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Nella mia mente lui era una forma ripiegata, nera e schiacciata davanti alla grata color porpora.

— Signor Arlen! — gridò una donna, spalancando la portiera dell’aeromobile. — State tutti bene lì dentro?

Il suo accento del sud era forte. Sallie Edith Gardiner, congressista cadetta dello Stato di Washington, che stava pagando questo concerto per i suoi elettori Vivi. Perché una dello Stato di Washington suonava come una del Mississippi?

— Bene — dissi io. — Nessun danno.

— Be’, è semplicemente scioccante, ecco cos’è. Siamo veramente arrivati a tanto? Non riusciamo più nemmeno a fare un aeromobile decente? Vuole posporre di un attimo il concerto?

— No, no, sto bene — risposi. L’accento non era del Mississippi, dopotutto: era un falso Mississippi. Lei rappresentava nella mia mente tutta una serie di cerchi di lustrini dorati. Pensai improvvisamente a Carmela Clemente-Rice, pallidi e nitidi ovali.

Perché la grata che avevo nella mente era scomparsa quando avevo creduto di stare per morire?

— Be’, la verità è, signor Arlen — disse la Congressista Gardiner, mordicchiandosi il perfetto labbro inferiore — che un piccolo ritardo potrebbe essere comunque una buona idea. C’è stato un problemino con la ferrovia a gravità in arrivo da Seattle Sud. E un altro problemuccio con il sistema di robot della sicurezza. Abbiamo dei tecnici che se ne stanno occupando ora, naturalmente. Quindi se vuole venire da questa parte andremo in un posto dove lei potrà aspettare…

— Il mio sistema è stato installato sul palco ieri — dissi — se non ne può garantire la sicurezza…

— Oh, ma "certo" che possiamo! — esclamò lei e mi accorsi che stava mentendo. Il pilota dell’aeromobile scese e si appoggiò contro la fiancata, bofonchiando sottovoce. La sua implorante preghiera si era trasformata finalmente in rabbia. La Congressista Gardiner gli lanciò un’occhiata che avrebbe fatto marcire la sintoplastica. Lei non aveva chiesto se lui fosse rimasto ferito. Era un tecnico.

— La sua magnifica strumentazione starà "benissimo" — disse la Congressista Gardiner. — E non vediamo davvero l’ora di assistere alla sua rappresentazione. Venga da questa parte, la prego.

Azionai la carrozzella per seguirla. Lei non avrebbe visto la rappresentazione. Se ne sarebbe andata appena dopo avere presentato me e riempito completamente le telecamere. I Muli se ne andavano sempre a quel punto.

Ma non andò così.

Restai seduto sulla carrozzella in un’anticamera della KingDome per due ore. Avrei potuto dormire. La gente andava e veniva e tutti mi dicevano che ogni cosa andava benone. La grata che avevo nella mente serpeggiava in lunghe e lente ondulazioni. Alla fine entrò la congressista.

— Signor Arlen, temo che ci sia una sgradevole complicazione. C’è appena stato un incidente proprio "terribile".

— Un incidente?

— È deragliato un treno a gravità che arrivava da Portland. Ci sono parecchi morti. La folla ha sentito la notizia ed è sconvolta. Naturalmente. — La voce della donna suonava sconvolta, ma il suo sguardo era carico di risentimento. Il primo grande evento che aveva sponsorizzato da quando era stata eletta, e un bel po’ di Vivi sconsiderati doveva andare a morire e rovinare tutto. — Andremo comunque avanti con il concerto, sempre che lei non abbia nulla da obbiettare. La presenterò fra circa cinque minuti.

— Cerchi di trascinare un po’ meno le vocali — le dissi. — Suonerebbe almeno un po’ più autentico.

L’avevo sottovalutata. Il suo sorriso non ondeggiò. — Allora, cinque minuti?

— Come vuole lei. — Adesso la grata nella mia mente stava tremando come se fosse preda di un forte vento.

Avevano costruito un palco gravitazionale fluttuante a una estremità dell’arena, con un’ampia passerella che conduceva nella stanza superiore in cui stavo aspettando. Il treno a gravità era deragliato, l’aeromobile si era guastato. Sapevo che i dispositivi a gravità non manipolavano realmente la gravità ma il magnetismo: non capivo come. Quali erano le probabilità che ben tre dispositivi magnetici mi si rompessero in una sola serata? Jonathan Markowitz lo avrebbe saputo, fino al ventesimo decimale.

— …uno dei principali artisti dei nostri tempi… — la trasmissione della Congressista Gardiner dal palco.

Ovviamente, poteva anche non essere stata proprio l’unità a gravità a rompersi nel treno. Un treno a gravità poteva avere centinaia di parti mobili diverse, migliaia per quel che ne sapevo io. Di che cosa erano esattamente fatte?

— …con profonda gratitudine per l’opportunità di mostrare a voi tutti il Sognatore Lucido, io…

"Io. Io. Io." La parola preferita dei Muli. A Huevos Verdes almeno dicevano "noi". E intendevano ben più dei soli Super-Insonni.

Una pallida erba verde si increspò davanti alla grata color porpora. Vi crebbe sopra, attraverso, attorno. La inghiottì. Inghiottì il mondo.

Mi serrai con forza le mani davanti. Dovevo andare in scena in due minuti. Dovevo controllare le immagini nella mente. Io ero il Sognatore Lucido.

— …comprensibilmente afflitti per la tragedia ma il cordoglio è una delle emozioni che il Sognatore Lucido…

— Che cazzo ne sai tu del lutto, tu? — gridò così forte una persona fra la folla che io sobbalzai. Qualcuno fra il pubblico aveva un amplificatore vocale potente quasi quanto i miei apparecchi acustici. Dal punto in cui ero seduto non riuscivo a vedere il pubblico, ma soltanto la Congressista Gardiner. Udii tuttavia un vasto e crescente brontolio, quasi come il Delta quando straripa.

— …lieta di presentarvi…

— Vattene, stronza! — La stessa voce amplificata. Portai in avanti la carrozzella. A metà della passerella la congressista mi superò a testa alta, con le labbra sorridenti e gli occhi ardenti di rabbia. Non ci fu applauso.

Portai la carrozzella fino al centro della piattaforma fluttuante e puntai le mie lenti sullo zoom. La KingDome era piena per metà. Le persone mi fissarono, alcune con espressione vacua, altre incerta, altre ancora con occhi sbarrati, ma nessuno sorrise. Non mi ero mai trovato ad affrontare nulla di simile. Erano in equilibrio su un margine che stava esattamente fra un pubblico e una folla sediziosa.

— È una sedia da Mulo quella dove stai seduto, Arlen, tu? — gridò la voce amplificata e io ne identificai il proprietario quando svariate persone si voltarono verso di lui. Un uomo gli dette uno spintone, un altro lo fissò in modo truce, un terzo si mosse con atteggiamento protettivo di fronte al disturbatore e fissò con un’occhiata dura il palcoscenico. Qualcuno nelle prime file gridò debolmente, privo di amplificazione: — Il Sognatore Lucido non è un Mulo, lui. Chiudi il becco!

Io dissi, così piano che tutti dovettero zittirsi per potermi sentire: — Non sono un Mulo, io.

Un altro gorgoglio si alzò dal pubblico e nella mente vidi l’acqua inondare il Delta dove ero nato, acqua non veloce ma implacabile che si alzava a picco, come una qualsiasi curva di Huevos Verdes sullo sfascio sociale.

— Sono morte delle persone, loro, nel pidocchioso treno di Muli che nessuno si preoccupa di mantenere funzionante! — gridò la voce amplificata. — Morti!

— Lo so — dissi io, ancora a bassa voce e la grata smise di tremare mentre la mia mente si riempiva di lente e ampie forme che si muovevano con grazia maestosa, del colore della terra umida. Premetti un pulsante che avevo sulla carrozzella e i macchinari del concerto cominciarono ad affievolire le luci sul palco.