mi può fermare".
Jennifer Sharifi era in piedi accanto alla porta.
— Miranda.
Miri si spostò attorno al fondo del letto, portandosi fra la nonna e Tony. Si mosse lentamente, deliberatamente, non staccando mai gli occhi da Jennifer.
— Miranda. Sta soffrendo.
— La v-v-vita è d-d-dolore — rispose Miri, e non riconobbe la propria voce, — D-d-dura n-n-necessità. M-m-me lo hai i-i-insegnato t-t-tu.
— Non guarirà.
— N-n-non puoi s-s-saperlo! N-n-non ancora!
— Possiamo esserne abbastanza certi. — Jennifer si portò velocemente in avanti. Miri non aveva mai visto la nonna muoversi tanto in fretta. — Non pensi che sia addolorata come te? È mio nipote! Ed è un Super, uno dei pochi e preziosi che abbiamo, che nel giro di qualche decennio saranno ciò che farà la differenza per noi, quando ne avremo maggiormente bisogno, quando avremo sempre meno risorse da estrarre dalla Terra e dovremo inventarne di nostre, traendole da fonti che ora non ci sogneremmo nemmeno. Risorse nostre, un’adattabilità modificata geneticamente e una tecnologia per lasciare questo sistema solare e colonizzare un luogo finalmente sicuro per noi. Avevamo bisogno di Tony per questo, per le stelle: abbiamo bisogno di ognuno di voi! Non pensi che io soffra per la sua perdita con lo stesso tuo dolore?
— Se u-u-ucciderai T-t-t-t-t — non riuscì a tirar fuori le parole. Le parole più importanti che avesse mai detto, e non riusciva a tirarle fuori.
Jennifer continuò con espressione addolorata: — Nessuno ha il diritto di avanzare pretese sui forti e produttivi perché è debole e inutile. Porre un valore più alto nella debolezza piuttosto che nell’abilità è moralmente indecente.
Miri si scagliò contro la nonna. Puntò agli occhi, incurvando le unghie come artigli, sollevando il ginocchio per colpire nel modo più duro possibile il corpo di Jennifer. Jennifer gridò e cadde. Miri le si lanciò addosso e cercò di stringerle le mani tremanti e frementi attorno alla gola. Altre mani la afferrarono, la tirarono via da sua nonna, cercarono di bloccare le mani di Miri lungo i fianchi. Miri lottò, gridando: doveva gridare forte abbastanza perché Tony potesse sentirla, sapere ciò che stava accadendo, svegliarlo.
Tutto si fece nero.
Miri restò sotto l’effetto dei sedativi per tre giorni. Quando finalmente riprese conoscenza, trovò il padre seduto accanto al suo giaciglio, con le spalle incurvate e le mani che gli penzolavano fra le ginocchia. Le disse che Tony era morto per le ferite. Miri lo fissò, non disse nulla, quindi voltò la faccia verso il muro. La parete era di vecchia pietra spugnosa, macchiata di chiazze nere che potevano essere sporco, muffa oppure i negativi di piccole stelle in una galassia piatta, bidimensionale e morta.
Miri non volle lasciare il suo laboratorio, nemmeno per mangiare. Si bloccò dentro, e per due giorni digiunò. Gli adulti non erano in grado di superare la serratura di sicurezza, che aveva progettato Tony, ma non ci provarono neanche. Quanto meno, Miri non pensò che ci avessero provato: a lei non importava niente.
Sua madre iniziò un contatto tramite videotelefono. Miri scurì lo schermo e lei non ritentò. Suo padre provò svariate volte. Miri stette a sentire, pietrificata, quello che lui aveva da dire in modalità unidirezionale, così che lui non potesse né vederla né sentirla. Non c’era comunque nulla da sentire. Lei non rispose. Sua nonna non cercò nemmeno di chiamarla.
Rimase seduta in un angolo del laboratorio, sul pavimento, con le ginocchia tirate su fino al petto e le sottili braccia tremanti serrate attorno. Era pervasa dall’ira, tempeste di rabbia che periodicamente spazzavano via tutte le stringhe, tutti i pensieri, spazzavano vìa tutto ciò che fosse ordinato e complesso in torrenti di furia primitiva che non la spaventavano. Non c’era spazio per essere spaventati. La rabbia non lasciava spazio per altro eccetto che per un singolo pensiero, al limite di quello che era stato il suo precedente sé: "le ipermodificazioni agiscono sulle emozioni esattamente come sui processi corticali". Il pensiero non le sembrò interessante. Nulla sembrava essere interessante, a parte la furia per la morte di Tony.
L’assassinio di Tony.
Il terzo giorno, una comunicazione di emergenza a sovrapposizione accese tutti gli schermi del laboratorio, perfino quelli che non erano in grado di ricevere trasmissioni locali. Miri sollevò lo sguardo a pugni serrati. Gli adulti erano più bravi di quanto lei non avesse pensato se riuscivano a far fare al sistema informatico una cosa simile, se potevano sovrapporsi alla programmazione di Tony. Ma non erano capaci, nessuno era stato tanto bravo con i sistemi come Tony, nessuno. Tony…
— M-m-miri — disse il volto di Christina Demetrios — l-l-lasciaci entrare p-p-per f-f-favore. — E, quando Miri non rispose, aggiunse: — A-a-anche io l-l-lo a-a-a-mavo!