Jack ha detto: — E se qualcuno viene colpito? Volete che ci piombi addosso la polizia?
Eddie ha detto: — Io voglio cacciare i procioni come un "aristo". Non mi dare ordini, Jack.
— Benone — ha detto Jack. — Andate pure, voi. Io non dirò un’altra maledettissima parola.
Dopo dieci minuti di discussione siamo partiti a coppie in dieci linee diritte.
Io ero insieme con Doug Kane, il padre di Celie. Due vecchi, noi, lenti e zoppicanti. Doug però sapeva ancora bene come camminare nei boschi senza fare rumore. Alla mia destra ho sentito qualcuno che rideva e schiamazzava. Uno dei piccoli delinquenti. Dopo un po’ il suono è diminuito.
I boschi erano freschi e avevano un profumo dolciastro, così folti sopra le nostre teste che il terreno non mostrava un gran che di erba. Camminavamo su aghi di pino che mandavano su il loro odore di pulito. Betulle bianche, sottili come Lizzie, frusciavano. Sotto gli alberi il muschio cresceva verde scuro e nelle chiazze col sole si vedevano margherite, botton d’oro e fiori gialli. Un’allodola ha emesso un richiamo, il suono più tranquillo del mondo intero.
— Grazioso — ha detto Doug tanto piano che un coniglio a favore di vento non ha nemmeno girato le lunghe orecchie.
Verso mezzogiorno gli alberi si erano fatti più radi e il sottobosco più fitto. Ho sentito da qualche parte odore di more il che mi ha fatto pensare ad Annie. Ho calcolato che ci dovevamo essere allontanati almeno di otto chilometri da East Oleanta… Tutto quello che avevamo visto erano conigli, un cerbiatto e un casino di serpentelli innocui. Niente procioni. E ammazzare qualsiasi procione con la rabbia così lontano non sarebbe comunque servito a niente al paese. Era arrivato il momento di tornare indietro.
— Mi devo… sedere — ha detto Doug.
L’ho guardato e ho sentito la pelle gelarsi. Era pallido come la corteccia della betulla e aveva le palpebre che fremevano come due colibrì. Ha fatto cadere per terra il fucile ed è svenuto… quel vecchio pazzo aveva tolto la sicura. La pallottola si è però conficcata in un tronco. Doug si è stretto le mani sul petto ed è caduto piegandosi in due. Ero stato così impegnato a godermi l’aria e i fiori che non mi ero nemmeno accorto che gli stava venendo un attacco di cuore.
— Siediti! Siediti! — l’ho fatto sdraiare su un pezzo di terra tutto ricoperto di lucide foglie verdi. Doug si è steso su un fianco, respirando pesantemente. Batteva con la mano destra l’aria, ma io sapevo che non vedeva più niente con gli occhi. Erano sbarrati.
— Stai giù calmo, Doug. Non ti muovere! Io vado a chiamare aiuto, gli farò portare l’unità medica…
Poi il rumore del respiro si era fermato.
Ho pensato : "È andato". Il suo ossuto e vecchio petto però continuava ad alzarsi e abbassarsi, più tranquillo ora. Aveva gli occhi vitrei.
— Porterò l’unità medica! — ho detto un’altra volta, mi sono voltato e per poco non sono caduto. A non più di tre metri di distanza mi stava fissando un procione con la rabbia.
Una volta che hai visto un animale con la rabbia non te lo scordi più. Riuscivo a vedere le macchie separate di bava attorno alla bocca del procione. La luce del sole filtrava attraverso gli alberi e scintillava sulle chiazze come se erano di vetro. Il procione ha digrignato i denti, mi ha sibilato contro facendo un suono che non avevo mai sentito fare a un procione. Tremava sui posteriori. Era vicino alla fine.
Ho alzato il fucile di Doug sapendo che se mi stava per saltare addosso non avevo modo di potere essere veloce abbastanza.
Il procione si è contratto ed è balzato. Ho sollevato di scatto il fucile, ma non sono nemmeno riuscito a portarlo all’altezza della spalla. Un raggio di luce è partito da un qualche posto dietro di me solo che non era proprio luce ma un’altra cosa che sembrava luce. Il procione si è rovesciato indietro, si è bloccato ed è crollato a terra, morto.
Mi sono voltato, molto lentamente. Se avrei visto uno degli angeli di Annie non potevo rimanere più sorpreso.
C’era una ragazzina lì, bassa, con la testa grossa e i capelli scuri legati indietro con un nastro rosso. Aveva addosso degli abiti idioti per i boschi: pantaloncini bianchi, una sottile camicetta bianca, sandali aperti proprio come se non c’erano trappole per cervi, mosconi o serpenti. La ragazzina mi ha guardato con espressione seria. Un minuto dopo ha detto: — Si sente bene?
— Sì, signora. Ma Doug Kane, lì… penso che il cuore…
Lei si è avvicinata a Doug si è inginocchiata vicino a lui e gli ha preso il polso. Mi ha guardato. — Vorrei che lei facesse una cosa per me. Faccia cadere questo sul procione morto, proprio sopra al corpo. — Mi ha dato in mano un dischetto grigio grosso come una moneta. Io mi ricordo delle monete, io.
Ha continuato a guardarmi, senza nemmeno strizzare gli occhi e l’ho fatto anche io. Ho voltato le spalle a lei e a Doug e l’ho fatto. Perché? Mi ha chiesto in seguito Annie e io non ho saputo risponderle. Forse per gli occhi della ragazzina. Da Mulo e no.
Il dischetto grigio ha colpito il pelo umido del procione e ci si è fermato. Scintillava e in un secondo il procione si è trovato chiuso in un guscio trasparente che arrivava fino a terra e proseguiva per circa due centimetri e mezzo sotto al suolo. Forse energia-Y forse no. Una foglia è andata a sbattere contro il guscio ed è scivolata via. Ho toccato il guscio. Non so dove ho preso il coraggio. Era duro come pietra spugnosa.
Era fatto di nulla.
Quando mi sono voltato, la ragazzina si stava infilando qualcosa nella tasca dei pantaloncini e lo sguardo di Doug si stava facendo più chiaro. Ha boccheggiato, lui.
— Non lo faccia muovere ancora — mi ha detto la ragazza ancora senza sorridere. Non pareva proprio un tipo che sorrideva tanto. — Vada a cercare aiuto. Sarà al sicuro finché lei non tornerà indietro.
— Chi è lei, signora? — Le parole mi sono uscite fuori in un gemito. — Che cosa gli ha fatto?
— Gli ho dato una medicina. La stessa iniezione che gli avrebbe fatto l’unità medica. Ha bisogno di una barella per essere riportato in paese. Vada a chiamare aiuto, signor Washington.
Sono avanzato di un passo, io, verso di lei. Lei si è alzata. Non sembrava spaventata, ha solo continuato a fissarmi con quegli occhi senza sorriso. Dopo avere visto il procione mi è venuto in mente che forse anche lei aveva uno scudo. Non duro come quello del procione e forse nemmeno così distante dal suo corpo. Forse attaccato addosso come un guanto trasparente. Ecco perché se ne andava in giro nei boschi coi pantaloncini corti e sandaletti, perché non era tutta punzecchiata dai mosconi e perché non aveva paura di me.
Le ho detto: — Lei viene dall’Eden, vero? C’è davvero da qualche parte, in questi boschi, è davvero qui…
Lei ha mostrato una strana espressione sulla faccia. Non sapevo che cosa voleva dire e ho avuto l’impressione che per me era più facile immaginare che cosa pensava un procione con la rabbia che non quello che pensava la ragazzina.
— Vada a chiamare aiuto, signor Washington. Il suo amico ne ha bisogno. — Si è zittita, lei. — E la prego di dire ai suoi concittadini il meno possibile di quello che ha visto.
— Ma, signora…
— Uuuhhhhmmmm — si è lamentato Doug, non come se aveva dolore ma come se stava sognando.
Mi sono precipitato indietro a East Oleanta il più veloce possibile, ansimando finché non ho pensato che ci sarebbero stati due attacchi di cuore da curare per l’unità medica. Appena dietro alla pista degli scooter ho incontrato Jack Sawicki e Krystal Mandor, accaldati e sudati che stavano arrancando per tornare in paese. Gli ho detto del collasso del vecchio Kane. Mi hanno dovuto fare ricominciare tutto daccapo due volte. Jack è partito regolandosi con il sole. Forse è l’altro unico buon boscaiolo che abbiamo a East Oleanta. Krystal è corsa a cercare l’unità medica e altre persone. Io mi sono seduto per riprendere fiato. Il sole era cocente e accecante nel campo aperto, il lago scintillava oltre il paese e io non riuscivo a trovare un equilibrio in nessun posto della mia mente.