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Dovevo rappresentare Il Guerriero, studiato e ristudiato e ristudiato ancora per incoraggiare un’indipendente disposizione a correre rischi, all’azione, alla autonomia. Nella strumentazione del concerto erano in memoria anche i nastri, gli ologrammi e i subliminali per Cielo, il più popolare dei miei concerti. Esso conduceva le persone in un luogo calmo all’interno della loro stessa mente, il luogo che tutti noi eravamo in grado di raggiungere da bambini, dove il mondo è in equilibrio perfetto e noi insieme con esso, e la calda luce del sole non inonda solamente la nostra pelle, ma penetra fin dentro l’anima e ci trascina in un luogo benedetto. Era un concerto di riconciliazione, di riposo, di accettazione. Potevo dare quello. Nel giro di dieci minuti la massa sarebbe stata un comodo cuscino.

Iniziai Il Guerriero.

— C’era una volta un uomo di grande speranza e nessun potere. Quando era giovane voleva tutto…

Le parole li quietarono. Le parole, tuttavia, erano il meno, erano realmente poco importanti. Erano le forme quelle che contavano, il modo in cui le forme si muovevano e i corridoi che le forme aprivano verso i luoghi più nascosti della mente, differenti in ogni persona. Io ero l’unico al mondo che poteva programmare quelle forme, recuperandole dalla mia stessa mente i cui sentieri neurali verso l’inconscio erano stati aperti da una bizzarra operazione illegale. Io ero il Sognatore Lucido.

— Voleva la forza, lui, che avrebbe costretto tutti gli altri uomini a rispettarlo.

Nessuno a Huevos Verdes era in grado di farlo: afferrare le menti e le anime dell’ottanta per cento delle persone. Guidarle anche se solo più profondamente in loro stessi. Modellarli. No… dare forme loro proprie.

"Tu comprendi che cos’è quello che fai alle menti delle altre persone?" mi aveva chiesto Miri con la sua parlata leggermente troppo lenta, poco tempo dopo che ci eravamo conosciuti. Mi ero fatto coraggio, già allora, preparandomi per equazioni, formule di conversione di Lawson e diagrammi complessi. Lei però mi aveva sorpreso. "Tu porti le persone nella diversità."

"La…"

"Diversità, La realtà che sta sotto la realtà. Tu trafiggi il mondo delle relatività così che la mente riesce a cogliere che esiste un assoluto più vero al di sotto delle fragili strutture della vita di tutti i giorni. Solo cogliere fugacemente, ovviamente. È tutto ciò che la scienza possa realmente darci: occhiate fugaci. Tu riesci tuttavia a portarci persone che non potrebbero mai essere scienziati."

L’avevo fissata, stranamente impaurito. Non era quella la Miri che ero abituato a vedere. Si era scostata dal volto i capelli scompigliati e avevo visto che i suoi occhi scuri apparivano raddolciti e distanti. "Lo fai davvero, Drew. Per noi Super così come per i Vivi. Scosti il velo perché possiamo dare una fugace occhiata al resto che siamo."

La mia paura scese in profondità. Non era da lei.

"Ovviamente" aveva aggiunto "a differenza della scienza, il sogno lucido non ricade sotto il controllo di nessuno. Nemmeno sotto il tuo. Manca della cardinale qualità della ripetibilità."

Miri aveva a quel punto notato la mia espressione e si era accorta che le sue ultime parole erano state uno sbaglio. Aveva declassato quello che io facevo come di seconda categoria, ancora una volta. La sua cocciuta fede nella verità, tuttavia, non le avrebbe permesso di recedere da quello in cui in effetti credeva. Il sogno lucido mancava di una qualità cardinale. Aveva distolto lo sguardo.

Non avevamo mai più discusso della diversità.

Adesso i volti dei Vivi mi fissavano, aperti. Vecchi con profonde rughe e spalle incurvate. Giovanotti con le mascelle serrate che mostravano gli stessi occhi sbarrati dei bambini. Donne che tenevano in braccio piccini, con la stanchezza che scompariva dalle loro facce quando le labbra si incurvavano debolmente, trasognate. Visi orrendi, bellezze naturali, visi infuriati, visi in lutto e visi sconcertati di persone che avevano ritenuto di essere padroni delle proprie vite e stavano scoprendo in quel momento di non fare nemmeno parte del Consiglio di Amministrazione.

— Voleva il sesso, lui, che gli avrebbe fatto squagliare le ossa per la soddisfazione. Voleva l’amore.

Miri si trovava probabilmente già nella struttura clandestina di East Oleanta e io ero stato troppo codardo da ammettere che ne ero contento. Be’, lo avrei ammesso in quel momento. Era più al sicuro lì che a Huevos Verdes e io non avrei necessariamente dovuto vederla. Eden. Gli impulsi subliminali accuratamente programmati nelle OLO-TV dei caffè nelle Montagne Adirondack dello Stato di New York lo chiamavano "Eden". Non che i Vivi sapessero che cosa significasse questo nuovo Eden. In realtà non lo sapevo esattamente nemmeno io. Sapevo che cosa il progetto avrebbe dovuto fare, ma non che cosa significasse profondamente. Ero stato troppo codardo da ammettere le domande o di ammettere che anche la sicurezza di sé dei Super-Insonni poteva non avere come risultato automatico la giustizia.

Una pallida e mortale erba ondeggiava nella mia mente.

— Oooohhh — sospirò un uomo da un punto abbastanza vicino da permettermi di sentirlo al di sopra della musica profonda.

— Voleva eccitazione, lui.

Un uomo nella sesta o settima fila non mi stava guardando. Fissava i volti rapiti di tutti gli altri. Inizialmente restò sconcertato, quindi si mostrò a disagio. Un elemento naturalmente immune all’ipnosi. Ce n’erano sempre alcuni. Huevos Verdes aveva isolato la sostanza chimica cerebrale necessaria per una reazione al sogno lucido, solo che non si trattava di un’unica sostanza, ma di una combinazione di quello che Sara Cerelli chiamava "condizioni pre-requisito necessarie", alcune delle quali dipendevano da enzimi innescati da altre condizioni. Effettivamente non avevo capito. Ma non ne avevo alcun bisogno. Io ero il Sognatore Lucido.

L’uomo immune continuò ad agitarsi. Si mise quindi tranquillo per stare comunque a sentire. In seguito, lo sapevo perfettamente, non avrebbe detto un gran che ai suoi amici. Era troppo sgradevole essere lasciati fuori.

Sapevo tutto al proposito. I miei concerti contavano su quello.

— Voleva che ogni giorno fosse pieno di sfide che soltanto lui sapeva affrontare.

Miri mi amava in un modo in cui io non avrei mai potuto ricambiarla. Quell’amore bruciava profondamente come la sua intelligenza. Era l’amore, non l’intelligenza che non mi aveva mai fatto chiedere direttamente a lei: — Sei sicura che dobbiamo andare avanti col progetto? Che prova abbiamo che sia questa la cosa giusta da fare? — Ovviamente lei mi avrebbe risposto che era impossibile avere una prova e la sua spiegazione del perché avrebbe contenuto equazioni, precedenti e condizioni che io non avrei capito comunque.

Non era tuttavia quella la vera ragione per cui non le avevo mai sottoposto i miei dubbi. Il vero motivo era che lei mi amava in un modo in cui io non avrei mai potuto amarla e io avevo voluto il Rifugio da quando avevo sei anni e avevo scoperto che mio nonno era morto durante la sua costruzione, un povero lavoratore prima che dei Vivi si occupasse un governo affamato di voti. Ecco perché avevo consegnato la mia mente, così più debole di quella di lei, a Huevos Verdes.

Adesso però c’era la pallida erba che cresceva sulla grata nella mia mente, inghiottendo il mondo.

— Voleva…

Voleva appartenere di nuovo a se stesso.

Le forme scivolavano attorno alla mia carrozzella: gli stimoli subliminali balenavano dentro e fuori la coscienza del mio pubblico. I volti avevano abbassato completamente la guardia, dimentichi gli uni degli altri e perfino di me. Questo era il migliore concerto del Guerriero che avessi dato fino a quel momento. Lo sentivo.

Alla fine, quasi un’ora dopo, sollevai le mani. Avvertii il solito sfogo di sacro affetto per tutti loro. "Come un papa o un lama?" aveva chiesto una volta Miri, ma non era così. "Come un fratello" avevo risposto io e avevo visto farsi strada, nei suoi occhi scuri, il dolore. Suo fratello era stato ucciso al Rifugio. Avevo saputo che la mia risposta l’avrebbe ferita. Anche quella era una forma di potere e adesso ne provavo vergogna.