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Fu quello il momento in cui mi resi conto che l’ECGS mi aveva già drogata con il siero della verità. Era, ovviamente, una violazione del Quinto Emendamento, fatto troppo insignificante anche solo per commentarlo. Non commentai. Fissai piuttosto Koehler, Kowalski e gli altri che erano improvvisamente apparsi e poi, avvolta nel bagliore della verità assoluta e nel tenero e innocente desiderio di condividerla, cominciai a parlare, parlare, parlare.

17

Drew Arlen — Washington

C’erano guardie umane, guardie robot, scudi di protezione. Furono tuttavia le guardie umane quelle che notai. Tecnici, nella maggior parte dei casi, anche se almeno uno di essi era un Mulo. Li notai perché erano moltissimi. Miranda aveva più guardie umane dell’intera popolazione di Huevos Verdes, inclusi perfino gli Insonni sostenitori come i nipoti di Kevin Baker. Lei aspettava il processo in un carcere diverso rispetto a quello di sua nonna, la cui prigionia per tradimento rappresentava ormai storia antica: Jennifer aveva probabilmente meno guardie.

— Appoggi l’occhio direttamente sull’analizzatore, signore — disse uno di loro. Indossava la scialba divisa azzurra della prigione, dal taglio simile a quello delle tute, ma non era una tuta. Lasciai che mi venisse analizzata la retina. Huevos Verdes aveva superato questo livello di identificazione dieci anni prima.

— Anche lei, signora.

Carmela Clemente-Rice si avvicinò all’analizzatore. Quando indietreggiò di un passo, sentii una mano di lei sulla mia spalla, fresca e rassicurante. La avvertii nella mente come una serie di ovali intersecati in perfetto equilibrio.

La sensazione che mi dava la prigione era di una confusione blu incandescente. La mia.

— Da questa parte, prego. Attento ai gradini, signore.

Evidentemente non vedevano troppe carrozzine da quelle parti. Mi chiesi scioccamente il perché. La mia sedia scese sfiorando le scale.

L’ufficio del direttore del carcere non mostrava segni di sorveglianza o di impianti di sicurezza, il che significava che c’era abbondanza di entrambi. Era una grande stanza, ammobiliata nello stile attualmente in voga fra i Muli: tavoli semplici e lineari di teak e palissandro combinati con qualche sedia stile antico con sedili di stoffa e braccioli intagliati. Non sapevo di che periodo fossero.

Miranda lo avrebbe saputo.

Il direttore del carcere non si alzò quando io e Carmela venimmo fatti entrare. Era un Mulo fino alla bionda radice dei capelli. Alto, occhi azzurri, muscolatura possente, una replica modificata geneticamente di un capo vichingo fatta da genitori con più soldi che immaginazione. Parlò direttamente a Carmela, ignorandomi.

— Temo, dottoressa Clemente-Rice, che dopotutto non potrete far visita alla prigioniera.

La voce di Carmela restò serena, ma d’acciaio. — Si sbaglia, signor Castner. Io e il signor Arlen abbiamo un permesso del Procuratore Generale in persona per vedere la signorina Sharifi. Ha ricevuto notifica sia via terminale sia via cartacea. Ho con me le copie della pratica.

— Ho già ricevuto la notifica dal Tribunale, dottoressa.

L’espressione di Carmela non mutò. Restò in attesa. Il direttore del carcere si appoggiò allo schienale della sedia antica allacciandosi le mani dietro la testa con espressione ostile e divertita. Anche lui aspettò.

Carmela era più brava.

Alla fine lui ripeté: — Nessuno di voi due può vedere la prigioniera, a dispetto di quello che dice il Tribunale.

Carmela non disse nulla.

Lentamente l’espressione divertita di lui svanì. Lei non aveva intenzione né di chiedere né di pregare. — Non potete vedere la prigioniera perché la prigioniera non vuole vedervi.

Mi lasciai sfuggire: — Per niente?

— Per niente, signor Arlen. Si rifiuta di vedere entrambi. — Si appoggiò ulteriormente indietro sulla sedia, slacciando le mani, i suoi occhi azzurri piccoli nel bel volto.

Forse me lo sarei dovuto aspettare. Ma non era stato così. Appoggiai i palmi delle mani sulla sua scrivania.

— Le dica… le dica solo che io… le dica…

— Drew — disse dolcemente Carmela.

Cercai di ricompormi. Odiavo che quel bastardo sogghignante mi avesse sentito balbettare. Arrogante cazzone Mulo. In quel momento lo odiavo quanto avevo odiato Jimmy Hubbley, quanto avevo odiato Peg, quella povera ignorante zoticona senza speranza che si sforzava pateticamente di stare al passo con Jimmy Hubbley. "Non ci posso fare niente se so di più e penso meglio di te, Drew! Non posso fare a meno di essere quella che sono!"

Feci ruotare repentinamente la carrozzella e mi mossi verso la porta. Un istante dopo sentii che Carmela mi stava seguendo. La voce del direttore Castner bloccò entrambi.

— La signorina Sharifi ha lasciato un pacchetto per lei, signor Arlen.

Un pacchetto. Una lettera. Una possibilità di rispondere, di spiegarle che cosa avevo fatto e perché lo avevo fatto.

Non volevo aprire il pacchetto davanti a Castner. Avrei però potuto aver bisogno di prendere accordi per rispondere alla lettera lì, subito, e la lettera avrebbe potuto dare qualche spunto che… A Carmela erano occorse tre settimane per farci arrivare fin lì. Un favore personale del Procuratore Generale. Inoltre, Castner aveva indubbiamente già letto quello che Miranda aveva da dirmi. Che diavolo, intere squadre di esperti informatici della sicurezza avevano sicuramente analizzato le sue parole alla ricerca di un codice, di un nano-meccanismo nascosto, di un significato simbolico. Voltai le spalle a Castner e aprii la busta leggermente imbottita.

E se avesse scritto parole troppo difficili per me da comprendere…

Non c’erano però parole. Soltanto l’anello che le avevo regalato dodici anni prima, una sottile fascetta d’oro incastonata di rubini. Lo fissai finché l’anello non si sfuocò e solo la sua immagine restò a riempirmi la mente vuota.

— C’è una risposta? — chiese Castner con voce melliflua. Aveva sentito l’odore del sangue. — No — dissi io. — Nessuna risposta. — Continuai a fissare l’anello.

"Avevi detto che mi amavi!"

"Non più."

Carmela mi dava le spalle, fornendomi l’illusione di un po’ di privacy. Castner mi fissava, sorridendo debolmente.

Mi infilai l’anello in tasca. Lasciammo la prigione federale. Adesso non avevo nessuna forma nella mente, nulla. La grata scura che si era dissolta nel bunker sotterraneo di Jimmy Hubbley per mostrarmi il mio stesso serrato isolamento, non era mai più riapparsa. Non ero più soggiogato da Huevos Verdes. Miranda però era sparita. Leisha era sparita. Carmela era lì, ma non la sentivo nella mia mente, non riuscivo nemmeno realmente a vederla.

Ero solo.

Passammo nuovamente attraverso il sistema di sicurezza e uscimmo dalla prigione nella fredda e scintillante luce solare di Washington.

18

Diana Covington — Albany

Strizzai le palpebre e chiusi gli occhi davanti al bagliore di una parete che appariva eccessivamente bianca. Per un istante non riuscii a ricordare dove fossi o chi fossi. Questa informazione poi mi tornò in mente. Mi sedetti, troppo velocemente. Il sangue abbandonò la testa e la camera prese a turbinare.

— Si sente bene?

Una donna di mezz’età dal volto piacevole, con un corpo grassoccio e profonde rughe che andavano dal naso alla bocca. Modificata geneticamente al minimo, sempre che lo fosse, ma non un Vivo. Indossava l’uniforme della sicurezza. Era armata.

Chiesi: — Che giorno è?