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Miranda. Avevo a malapena pensato a lei da quando era morta Leisha.

— Sa che le dico, però? — disse Hubbley — visto che smania tanto per una compagnia femminile, le assegnerò una donna come guardia. Ma, signor Arlen, signore…

— Sì?

I suoi occhi apparvero più grigi, più duri. — Deve tenere a mente che questa è una guerra, signore. E per quanto le siamo grati per l’aiuto che ci ha dato con i suoi concerti, è sacrificabile. Lo deve tenere a mente e basta.

Non risposi. Nel giro di un’altra ora la porta si aprì di nuovo ed entrò una donna. Era, doveva essere, la gemella di Campbell. Alta quasi due metri, muscolosa quasi quanto lui. I capelli color marrone-cacca le stavano appiccicati attorno a una faccia astiosa dalle mascelle sporgenti come quelle di Campbell.

— Io sono la guardia, io. — Aveva una voce stridula e seccata.

— Salve. Sono Drew Arlen. Tu sei…

— Peg. Comportati bene, tu. — Mi fissò con evidente disprezzo.

— Giusto — dissi io. — E quale combinazione naturale di geni ha prodotto te?

Il suo disprezzo non si approfondì, non oscillò. La vidi nella mente come un solido monolito, granitico, simile a una pietra tombale.

— Portami dove è il vostro caffè, Peg.

Lei afferrò la sedia a rotelle e la spinse sgraziatamente. Sotto la tuta verde le sporgevano i muscoli delle cosce. Mi superava in peso di almeno quindici chili: aveva un allungo migliore ed era in forma smagliante.

Vidi il corpo di Leisha, leggero e slanciato, accasciato contro l’albero di anona con due buchi rossi sulla fronte.

Il caffè era una grande stanza in cui convergevano svariati tunnel. C’erano tavolini, sedie e un olo-terminale del tipo più semplice adatto soltanto alla ricezione. Mostrava una gara di scooter. Nessuna catena alimentare, tuttavia molte persone stavano mangiando ciotole di stufato di soia. Mi fissarono con franchezza quando Peg mi fece entrare. Almeno una mezza dozzina di facce mostrò un’espressione chiaramente ostile.

Abigail e Joncey erano seduti a un tavolino distante. Lei stava effettivamente cucendo insieme teli di pizzo, a mano. Era come osservare qualcuno fare candele o scavare una buca con una pala. Abigail mi lanciò una sola occhiata e quindi mi ignorò.

Peg accostò la mia sedia a rotelle a un tavolino, mi portò una ciotola di stufato e si accomodò per vedere la corsa di scooter.

Guardai la corsa, osservando intanto tutto il resto tramite lo zoom nelle cornee. Il pizzo di Abby era coperto da un complesso disegno di piccoli rombi, tutti diversi gli uni dagli altri, come fiocchi di neve. Tagliò un rombo e lo mostrò ridendo a Joncey. Tre uomini stavano giocando a carte: quello di cui potevo vedere la mano aveva una coppia di re. Dopo un po’ dissi a Peg. — È così che passate le giornate? Contribuendo alla rivoluzione?

— Chiudi il becco, tu.

— Voglio vedere altre parti della tenuta. Hubbley ha detto che avrei potuto farlo se mi portavi tu.

— Di’ colonnello Hubbley, tu!

— Colonnello Hubbley, allora.

Afferrò la mia sedia con una tale violenza da farmi sbattere i denti e la spinse lungo il corridoio più vicino. — Ehi! Rallenta!

Lei rallentò fino a un insolente strisciare. Non mi misi a discutere. Cercai di memorizzare ogni cosa.

Non era facile. I tunnel apparivano tutti uguali: bianchi e privi di caratterizzazioni, nano-perfetti, punteggiati di porte bianche identiche, prive di segni e fatte di una lega resistente allo sporco. Cercai di tenere a mente pezzettini di cibo lasciati cadere, impronte di scarpe. In un’occasione vidi un piccolo rombo di pizzo mezzo impigliato sotto a una porta e seppi che Abigail doveva essere passata da quella parte. Peg mi spingeva come un robot, impassibile e instancabile. Stavo perdendo il conto di quello che avevo cercato di memorizzare.

Dopo tre ore passammo davanti a un robot pulitore che ramazzava le cose che io avevo utilizzato come contrassegni.

Durante l’intero giro vidi solamente due porte aperte. Una dava su un bagno comune. L’altra restò aperta solamente un istante, quindi si chiuse, permettendomi solo la più fugace delle occhiate su casse ad alta sicurezza, una fila dopo l’altra. Disgregatori di duragem? O qualche altro distruttore di genomi non umani che Jimmy Hubbley riteneva dovesse essere riversato sui suoi nemici?

— Che cos’era quello? — chiesi a Peg.

— Chiudi il becco, tu.

Un’ora dopo tornammo alle aree comuni. C’era ancora gente che pranzava. Peg mi spinse verso un tavolino vuoto e mi sbatté davanti un’altra ciotola di stufato. Non avevo fame.

Qualche minuto più tardi Jimmy Hubbley si sedette vicino a me. — Ebbene, figliolo, sarà rimasto soddisfatto del suo giro, spero.

— Oh, è stato fantastico — dissi io. — Ho visto ogni genere di contributo alla rivoluzione.

Si mise a ridere. — Oh, sta avvenendo, sul serio. Ma non riuscirà a provocarmi e a costringermi a mostrarle delle cose prima che io sia pronto. C’è tempo, c’è tempo.

— Non ha paura che i suoi soldati si facciano irrequieti a non far nulla così? Che cosa faceva il generale Marion con i suoi uomini fra una battaglia e l’altra? — Appoggiai il cucchiaio: lo odiavo troppo per riuscire anche solo a fingere di mangiare in sua presenza. Dio, come volevo un drink!

Egli sembrò sorpreso. — Caspita, signor Arlen, signore, non è che generalmente non fanno niente. Oggi è domenica, il Sabbath. Già domani saremo tornati all’addestramento regolare. Il generale Marion conosceva il valore di un giorno di riposo e il recupero dello spirito umano.

Si guardò attorno soddisfatto per l’indolente gioco d’azzardo, per le persone che guardavano la corsa degli scooter, per le sagome mezzo accasciate probabilmente sotto l’effetto di stupefacenti. Solo tre facce in quella intera maledetta stanza mostravano un’autentica animazione. Quelle di Joncey e Abigail che si sorridevano a vicenda, mentre Abby continuava a cucire il pizzo ondeggiante e disegnato, e quella di Peg.

— Deve mangiare lo stufato, figliolo — disse con gentilezza Hubbley. — Avrà bisogno di cibo per mantenersi in forze.

Lasciai il cucchiaio dov’era. — No — dissi. — Non è vero.

Ovviamente non capì. Peg, invece, con il tipico atteggiamento di allerta di un animale, colse qualcosa nel mio tono di voce. Mi fissò duramente prima di tornare a guardare Jimmy Hubbley con il volto arcigno trasformato dal rispetto, dalla adorazione e dall’amore languido e senza speranza di una persona comune per un’altra che lei ritiene chiaramente superiore rispetto a sé, quanto una divinità.

PARTE TERZA

Ottobre 2114

La verifica del nostro progresso non consiste nell’aumentare l’abbondanza di coloro che hanno molto, ma nel fornire il necessario a coloro che hanno troppo poco.

Franklin Delano Roosevelt, (Secondo Discorso di Inaugurazione)

10

Diana Covington — East Oleanta

La cosa più rimarchevole del trovarsi in una topaia fuori mano come East Oleanta avvenne quando mi resi conto che l’ECGS non sapeva dove fosse Miranda Sharifi. Era un ente governativo sofisticato e determinato ma, apparentemente, non sapevano nemmeno dove mi trovassi io. Non stavo usando nessuna delle identità che mi aveva procurato Colin Kowalski e avevo cambiato il mio personaggio tre volte lungo il tragitto verso East Oleanta. "Victoria Turner" aveva credenziali con il Fisco, con lo Stato del Texas, con la banca in cui era depositato il fondo fiduciario della sua famiglia, con gli istituti di istruzione software, con il Servizio di Assistenza Medica Nazionale, con negozi di drogheria: il mio amico ladro era bravissimo nel proprio mestiere. Abbastanza bravo da convincere Huevos Verdes… chi poteva saperlo? Mi sentivo comunque sicura che l’ECCS non ne sapesse niente.