Hubbley e la sua banda rubavano sicuramente nei depositi, negli appartamenti e perfino nelle carrozze della ferrovia a gravità per prendere ciò di cui avevano assolutamente bisogno. Cacciavano nelle profonde paludi e pescavano; forse coltivavano anche un po’ di questo e un po’ di quello. Doveva esserci una distilleria da qualche parte. Oh, conoscevo benissimo Jimmy Hubbley. Lo conoscevo da una vita, prima che Leisha mi prendesse con sé. Mio padre era un Jimmy Hubbley privo dell’indipendenza per liberarsi dal sistema che aveva maledetto fino al giorno in cui il whisky gratis del governo, nemmeno distillato in casa, lo aveva ucciso.
E quello era l’uomo che aveva ucciso Leisha Camden.
Le forme dell’odio hanno una grande energia, come pugnali robotici.
Dissi: — Questo è un laboratorio illegale di modificazione genetica.
Il volto di Hubbley si aprì in un immenso sorriso. — Perfettamente giusto! È sveglio, il ragazzo. Solo che questa è solamente una piccola stazione decentrata dove Abigail si può controllare il suo equipaggiamento e possiamo recuperare rifornimenti. Questo posto non è più usato da "abominatori genetici". Sta visitando l’Avamposto di Liberazione Francis Marion, signor Arlen. E mi permetta di dirle che siamo molto onorati di averla qui. Abbiamo visto tutti i suoi concerti. Lei è decisamente un Vivo. Avere vissuto con i Muli e gli Insonni non le ha fatto nessun danno. Ma in fondo è così che succede al buon sangue, no?
C’era qualcosa di storto nel suo modo di parlare. Rimuginai e quindi compresi. Non si esprimeva come un Vivo — nessuno di quelli che Miri chiamava "pronomi personali rafforzativi" — ma non parlava neanche come un Mulo. C’era qualcosa di artificiale nelle sue frasi. Avevo già sentito prima di allora quel tipo di linguaggio, ma non riuscivo a ricordare dove.
Dissi per farlo continuare a parlare: — L’Avamposto di Liberazione Francis Marion? Chi era Francis Marion?
Hubbley mi guardò in tralice. Si sfregò il bozzo sul lato del collo. — Non ha mai sentito parlare di Francis Marion, signor Arlen? Davvero? Un uomo istruito come lei? Era un eroe, forse il più grande eroe che questo paese ha mai avuto. Non ha davvero mai sentito parlare di lui, signore?
Scossi la testa. Non mi faceva male. Mi accorsi allora che la mia gamba era stata aggiustata. Ero sotto effetto di antidolorifici. Doveva avermi curato un dottore o quanto meno un’unità medica.
— Adesso non voglio proprio avvilirla — disse con espressione seria Hubbley. Il suo volto ossuto irradiava rammarico. — Lei è nostro ospite e non è giusto fare avvilire un ospite per la sua ignoranza. Soprattutto per un’ignoranza per cui non ci può fare niente. La colpa, in questo caso, è tutta quanta del sistema scolastico, una brutta disgrazia per la democrazia.
Aveva ucciso Leisha. Aveva ucciso gli agenti dell’ECGS. Mi aveva rapito. E stava lì seduto a preoccuparsi perché potevo sentirmi a disagio per non sapere chi fosse Francis Marion.
Per la prima volta mi resi conto che potevo avere a che fare con un pazzo.
— Francis Marion era un grande eroe della Rivoluzione Americana, figliolo. Il nemico lo chiamava la "Volpe della palude.". Si nascondeva nelle paludi della Carolina del Nord e della Georgia e piombava sugli inglesi, li colpiva quando meno se lo aspettavano e poi scompariva di nuovo nella palude. Non lo hanno mai beccato. Combatteva per la libertà e la giustizia e usava la natura come aiuto, non come ostacolo.
Adesso avevo inquadrato il suo modo di parlare.
Una volta Leisha aveva passato un’intera notte a guardare antichi film su un movimento di diritti civili. Non diritti civili per gli Insonni, un movimento precedente a quello — di cento anni prima? — sui negri e le donne. O forse sugli asiatici. Non ero mai stato molto bravo in storia. Dovevo però fare un compito per una delle scuole che Leisha continuava a cercare di farmi frequentare. Non ricordo l’avvenimento, ma ricordo che Leisha aveva effettuato una ricerca fra i vecchi film adattati a una tecnologia decente perché pensava che non avrei letto i libri assegnatimi. Aveva ragione e io ne ero rimasto risentito. Avevo sedici anni, ma i film mi piacevano. Ero stato seduto sulla carrozzella, compiaciuto perché erano le tre del mattino e non avevo sonno, stavo tenendo il passo con Leisha. A sedici anni pensavo ancora di poterlo fare.
Avevamo guardato tutta la notte sceriffi su veicoli da terra che facevano saltare in aria i luoghi in cui gli elettori si recavano di persona a votare: era un periodo perfino precedente a quello dei computer. Avevamo guardato vecchie sedute in fondo agli autobus. Avevamo guardato Vivi neri a cui era negato di sedersi ai caffè anche se avevano a disposizione gettoni-pasto. Parlavano tutti come James Francis Marion Hubbley. O meglio, lui parlava come loro. Il suo linguaggio era una creazione deliberata, una recitazione di un tempo antico: storia ben precedente a quella disponibile a livello elettronico. Forse pensava che durante la Rivoluzione Americana avessero parlato così. Forse aveva maggior buon senso. In entrambi i casi il suo linguaggio era disciplinato e deliberato.
Era un artista.
Hubbley disse: — Marion era malaticcio e non aveva avuto un gran che di istruzione, aveva un carattere orrendo ed era di umore nero. Aveva le ginocchia storte proprio dal giorno che sua madre lo aveva partorito. Gli inglesi gli avevano bruciato la piantagione, i suoi uomini lo piantavano in asso tutte le volte che sentivano la nostalgia delle famiglie e il suo stesso ufficiale comandante, il generale maggiore Nathanael Greene, non lo apprezzava troppo. Niente di tutto questo però ha mai trattenuto Francis Marion. Ha fatto il suo dovere nei confronti del suo paese, il suo dovere per come la vedeva lui, scoppiasse pure un pandemonio.
Dissi, tirando fuori a forza le parole: — E lei, quale immagina sia il "suo" dovere rispetto al suo paese?
Gli occhi di Hubbley scintillarono. — L’avevo detto che era sveglio, figliolo, e lo è. Ha centrato subito la questione. Abbiamo lo stesso dovere della "Volpe della palude", cioè cacciare via gli stranieri oppressori.
— E questa volta gli stranieri oppressori sono tutti quelli modificati geneticamente.
— Ha fatto centro, signor Arlen. I Vivi sono il vero popolo di questo paese, proprio come lo era l’esercito di Marion. Avevano la volontà di decidere per se stessi in quale tipo di paese volevano vivere e anche noi abbiamo la volontà di decidere per nostro conto. Abbiamo la volontà e abbiamo l’ideale di come dovrebbe essere questa gloriosa nazione, anche se adesso non lo è ancora. Noi I Vivi. E se non ci crede, caspiterina, guardi che casino hanno fatto i Muli di questo grande paese. Debiti nei confronti di nazioni straniere, alleanze capestro che ci risucchiano ogni risorsa, l’infrastruttura che ci si sgretola in faccia, la tecnologia mal utilizzata. Proprio come gli inglesi utilizzavano male i cannoni e i fucili ai loro tempi.
Cominciò a pulsarmi l’anca, debolmente. L’antidolorifico non era forte abbastanza. Avevo già sentito tutta questa roba. Non era altro che odio antiricerca, travestito da patriottismo. Alla fine avevano beccato Leisha, quegli elementi carichi d’odio. Non riuscivo a sopportare la vista di Hubbley e voltai la testa.
— Ovviamente — disse lui — non si può fermare l’ingegneria genetica. Nessuno dovrebbe fermarla. Di certo noi non lo stiamo facendo, altrimenti non avremmo liberato questo disgregatore di duragem qui.
Girai lentamente la testa per fissarlo. Egli sogghignò. I suoi occhi azzurro chiaro scintillavano nel volto bruciato dal sole.
— Non mi deve guardare in quel modo, figliolo. Non intendo dire io personalmente, Jimmy Hubbley. E nemmeno questa brigata. Ma non avrà pensato che questo disgregatore di duragem è stato liberato accidentalmente, vero?