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— Forse ti posso aiutare — ha detto il Mulo,

— Vai all’inferno! — ho risposto io, ma poi mi sono fermato e l’ho guardata. Dopo tutto era un Mulo. Doveva essere qui per qualche motivo, proprio come quell’altra ragazzina nei boschi la scorsa estate, quella che aveva salvato la vita a Doug Kane, doveva essere lì per qualche motivo. Non riuscivo a immaginare il perché ma, dopotutto, non sono un Mulo. Eppure a volte i Muli sanno fare cose che non ti aspetti.

La ragazza si è alzata. Aveva uno strappo sulla tuta gialla, come tutti gli altri da quando il deposito aveva semplicemente smesso di aprire per le distribuzioni, ma era pulita. Le tute non si sporcano e non si spiegazzano, non si sa come lo sporco non ci si attacca sopra oppure si lava via senza fatica. Ma quella ragazzina non era proprio una ragazzina, lei. Quando l’ho guardata meglio mi sono accorto che era una donna, forse dell’età di Annie. Erano gli occhi viola modificati geneticamente e il fisico che mi aveva fatto pensare che era una ragazza.

Le ho detto: — Come mi potresti aiutare, "tu"?

— Non lo saprò finché non avrò visto il paziente, giusto? — ha risposto lei seccamente e non erano sciocchezze. Quanto meno era una cosa sensata. Io l’ho portata nell’appartamento di Annie sulla Jay Street.

Annie ha aperto la porta. Riuscivo a sentire Lizzie che tossiva, facendo un rumore che quasi mi si strappavano via anche le mie di budella. Annie ha spinto il suo grosso corpo in corridoio e si è chiusa la porta alle spalle.

— Chi è questa? Perché l’hai portata qui, Billy Washington? Sei impazzito! Abbiamo già visto quanto aiuto ci potete dare voi Muli quando va tutto storto!

Non avevo mai visto Annie così arrabbiata. Aveva le labbra premute strette come se erano cementate e le dita curve in artigli quasi che voleva sfregiare quella Victoria Turner sul suo bel faccino da Mulo modificato geneticamente. Victoria Turner ha fissato Annie freddamente, lei, e non è indietreggiata di nemmeno un centimetro.

— Mi ha portato qui perché io potrei essere in grado di aiutare la bambina malata. Sei sua madre? Per favore spostati così che possa provarci.

Io sono indietreggiato ma poi sono avanzato di nuovo perché la faccia di Annie aveva un’espressione che mi faceva male. Era furente, terrorizzata ed esausta. Annie non aveva abbandonato Lizzie né per lavarsi né per dormire in due interi giorni.

Annie ha allungato una mano alle sue spalle e ha aperto la porta.

Lizzie stava sdraiata sul divano dove di solito dormivo io. Stava bruciando ma Annie cercava di tenerle addosso una coperta. Lizzie continuava a scalciarla via. C’erano acqua e cibo presi al caffè ma Lizzie non aveva toccato niente, lei. Si agitava e gridava e a volte le sue grida non avevano senso. Aveva vomitato solo una volta ma tossiva in continuazione, forti colpi di tosse devastanti che mi spezzavano il cuore.

Victoria Turner ha appoggiato una mano sulla fronte di Lizzie e gli occhi viola le si sono spalancati. Lizzie non sembrava rendersi conto, lei, che lì c’era qualcun altro. Ha tossito un’altra volta, un piccolo colpo, e ha cominciato a gemere. Ho sentito la disperazione iniziare a salire su dalle budella, del genere che si prova quando non c’è speranza e non sai come farai a sopportarlo. Non avevo più provato quel genere di disperazione da quando era morta mia moglie Rosie, dodici anni prima. Non avevo mai pensato di doverla provare di nuovo.

Victoria Turner ha tirato fuori una specie di sciarpa dalla tasca e si è inginocchiata accanto a Lizzie. Non sembrava affatto avere paura, lei. Uno dei pensieri che avevo avuto quella notte, che Dio mi perdoni, era stato: la malattia è contagiosa? Potrebbe prenderla anche Annie e morire? Annie…

— Tossisci per me, tesoro — ha detto Victoria Turner. — Forza, tossisci nella sciarpa.

Nel giro di qualche minuto Lizzie lo ha fatto ma non perché glielo avevano chiesto. Grossi grumi viscidi sono venuti fuori dai polmoni torturati, grigio verdastri. Victoria Turner li ha presi, nella sciarpa e li ha esaminati attentamente. Io ho dovuto guardare da un’altra parte. Quelli erano i polmoni di Lizzie che se ne venivano via a pezzi, i polmoni di Lizzie che stavano marcendo.

— Eccellente — ha detto Victoria Turner — verde. È di origine batterica. Adesso lo sappiamo. Sei fortunata, Lizzie.

Fortunata! Ho visto Annie incurvare di nuovo le unghie e ho capito anche perché: quel Mulo si stava "divertendo". Era una specie di eccitazione. Come una storia all’Olo-visione.

— L’origine batterica è positiva — ha detto Victoria Turner guardando me — perché la medicazione può essere molto meno specifica. Bisogna adeguare gli antivirali, quanto meno grossolanamente. Ma gli antibiotici a largo spettro sono facili da produrre.

Annie ha detto in modo duro: — Che cosa ha Lizzie?

— Non ne ho la più pallida idea. Ma questo se ne occuperà quasi certamente. — Da un’altra tasca ha tirato fuori un pezzo di plastica piatto, l’ha aperto e ha appiccicato un cerotto azzurro e rotondo sul collo di Lizzie. — Dovreste però costringerla a ingerire più acqua. Non bisogna rischiare la disidratazione.

Annie fissava, lei, il cerotto azzurro sul collo di Lizzie. Sembrava uno di quelli che metteva l’unità medica, ma come facevamo noi a sapere di preciso che cosa c’era dentro? In realtà non sapevamo proprio niente.

Lizzie ha sospirato e si è tranquillizzata. Nessuno ha detto niente. Dopo qualche minuto Lizzie si è addormentata.

— È la cosa migliore per lei — ha detto in modo sicuro Victoria Turner. Mi sono accorto un’altra volta che la cosa le piaceva. — Nemmeno Miranda Sharifi in persona potrebbe pareggiare i benefici del sonno.

Io mi ricordavo di avere sentito quel nome, ma non mi veniva in mente dove.

Annie sembrava una donna diversa, lei. Ha guardato Lizzie, che dormiva pacificamente, e il cerotto e si è come rimpicciolita e calmata, come una vela che crolla. Ha fissato il pavimento, lei. — Grazie, dottoressa. Non avevo capito.

La dottoressa Turner è parsa sorpresa, lei, e poi ha sorrìso. Come se c’era qualcosa di divertente. — Prego. Forse, in cambio, potete fare qualcosa per me.

Annie l’ha guardata con circospezione: i Muli non chiedono mai favori ai Vivi. I Muli pagano le tasse per noi e noi gli diamo i voti. Non ci diciamo però più del necessario e non ci chiediamo favori a vicenda. Non è così che vanno le cose.

— Sto cercando una persona — ha detto la dottoressa Turner. — Avrei dovuto incontrarla qui ma apparentemente abbiamo confuso i dati. Una donna, una ragazza a dire il vero, alta più o meno così, capelli scuri, una testa un po’ grossa.

Ho pensato subito alla ragazza dei boschi e ho cercato velocemente di apparire come uno che non sta pensando a niente. Quella ragazza veniva dall’Eden, ne ero certo, io e l’Eden non aveva niente a che fare con i Muli, È per i "Vivi". La dottoressa Turner mi stava osservando attentamente, lei. Annie ha scosso la testa, fredda come il ghiaccio, anche se io sapevo che probabilmente si ricordava quell’altra ragazzina, quella con la testa grossa che lei aveva detto di avere visto alla riunione in paese quando Jack Sawicki aveva chiamato il supervisore distrettuale per i procioni con la rabbia.

Annie ha detto, cortese ma non troppo: — Come mai non hai trovato la tua amica? Lei non lo sa dove sei?

— Mi sono addormentata — ha detto la dottoressa Turner, il che non spiegava niente. Lo ha detto anche in modo un po’ buffo. — Mi sono addormentata sul treno a gravità. Penso però che potrebbe essere qui in giro da qualche parte.

— Non ho mai visto nessuno fatto così — ha detto con fermezza Annie.

— E tu, Billy? — ha chiesto la dottoressa Turner. Probabilmente conosceva il mio nome anche prima che Annie lo diceva. Si trovava a East Oleanta da una settimana, mangiava al caffè, parlava con tutti quelli che volevano parlare con lei, che non erano tanti.