La seconda cosa rimarchevole fu che io non chiamai l’ECGS per dire dove mi trovassi e cosa sospettassi. Lo imputai all’arroganza. Volevo essere in grado di dire: "Ecco qui Miranda Sharifi, latitudine 43°45’16 secondi — longitudine 74°50’86 secondi; è un laboratorio illegale di modificazione genetica, andate a prenderla, ragazzi" invece di dire: "Be’, penso che sia qui da qualche parte nelle vicinanze, anche se non ho prove". Se fossi stato un agente regolare il mio silenzio sarebbe risultato intollerabile. Io però non ero un agente regolare. Non ero proprio niente di regolare. Volevo, una volta nella mia incapace vita, avere successo in qualche cosa per mio conto. Lo volevo maledettamente.
Ovviamente, come quelli dell’ECGS, non sapevo con esattezza dove si trovasse Miranda Sharifi, anche se sospettavo che fosse nascosta in un qualche luogo nelle boschive Montagne Adirondack presso East Oleanta. Non avevo però la benché minima idea di dove poterla effettivamente trovare.
Fino a Lizzie Francy.
Tornai a trovare Lizzie Francy la stessa sera in cui le avevo spiegato per la prima volta alcune semplici operazioni del computer, il giorno dopo averle applicato un cerotto medico. Avevo notato come avesse cambiato colore Billy Washington quando gli avevo chiesto dell’Eden. Quel vecchio era il peggior bugiardo che avessi mai visto. Sapeva qualcosa sull’Eden: era disperatamente innamorato della ben più forte e ben più convenzionale Annie; Lizzie avrebbe potuto fare di lui tutto ciò che avesse voluto. Povero Billy.
Lizzie era seduta su un orrendo sofà in sintoplastica e indossava una camicia da notte rosa; aveva i capelli suddivisi in sedici treccine raccolte in un nastro rosa. Parti elettroniche erano sparpagliate sulla coperta. La avvistai alle spalle di Billy, che mi aveva aperto la porta ma non mi voleva lasciare entrare.
— Lizzie dorme, lei.
— No, Billy. È là dietro.
— Vicki! — gridò Lizzie con la sua vocetta da bambina e qualcosa di inaspettato mi si rigirò in petto. — Sei qui!
— È ammalata, lei, troppo ammalata per ricevere gente.
— Io sto bene, io — disse Lizzie. — Lascia entrare Vicki, Billy. Ti preeeeeego.
Egli lo fece, con espressione infelice. Annie non era in giro. Io dissi: — Che cosa hai lì, Lizzie?
— Il robot per pelare le mele della cucina del caffè — rispose lei prontamente e senza alcun senso di colpa. Billy si contrasse. — Si è rotto e io l’ho fatto a pezzi, io, per vedere se riesco a ripararlo.
— E ci riesci?
— No. E tu? — Mi fissò con scuri occhi affamati. Billy uscì dall’appartamento.
— Probabilmente no — risposi. — Non sono un tecnico di robot. Fammi dare un’occhiata, però.
— Ti faccio vedere tutto, io.
Lo fece. Rimise insieme i pezzi del robot-pela-mele che aveva un semplice chip Kellor standard alimentato da energia-Y. Io ero andata a scuola con Alison Kellor la quale aveva sempre professato un disprezzo annoiato per l’impero elettronico che avrebbe un giorno ereditato. Lizzie riassemblò il robot in due minuti circa e mi mostrò come non funzionasse nonostante un chip attivo. — Vedi questo pezzettino qui, Vicki? Dove il braccio che sbuccia si inserisce nel robot? Sembra come sciolto, lui.
Dissi: — Cosa pensi che lo abbia provocato?
I grandi occhi scuri mi fissarono. — Non lo so, io.
— Io sì. — La giuntura distrutta era in duragem. Era stata in duragem, fino all’attacco del rinnegato disgregatore replicante.
— Che cosa lo ha sciolto, Vicki?
Rivoltai il robot fra le mani, alla ricerca di altre giunture in duragem. C’erano, fra le parti in plastica fisse meno durevoli, ma più economiche. Le altre non "sembravano come sciolte, loro". Ma non lo erano nemmeno alcune delle parti in duragem.
— Che cosa l’ha sciolto, Vicki? Vicki? — Sentii una mano su un braccio.
Perché le altre giunture in duragem non erano state attaccate? Perché il disgregatore aveva una specie di meccanismo a orologeria. Si era autodistrutto dopo un certo periodo di tempo e aveva anche smesso di replicarsi dopo avere prodotto un determinato numero di copie di sé. Molti dei meccanismi di nano-tecnologia avevano questo dispositivo di sicurezza.
Lizzie mi scosse il braccio. — Che cosa l’ha sciolto, Vicki? Cosa?
— Un minutissimo macchinario. Troppo piccolo perché lo si possa vedere.
— Il disgregatore di duragem? Quello che io ho visto al notiziario, io?
Subito sollevai lo sguardo. — Tu guardi i notiziari dei Muli?
Mi lanciò un’occhiata lunga e seria. Mi resi conto che per lei si trattava di un’importante decisione da prendere: fidarsi di me o no. Alla fine disse, come se fosse una risposta: — Ho quasi dodici anni, io. La mia mamma, lei, pensa ancora che ci ho sei anni.
— Oh — commentai io. — E come fa una ragazzina di dodici anni a vedere i notiziari dei Muli? Al caffè non vengono mai trasmessi.
— Non c’è niente in piena notte. Qualche notte. Io vado lì, io, e me li guardo.
— Sgattaioli fuori di casa?
Lei annuì con espressione solenne, certa che questa ammissione avrebbe fatto crollare il mondo. Aveva ragione. Non avevo mai immaginato un bambino Vivo con tanta ambizione, curiosità, intelligenza o fegato. Mi resi conto che Lizzie Francy avrebbe avuto un’esistenza difficile: sgradita sia ai Vivi, sia ai Muli.
Vidi, a quel punto, un modo per utilizzare la sua diversità.
— Lizzie ti piacerebbe stringere un patto con me? Mi guardò con aria circospetta.
— Se tu mi dici quello che io voglio sapere io ti aiuterò a imparare tutto quello che posso sul funzionamento delle macchine.
Il volto di Lizzie cambiò. Sobbalzò alle mie parole come il piccolo promettente piranha che era.
— Me lo hai promesso. Vicki, io ti ho sentito, io, e quella era una promessa. Hai detto che mi aiuterai a scoprire tutto quanto su come funzionano le macchine!
— Ho detto "tutto quello che posso". Non tutto.
— Ma me lo hai promesso, tu.
— Sì, sì, l’ho promesso. Ma in cambio tu devi rispondere a tutte le domande che io ti faccio.
Rifletté un istante tenendo la testa piegata di lato, con le sedici treccine annodate di rosa che si diramavano in direzioni differenti. Non notò alcuna trappola di rilevante importanza. — D’accordo.
— Lizzie, hai mai sentito parlare dell’Eden?
— Nella Bibbia?
— No. Qui, vicino a East Oleanta.
A dispetto del nostro accordo, lei esitò. Le dissi: — Anche tu hai fatto una promessa.
— Ho sentito Billy e la mamma, io, che ne parlavano. La mamma diceva che l’Eden non esiste per niente se non nella Bibbia. Billy, invece, lui diceva che non era tanto sicuro, lui. Ha detto che forse era un posto nelle montagne o nei boschi che i Muli non conoscono e che magari i Vivi ci potrebbero lavorare, loro. Pensavano che stavo dormendo.
Un luogo che i Muli non conoscono. Il che significava, per East Oleanta, i Muli al governo, praticamente l’unico genere che una cittadina come quella aveva mai occasione di vedere.
— Billy se ne va mai da solo nei boschi? Senza la tua mamma?
— Oh, sì, gli piace, a lui. La mamma non se ne andrebbe mai nei boschi. È troppo grassa. — Lizzie disse quest’ultima frase come fosse un dato di fatto; per qualche strano motivo pensai improvvisamente a Desdemona che mi strappava via il braccialetto di latta senza alcun senso di colpa o sotterfugio.
— Ci va spesso? Quanto tempo sta via?