— Politici da quattro soldi. — La dottoressa Turner ha parlato ancora con l’unità medica e si è aperto un pannello su un fianco dove io non avevo mai visto nessun pannello. Dentro c’era un monitor e una tastiera. La dottoressa Turner ha digitato freneticamente. Ha poi studiato lo schermo.
— Cosa c’è? — ha chiesto Annie. — Che cos’ha Lizzie? — La voce di Annie era debole e lamentosa. Non sembrava per niente Annie.
Questa volta la dottoressa Turner non aveva più l’espressione da giocatore di scacchi. Questa volta aveva l’aspetto uguale alla sensazione che mi dava il mio stomaco. Le ossa sul suo volto sporgevano come se qualcuno gliele aveva tirate fuori dalla pelle.
— Billy, Lizzie ha toccato forse la punta del tuo bastone da passeggio? L’estremità con cui hai ribaltato il coniglio marrone?
Io ho rivisto Lizzie che danzava attorno all’appartamento con il mio bastone, che lo cavalcava, che lo agitava tenendolo in punta, che cantava su quel teorema di Godel. Qualcosa nelle budella mi è calato e ho pensato che stavo per vomitare.
— Sì. Stava giocando, lei.
La dottoressa Turner si è accasciata contro la parete. Aveva una voce densa. — Non è stato l’Eden. Non è stato l’Eden a creare quel coniglio. L’hanno fatto gli altri, il laboratorio illegale che ha diffuso il disgregatore, oh, Cristo santo all’inferno!
— Non si bestemmia — ha detto Annie, ma senza essere infuocata. Aveva gli occhi spalancati come quelli di Lizzie. Lizzie che ho capito che stava per morire.
Paulie ha detto: — Eden? Cos’è questa storia sull’Eden? — Aveva una faccia tesa e contratta.
La dottoressa Turner mi ha guardato. I suoi occhi, viola modificati geneticamente, innaturali quanto un coniglio dalle zampe bianche color marrone in un rigido novembre, non mi vedevano. Ne ero sicuro. Vedeva qualcosa d’altro, lei, e le sue parole non avevano senso. — Un cagnolino rosa. Un cagnolino rosa con quattro orecchie e degli occhi ipergrandi.
— Cosa? — ha detto di nuovo Paulie Cenverno sconcertato. — Cos’è ’sto cagnolino?
— Un cagnolino rosa. Senziente. Sacrificabile.
— Basta, adesso. Basta — ho detto io perché lei era fuori di testa, forse, e io mi sono reso conto che avrei avuto bisogno di lei. Bisogno che era in sé. Per portare Lizzie. No, poteva farlo Annie. Ma Annie non era abbastanza in forma per portare Lizzie. Paulie, allora. Ma Paulie stava già uscendo dalla clinica, lui. Lì stava succedendo qualcosa di strano e a lui non piaceva e quando a Paulie non piaceva qualcosa se ne allontanava. Non è come era il sindaco Jack Sawicki.
Inoltre non riuscivo a pensare a un modo per impedire alla dottoressa Turner di seguirci, a meno di farla fuori, e non avevo modo nemmeno per fare quello. Anche se potevo riuscire a costringermi a farlo. Se la dottoressa Turner portava in braccio Lizzie allora la dottoressa Turner non poteva sparare quando si apriva la porta dell’Eden.
Gli occhi della dottoressa Turner si sono schiariti. Mi vedeva di nuovo. Ha annuito.
Io ho guardato ancora attraverso la finestrella dell’unità medica. A Lizzie veniva messo una specie di cerotto medicinale anche se l’unità aveva detto che quella non era la medicina giusta. Probabilmente era il meglio che poteva fare. Era solo un robot alla moda.
La ragazza dalla testa grossa che aveva salvato la vita a Doug Kane e ucciso il procione con la rabbia non era un robot.
Stavo per fare quello che avevo giurato non avrei mai fatto. Stavo per portare la dottoressa Turner con me nell’Eden.
Il sole si stava appena alzando quando abbiamo lasciato il paese. Io camminavo davanti, io, reggendomi a un bastone diverso che la dottoressa Turner aveva strappato da un acero. Lei portava in braccio Lizzie, avvolta nelle coperte. Lizzie dormiva ancora per la medicina che le aveva dato l’unità medica. La sua pelle sembrava di cera. Annie veniva per ultima e arrancava attraverso i boschi dove non andava mai. Penso che piangeva, lei. Non potevo guardare perché poteva essere quel pianto privo di speranza che le donne fanno quando si è arrivati alla fine e non l’avrei sopportato. Non era ancora arrivata la fine. Stavamo andando nell’Eden
Il cielo ha preso tutti i colori di un fuoco di pini nodosi.
Io ho cercato di guidarle dove la neve non era troppo profonda. Qualche volta ho giudicato male e sono caduto in una buca colma di neve, sprofondando fino alle ginocchia. Ma andava bene così perché sono caduto solo io. Per questo motivo me ne stavo un bel po’ davanti agli altri. Tuttavia, ogni volta che cadevo, sentivo il cuore che correva un po’ più forte e le ossa che dolevano un po’ di più.
Il disgelo che avevamo avuto aiutava un pochino. Molta neve si era sciolta specialmente nei punti esposti al sole. Senza il disgelo non so se ce l’avrei fatta sulle montagne.
Lizzie gemeva, lei, ma non si svegliava.
— Solo un minuto, Billy — ha detto la dottoressa Turner dopo circa un’ora. Si è fermata in una chiazza assolata ed è caduta in ginocchio, Lizzie le è rimasta stesa in grembo. Ero sorpreso che aveva resistito così a lungo. Lizzie non era più leggera come un anno prima. La dottoressa Turner doveva essere più forte di quanto non sembrava, lei. Modificata geneticamente.
— Non abbiamo nemmeno un minuto extra! — ha gridato Annie, ma la dottoressa Turner non ci ha fatto attenzione, nemmeno per lanciarle un’occhiataccia. Forse la dottoressa Turner era troppo stanca per lanciare occhiatacce. Era stata alzata tutta la notte, guardando i notiziari sulla legge marziale del presidente. Penso che però sapeva come era spaventata a morte Annie.
— Quanto c’è ancora?
— Un’altra ora — ho detto io, anche se era di più. Non stavamo tenendo un buon passo. — Riesce a farcela?
— Ovviamente. — La dottoressa Turner si è alzata faticosamente reggendo Lizzie che pesava come un sacco. Solo per un istante ho pensato di avere visto Annie appoggiare una mano sul braccio della dottoressa Turner con estrema delicatezza. Ma forse Annie si stava solo sostenendo.
I boschi non mi erano mai sembrati tanto grandi.
Dopo un po’ il dolore ha cominciato ad annidarsi nelle mie ossa proprio come un animaletto. Mi rodeva dentro, le gambe, le ginocchia e la spalla del braccio che si reggeva al bastone. Poi ha cominciato a rodere verso il cuore.
Non potevo fermarmi. Lizzie stava morendo.
Adesso stavamo andando in salita, noi, sulla parte boschiva della montagna. Gli alberi e i cespugli si sono fatti più fitti. Non c’erano più zone al sole. Non le stavo portando per la strada che avevamo fatto io e Doug l’autunno prima, troppa neve. Questa via era più difficile e lunga ma ci saremmo arrivati.
C’è voluto quasi fino a mezzogiorno. La dottoressa Turner ci ha fatto fermare e mangiare un po’ del cibo che portava Annie. Aveva il sapore del fango. La dottoressa ha controllato che io mi mangiavo tutta la mia razione. Lizzie non poteva mangiare niente, lei. Non si muoveva, nemmeno gli occhi. Però respirava ancora. Ho sciolto un po’ di neve pulita con la torcia a energia-Y della dottoressa Turner e l’ho versata sulla labbra di Lizzie. Erano bluastre.
— "Padre Nostro che sei nei cieli, dacci oggi il nostro pane quotidiano…" — La dottoressa Turner fissava sconcertata Annie. Ho pensato che stava per dire qualcosa di tagliente su chi era che dava ai Vivi il loro pane quotidiano come avevo sentito fare ad altri Muli. I Muli non sono religiosi. Non lo ha fatto, però.
— Quanto manca ancora, Billy?
— Ci siamo quasi.
— Hai detto "ci siamo quasi" da almeno due ore!
— Ci siamo quasi.
Siamo partiti un’altra volta.
Quando ci siamo indirizzati lungo il sentiero che portava al ruscello ho pensato per un minuto, in preda al panico, che eravamo nel posto sbagliato. Non sembrava lo stesso. Il sentiero era scivoloso per il fango e il ruscello scorreva veloce anche se era intasato da blocchi di ghiaccio e rami spezzati che lo rendevano più largo di quanto non mi ricordavo. Scivolavamo e slittavamo lungo il ripido sentiero. La dottoressa Turner teneva Lizzie sopra a una spalla con una mano mentre con l’altra si afferrava agli alberi per evitare di cadere. Abbiamo attraversato con attenzione il ruscello. C’era un pezzetto di terra piatto e quasi sgombro con una sola betulla e una quercia con le foglie dell’anno passato che frusciavano al vento. Erano i miei punti di riferimento. Eravamo arrivati ma non c’era niente.