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L’erba frusciava dolcemente dietro il suo triplo scudo. Avvertii qualcosa alle mie spalle. Le mani di Carmela. Voltò la mia carrozzella perché la guardassi in volto, quindi sollevò immediatamente le mani.

— Vede, signor Arlen, non pensiamo che Huevos Verdes sia malvagio. Niente affatto. Sappiamo che la signorina Sharifi e i suoi amici Super-Insonni non credono solamente nel bene della loro ricerca, ma nel bene per il resto di tutti noi. Sappiamo che lei crede che gli Stati Uniti, per come sono definiti dalla Costituzione, siano il migliore organismo politico in un mondo imperfetto. Esattamente come Leisha Camden prima di lei. Sono sempre stata una grande ammiratrice della signorina Camden. La Costituzione, però, funziona perché ci sono moltissimi controlli ed equilibri per limitare il potere.

Si passò la lingua sulle labbra. Non era un gesto civettuolo: era così mortalmente seria che riuscivo a sentire il suo intero corpo asciugarsi e tendersi nello sforzo.

— Controlli ed equilibri per limitare il potere. Già. Ma "non" ci sono controlli su Huevos Verdes. Nessun limite. Nessun equilibrio, perché il resto di noi non può semplicemente fare ciò che sanno fare i Super-Insonni. A meno che non lo facciano prima loro. Allora qualcuno di noi potrebbe copiare delle loro tecniche, forse, e adattarle. Alcuni di noi come le persone che lavoravano qui.

Non dissi nulla. La mortale erba carica di nutrimento frusciava.

— Non so che cosa lei stia pensando, signor Arlen. E non posso dirle io cosa pensare. Ma io… noi volevamo soltanto che lei vedesse tutti i lati della situazione, con la speranza che lei ripensasse a ciò che aveva visto e ne parlasse con Huevos Verdes. Tutto qui. Gli agenti la riporteranno a Seattle, adesso.

Le chiesi: — Che cosa succederà a questa erba?

— La distruggeremo con le radiazioni. Domani. Non verrà lasciato nemmeno un filo di DNA e neanche una traccia della documentazione relativa. È esistita così a lungo solo perché potessimo mostrarla alla signorina Sharifi o, fallendo, a lei.

Mi accompagnò nuovamente all’ascensore e io guardai il suo corpo, teso per l’infelicità e la speranza, camminare con grazia fra le strette pareti bianche.

Appena prima che si aprisse la porta dell’ascensore le dissi, o forse lo dissi a tutti e tre: — Non potete bloccare il progresso tecnologico. Lo potete rallentare, ma verrà fuori comunque.

Carmela Clemente-Rice disse: — Soltanto due bombe nucleari sono state lanciate sulla Terra come atto di aggressione in tempo di guerra. La scienza c’era ma le applicazioni sono rimaste inutilizzate. Tramite cooperazione o limitazione dovute alla paura o alla forza le applicazioni sono state fermate. — Mi tese la mano. Era umida e appiccicosa ma qualcosa di elettrico scorse dal suo tocco al mio. Gli occhi azzurro mare mi supplicarono.

Come se io avessi un reale potere su ciò che veniva fatto a Huevos Verdes.

— Addio, signor Arlen.

— Addio, dottoressa Clemente-Rice.

Gli agenti mantennero la parola e mi riportarono nella mia stanza d’albergo a Seattle. Mi sedetti per vedere chi sarebbe arrivato da Huevos Verdes e quanto ci avrebbe messo.

Fu Jonathan Markowitz, alle cinque del mattino. Avevo dormito solo tre ore. Jonathan era perfetto. Il suo tono di voce era educato e interessato. Mi chiese cosa avessi visto e io glielo descrissi. Mi pose moltissime altre domande: avevo avvertito cambiamenti di temperatura, anche lievi, in un qualsiasi punto del corridoio? Avevo sentito un odore simile a quello della cannella? La luce aveva una sfumatura verdastra? Qualcuno mi aveva mai toccato? Non discusse contro ciò che la dottoressa Carmela Clemente-Rice mi aveva detto. Mi trattò come un membro della squadra la cui lealtà era fuori dubbio, ma che poteva essere stato manipolato in modi che non potevo nemmeno capire. Lui era perfetto.

Durante tutta la discussione riuscii a percepire le forme che creava nella mia mente e un’immagine: un uomo che sollevava rocce pesantissime, rocce prive di coscienza e di un grigio smorto.

Quando Jonathan stava per andarsene gli dissi brutalmente: — Avrebbero dovuto mandare Nick. Non te. Nick non si preoccupa di nasconderlo.

Jonathan mi guardò fisso. Per un minuto non disse nulla, poi sorrise stancamente. — Lo so. Ma Nick aveva da fare.

— Quando potrò vedere Miranda? Ha già lasciato Washington diretta a East Oleanta?

— Non so, Drew — rispose lui e le forme nella mia mente esplosero, macchiando di rosso la grata.

— Non sai se se n’è andata o non sai quando la potrò vedere? Perché no, Jon? Perché adesso sono infetto? Perché non sai che cosa potrebbe avermi fatto Carmela Clemente-Rice quando mi ha appoggiato le mani sulle spalle o quando io le ho stretto la mano? O perché non puoi controllare quello che sto realmente pensando del progetto?

Jonathan disse tranquillamente: — Avevo avuto l’impressione che avessi accettato di non vedere Miri. E senza grande rammarico.

Questo mi bloccò.

Jonathan proseguì: — Hai un ruolo importante, Drew. Abbiamo bisogno di te. Il computer proietta una curva che si alza a picco nel generale disfacimento sociale dovuta alla inaspettata situazione del duragem. Dobbiamo accelerare il progetto. Le equazioni di Kevorkel. La regressione dei mitocondri. L’ingegneria urbana DiLazial.

Fu lì che terminò la mia rabbia. In una manciata di parole a disposizione dei Super-Insonni. Non capivo le parole, non capivo come si combinassero, e non capivo perché mi venissero dette. Non potevo rispondere e quindi rimasi fermo lì, muto e con lo sguardo annebbiato per la mancanza di sonno, mentre Jonathan se ne andava tranquillamente.

Dovevo assolutamente dormire. Avevo il concerto fra meno di cinque ore. Mi rotolai sul letto ancora vestito e cercai di prendere sonno.

Durante il tragitto verso la KingDome di Seattle, l’aeromobile si guastò.

Avevamo lasciato l’enclave e ci trovavamo sopra la città dei Vivi che, dall’alto, assomigliava a una quantità di piccole cittadine di Vivi, organizzate in quartieri che ruotavano attorno a caffè, depositi ed edifici di logge. La KingDome Senatore Gilbert Tory Bridewell aveva vent’anni: qualcuno mi aveva detto che era stata chiamata così in ricordo di qualche luogo storico. Si trovava ben al di fuori dell’enclave, ovviamente, un immenso emisfero in pietra spugnosa con una piattaforma di atterraggio schermata che ormai non avremmo più raggiunto.

L’aeromobile si impennò bruscamente e sbandò a sinistra. Un transatlantico che rollava, una depressione tossica che si gonfiava in nauseanti bolle rosa. Mi si rivoltò lo stomaco.

— Gesù Cristo — disse il pilota e cominciò a digitare codici di sovrapposizione. Non sapevo quanto potesse effettivamente fare: gli aeromobili sono robo-macchinari. Forse però lui lo sapeva. Era un Mulo.

L’aeromobile rollò e io caddi contro la portiera sinistra. La carrozzella, piegata in posizione da viaggio, mi sbatté contro. Poi si impennò ancora e io pensai: "Sto per morire".

Forme calde e rosso sangue mi riempirono la mente. La grata scomparve.

— Cristo, Cristo, Cristo — disse il pilota digitando freneticamente. L’aeromobile si impennò ancora, quindi si stabilizzò. Chiusi gli occhi. La grata nella mia mente era sparita. "Non era lì."

— Bene bene bene — disse il pilota con un tono di voce differente e l’aeromobile si adagiò sobbalzando sulla piattaforma di atterraggio.

Restammo lì, sani e salvi, mentre alcune persone correvano verso di noi, arrivando dalla KingDome. La grata mi riapparve nella mente. Era scomparsa quando avevo pensato di stare per morire e adesso era tornata, ancora saldamente chiusa attorno a quello che vi era nascosto dentro, qualsiasi cosa fosse.

— È stata la pidocchiosa unità gravitazionale — disse il pilota. Si girò sul sedile per fissarmi direttamente negli occhi. — Tagliano i costi dei materiali. Tagliano i costi dei robo-collaudi. Tagliano i costi della manutenzione perché quelle maledette robo-unità si rompono. Tutta la concessionaria sta andando a rotoli. Due schianti in California la settimana scorsa e la stampa è stata pagata per mantenere il silenzio. Non guiderò mai più uno di questi trabiccoli. Mi ha sentito? Mai più. — Il tutto detto con voce bassa e lamentosa.