Ci riflettei. L’uomo mi riempiva di forme che non avevo provato da molto tempo: forme chiare e nitide, prive di implicazioni nascoste. Nulla a che vedere con le forme di Huevos Verdes.
Ovviamente, Maleck poteva essere completamente sincero e tuttavia venire usato.
Non so come il bicchiere di scotch, il quarto, era vuoto.
Maleck disse: — Se vuole ulteriore tempo per chiamare Huevos Verdes e ricevere istruzioni…
— No. — Abbassai la voce. — No. Andrò.
Il volto di Maleck mutò, si aprì, ringiovanendo di parecchi anni e risultando meno stanco di parecchie ore. (Una leggera pioggia pulente che cadeva sui cubi color azzurro.)
— Grazie — disse. — Non se ne pentirà. Ha la mia parola, signor Arlen.
Avrei scommesso qualsiasi cosa che lui, eminente Mulo, non aveva mai visto nessuno dei miei concerti.
Interruppi la comunicazione, ne inviai copie a Leisha, Kevin Baker, un fidato amico Mulo che avevo a Wichita. Il videotelefono squillò. Una volta. Ancora prima che rispondessi Nikos Demetrios apparve sul video. Non sprecò parole.
— Non andare con loro, Drew.
C’era un nuovo bicchiere di scotch nella mia mano. Era mezzo vuoto. — Era una chiamata schermata, Nick. Privata.
Lo ignorò. — Potrebbe essere una trappola, a dispetto di quello che dice Maleck. Potrebbero usarlo. Dovresti saperlo!
Dalla sua voce filtrava impazienza a dispetto di se stesso: lo stupido Dormiente aveva ancora una volta tralasciato l’evidente. Lo vidi come una sagoma scura con mille sfumature di grigio che dondolava in schemi indistinti che non avrei mai compreso.
— Nick, supponi che io voglia parlare a qualcuno in privato, qualcuno che io non voglio che tu stai a sentire, qualcuno che non fa parte, lui, di Huevos Verdes. Qualcun altro.
Nick mi fissò sbalordito. Fu a quel punto che mi sono accorto, io, di come stavo parlando. Linguaggio da Vivi. Avevo nuovamente il bicchiere vuoto. Il sistema dell’albergo disse cortesemente: "Mi scusi, signore. Ci sono due uomini che chiedono accesso alla sua suite. Gradisce un collegamento video?".
— Noo — dissi io. — Fai entrare gli uomini.
— Drew… — cominciò a dire Nick. Spensi la comunicazione. Non funzionò. Una specie di sovrapposizione da Super-Insonni. Ma non c’era niente che non potevano fare, loro?
— Drew! Ascolta, non puoi semplicemente… — staccai il terminale dall’unità di alimentazione a energia-Y.
Gli agenti dell’ECGS non sembravano agenti. Penso che non lo fanno mai, loro. Quarantina inoltrata. Belli come Muli. Cortesi come Muli. Probabilmente svegli come Muli. Ma se pensavano, loro, con parole da Muli, almeno quelle parole se ne uscivano una alla volta, non in gruppi o ammassi e biblioteche di stringhe.
Cadde la neve sulla grata color porpora, fredda e velata.
— Volete un goccetto, ragazzi?
— Sì — disse uno un po’ troppo in fretta. Mi stava assecondando. Mi dava però una sensazione quasi solida e quasi nitida come quella di Maleck. Questo mi confuse. Erano dell’ECGS, loro. Come potevano non sembrare ambigui?
— Ho cambiato idea — dissi io. — Andiamo subito, noi, dovunque mi volete portare. — Azionai la carrozzella verso la porta. Colpii lo stipite e mi feci male alle gambe.
Una volta sul tetto dell’albergo, tuttavia, il freddo mi fece tornare sobrio. Seattle era costruita sulle colline e l’albergo si trovava sulla cima di una delle più grandi. Potevo vedere ben al di là dell’enclave: le acque scure del Pudget Sound a ovest, il Mount Rainier bianco al chiaro di luna. Fredde stelle sopra la mia testa, fredde luci sotto. I quartieri dei Vivi ai piedi delle colline, eccetto lungo il Sound, che era una striscia di terra sul mare preclusa ai Vivi.
L’aeromobile dell’ECGS, armato e corazzato, decollò verso est. Ben presto non ci furono più luci. Nessuno parlava. Potrei essermi addormentato. Spero di non averlo fatto.
"Non dar fastidio a tuo padre, Drew. Sta dormendo."
"È ubriaco, lui."
"Drew!"
La grata si avviluppò nella mia mente fluttuando come il gas di acque stagnanti nella palude dove alla fine mio padre era affogato, lui, morto ubriaco. Qualche ragazzetto lo aveva trovato tanto tempo dopo. Avevano pensato che quella roba nell’acqua era un tronco marcio.
— Siamo arrivati, signor Arlen. La prego, si svegli.
Eravamo atterrati su una piattaforma in un posto selvaggio, imprecisato e scuro, fitto di alberi, con immense sporgenze rocciose che mi resi lentamente conto facevano parte della montagna. Mi pulsavano le tempie. Uno degli agenti accese una lampada portatile a energia-Y e spense i fari dell’aeromobile. Scendemmo. Mi resi conto per la prima volta di non conoscere i loro nomi.
— Dove siamo?
— Cascade Range.
— Ma dove siamo?
— Soltanto qualche altro minuto, signor Arlen.
Distolsero lo sguardo mentre mi issavo sulla carrozzella. Essa fluttuava al di sopra dell’unità a gravità, a venti centimetri di altezza sopra uno stretto sentiero di terra che conduceva dalla piattaforma di atterraggio nel fitto del bosco. Seguii gli agenti, che portavano la lampada. L’oscurità su entrambi i lati del sentiero, sotto agli alberi era come una parete solida, se si eccettuavano i fruscii e i distanti e profondi gridi di civetta. Sentii l’odore di aghi di pino e foglie ammuffite.
Il sentiero terminava davanti a un edificio in pietra spugnosa nascosto dagli alberi, un edificio troppo piccolo per essere importante. Nessuna finestra. Un agente si fece prendere l’impronta della retina e pronunciò un codice davanti alla porta che si aprì. La zona interna si illuminò. L’interno era occupato da un ascensore e anche quello era dotato di analizzatore di retina e codice. Scendemmo sotto terra.
L’ascensore si aprì in un grande laboratorio affollato di strumentazioni, nessuna delle quali funzionante. Le luci erano soffuse. Una donna con un camice bianco da laboratorio arrivò di corsa da una delle molte porte laterali. — È lui?
— Sì — rispose un agente e colsi il suo fugace e involontario sguardo per vedere se al Sognatore Lucido seccasse di non essere riconosciuto. Sorrisi.
— Benvenuto, signor Arlen — disse con espressione grave la donna. — Sono la dottoressa Carmela Clemente-Rice. Grazie per essere venuto.
Era la donna più bella che avessi mai visto, perfino più graziosa di Leisha. Aveva i capelli così neri da sembrare blu, occhi enormi azzurro chiaro, pelle immacolata. Appariva sulla trentina ma, ovviamente, poteva essere molto più vecchia. Modificazioni genetiche da Muli. Era circondata dalle inconsistenti forme del dolore.
Teneva le mani serrate con delicatezza davanti a sé. — Si starà chiedendo perché l’abbiamo portata qui. Questa non è un’installazione dell’ECGS, signor Arlen. È una struttura di modificazione genetica fuorilegge che abbiamo scoperto e conquistato. Per organizzare l’operazione ci è occorso un intero anno. Per il processo degli scienziati e dei tecnici di laboratorio che lavoravano qui è occorso un altro anno. Adesso sono tutti in prigione. In condizioni normali l’ECGS smantella completamente i laboratori fuorilegge, ma esistono motivi per cui questo non è stato messo fuori uso. Comprenderà fra qualche istante.
Aprì le mani e fece uno strano gesto, come se mi stesse attirando a sé. O se stesse attirando la mia mente a sé. Gli occhi azzurri da Mulo non lasciarono mai il mio volto.
— Le… bestie che lavoravano qui stavano creando modificazioni illegali per il mercato clandestino. Uno dei mercati clandestini. Questo genere di strutture esiste in tutti gli Stati Uniti signor Arlen, anche se fortunatamente non tutte hanno lo stesso successo di questa. L’ECGS spende moltissimi soldi, tempo, uomini e talenti legali per buttarli fuori dal commercio. Mi segua, la prego.