Cambiai canale.
— "…severissimo embargo su ogni commercio di tipo fisico, viaggiatori, posta o qualsiasi oggetto diretto in Francia dall’America del Nord. Come con le altre nazioni, la paura della Francia di una contaminazione ha condotto a un’isteria che…"
Cambiai canale.
— "…apparentemente terminato. Gli scienziati del Massachusetts Institute of Technology hanno diramato un comunicato secondo cui i nano-meccanismi a orologeria del disgregatore di duragem non hanno ancora terminato il corso programmato, ma sono piuttosto svaniti nel tempo a causa della erronea interpretazione della complessa struttura della loro costruzione. Il Presidente del Dipartimento di Ingegneria Myron Aaron White ha parlato con noi nel suo ufficio di…"
Cambiai canale.
— "…carenza cronica di cibo. Ci si aspetta, tuttavia, che la situazione migliori ora che la crisi del disgregatore di duragem è rallentata, a causa, apparentemente, di…"
Restai a guardare per un’ora. La carestia stava diminuendo; la carestia stava aumentando. La piaga biotecnologica si stava diffondendo; la piaga biotecnologica era sotto controllo. Il resto del mondo era stato infettato da beni e viaggiatori americani; il resto del mondo mostrava soltanto segni di scarsa importanza sia di contaminazione del duragem sia della "peste da animali selvatici".
Nemmeno una volta, venne tuttavia nominata un’organizzazione clandestina di sabotatori nano-tecnologici. Nemmeno una volta venne menzionata l’organizzazione palese di Huevos Verdes. I Super-Insonni sarebbero anche potuti non esistere. Non Miranda Sharifi.
Mi avvicinai al tavolinetto degli uomini nell’angolo. Sollevarono lo sguardo senza sorridere. Indossavo una tuta color porpora e avevo gli occhi modificati geneticamente. Non allungai nemmeno la mano per controllare se avessi o no lo scudo personale sulla cintura. Doveva esserci. Koehler mi voleva viva: ero un preziosissimo laboratorio ambulante.
— Voi uomini sapete, voi, dov’è che posso trovare l’Eden?
Due volti restarono ostili. Sul terzo, il più giovane, gli occhi scintillarono e la bocca si raddolcì agli angoli. Parlai con lui.
— Io sto male, io. Penso di averla presa.
— Harry, è modificata geneticamente, lei — disse l’uomo più anziano. Nulla nel suo tono di voce mostrava timore di contagio.
— È malata — ribatté Harry. Aveva una voce più vecchia rispetto al volto.
— Non sapete dove…
— Vai alla macchinetta della droga al binario dodici, tu. C’è lì una donna con una collana che sembra di stelle. Ti porterà a un Eden, lei.
"Un" Eden. Uno dei molti. Preparati in anticipo da Huevos Verdes: tecnologia, distribuzione, diffusione di informazioni, tutto quanto. La forza di sicurezza dei Vivi, se così la si poteva chiamare, consisteva in tutto nel pacato scoraggiamento degli amici di Harry, il che significava che il governo non stava interferendo. Mi vennero le vertigini.
Durante il lungo tragitto fino al binario dodici, vidi solamente quattordici persone. Due di esse erano tecnici Muli. Non vidi alcun treno lasciare la stazione. Un robot-pulitore era bloccato, immobile, nel punto in cui si era guastato, ma non c’erano lattine di bibita, panini mezzo mangiati, torsoli di mele modificate geneticamente, carte di caramelle di soia sintetica sul pavimento. Senza tutte queste cose la stazione sembrava di Muli, non di Vivi.
Una donna di mezza età stava seduta pazientemente per terra presso la macchinetta distributrice di droga. Indossava una tuta blu e una collana di lattina, ogni tondino di metallo tenero piegato e ribattuto fino a formare una rozza stella. Mi piantai davanti a lei. — Sono malata.
Mi ispezionò attentamente. — No, non è vero.
— Voglio andare nell’Eden.
— Di’ al Capo della Polizia Randall che se vuole chiuderci dentro, lui, lo deve fare e basta. Non c’ha bisogno di nessun Mulo che viene qui facendo finta che è malato, lui, se non lo è. — La donna pronunciò queste parole senza rancore, dolcemente.
— Giù nella tana del coniglio — dissi io. — "Mangiate di Me", "Bevete di Me". — Al che, naturalmente, lei non fece una piega.
Mi diressi verso un monitor di informazioni ferroviarie e chiesi notizie sulle partenze dei treni. Era rotto. Provai con un altro. Al quarto tentativo un monitor funzionante mi rispose.
Il binario 25 si trovava in un’altra sezione della stazione. Lì c’era maggiore attività, anche se non più spazzatura a terra. Tre tecnici stavano lavorando su un treno. Mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento, senza rivolgere loro la parola, finché non ebbero terminato. Ripararono solamente quel treno, quindi se ne andarono, con un’espressione stanca in viso. Colin Kowalski e Kenneth Koehler sapevano dove sarei andata.
Ero l’unico passeggero. Il treno era un diretto. Il tramonto era appena all’inizio quando scesi sulla deserta via principale di East Oleanta.
L’appartamento di Annie su Jay Street era vuoto, la porta socchiusa. Non era stato preso nulla. Non l’orrendo e sgargiante arazzo, non i secchi dell’acqua, non i cuscini in plasti-stoffa, non la bambola mezza rotta di Lizzie. Entrai e mi stesi sul letto di Lizzie. Dopo qualche tempo mi diressi al caffè.
Non c’era nessuno nemmeno lì. La catena del cibo era ferma e vuota, l’olo-terminale spento. Il caffè non era stato distrutto. Era solamente stato evacuato, come il resto del paese. Il governo voleva che tutti gli estranei venissero allontanati per qualche tempo, il che non includeva me. Non ero un’estranea. Dal loro punto di vista ero una delle cinque persone più importanti del mondo: quattro laboratori biologici ambulanti e la loro scienziata pazza prigioniera. Ero io il gestore del laboratorio, così come lo erano probabilmente gli altri tre. Dovevo soltanto aspettare che arrivassero.
Prima che mancasse la luce, camminai in mezzo alla neve fino alla piatta e pietrosa sponda del fiume dove Billy aveva spostato il coniglio marrone zampa bianca con il bastone che Lizzie gli aveva regalato. Il coniglio era sparito. Rimasi seduta a lungo sull’argine, fissando l’acqua fredda, finché il sole non fu tramontato e la pietra mi raggelò il sedere.
Passai la notte nell’appartamento di Annie, sul divano. L’unità di riscaldamento funzionava ancora. Anche se mi svegliai spesso durante la notte, fu soltanto per brevi periodi. Non si trattava di una vera e propria insonnia. Ogni volta, mi misi in attento ascolto, nell’oscurità. Non c’era nulla da sentire.
Una volta, per un impulso semi-conscio, mi toccai le orecchie. I buchi per gli orecchini si erano chiusi. Mi passai un dito sulla coscia, alla ricerca di una cicatrice che mi ero provocata in una caduta durante l’infanzia. La cicatrice era sparita.
Passai la mattina successiva a guardare l’olo-terminale. Bannock Falls, in Ohio, era stata spazzata via dalla pestilenza in ventiquattro ore. I robot con telecamera mostravano i corpi morti lì dove erano caduti, fuori dal Caffè Senatrice Ellen Piercy Devan, stesi gli uni sugli altri con addosso pesanti tute invernali, come vittime della peste bubbonica del Quattordicesimo secolo.
A Jupiter, in Texas, i Vivi si erano scatenati in una rivolta, facendo saltare in aria la loro cittadina con esplosivi nano-tecnologici che non dovevano, non potevano, avere posseduto. La gente del paese aveva promesso di calare su Austin se non fossero stati inviati loro 450.000 cubiti di cibo, apparentemente una unità di misura biblica, nel giro di ventiquattro ore.
L’enclave di Muli di Chevy Chase nel Maryland si era autoimposta una quarantena: nessuno dentro, nessuno fuori.
La maggior parte dell’Europa, del Sud America e dell’Asia aveva imposto l’embargo su qualsiasi cosa provenisse dal Nord America: violazioni punite con la pena capitale. La metà dei paesi sosteneva che gli embargo stessero funzionando e che i proprio confini fossero puliti; l’altra metà reclamava risarcimenti legali per le proprie infrastrutture in rovina e per la morte dei cittadini. Gran parte dell’Africa rivendicava entrambe le cose contemporaneamente.