L’ologramma sopra la prigione cambiò per l’ultima volta.
Pensai di avere visto Lizzie. Follia! Non era possibile distinguere gli individui a quella distanza. La mia mente voleva semplicemente che io morissi con la massima angoscia drammatica possibile. Pensai quindi di vedere correre Lizzie in avanti ed essere calpestata da persone in preda al panico che cercavano di scappare da ciò che era stato inevitabile dal momento della creazione della prima modificazione genetica.
Serrai gli occhi per morire. Quindi li aprii nuovamente.
In tempo per vedere il nanosecondo in cui accadde.
Lo scudo attorno a Oak Mountain brillò più sfolgorante dell’ologramma nel cielo. In un istante il carcere venne avvolto da una luce argentata. L’istante dopo la stessa luce argentata schizzò fuori dalle pareti della prigione sulla folla sottostante, in cornicioni grottescamente allungati di pura energia. La bomba, o qualsiasi cosa fosse stata, colpì la cima dello scudo a energia e detonò, o rimbalzò, o venne ributtata indietro. Un aereo esplose nel mezzo di un lampo che mi accecò, ma non si trattava di un ordigno nucleare. Un attimo dopo una seconda esplosione: l’altro aereo. Quindi silenzio di morte.
La gente aveva smesso di correre, nella maggior parte dei casi. Sollevò lo sguardo verso l’opaco tetto argentato che la proteggeva, il tetto di radiazioni ad alta tecnologia di fabbricazione umana.
Gridai e barcollai in avanti. La caviglia mi cedette, immediatamente e caddi. Sollevai il petto dal terreno e guardai in alto. Il "tetto" si estendeva fino ai pendii più bassi della montagna. Non riuscii a vederci attraverso. Udii tuttavia le esplosioni seguenti, artiglieria, radiazioni o qualcosa che doveva essere stato lanciato dalla cima della lontana montagna.
La gente aveva ricominciato a gridare. Lo spintonare e il calpestare, tuttavia, erano terminati. Raccolti sotto quell’ombrello ad alta energia, il posto più sicuro dove stare.
Pensai: "Huevos Verdes protegge i suoi".
Mi stesi nuovamente a terra, con la guancia premuta contro il duro terreno. Mi sembrava di non avere ossa: non riuscivo letteralmente a muovermi. Anche dei bambini piccoli avrebbero potuto calpestarmi. Huevos Verdes aveva protetto i suoi, salvando incidentalmente le vite di nove o diecimila Vivi, intanto che un altro ignoto numero di Vivi veniva spazzato via. Ecco chi faceva le leggi, adesso: Huevos Verdes. Ventisette Insonni, più la loro eventuale prole, che non si consideravano parte del mio paese. O di nessun altro. Non i Muli, non i Vivi, non la Costituzione che perfino per i Muli era stata sempre silenziosa sullo sfondo ma fondamentale, come la roccia. Non più.
Chi era stato lo statista le cui ultime parole avevano riguardato il destino degli Stati Uniti? Adams? Webster? Avevo sempre ritenuto che fosse una storiella stupida. Le sue ultime parole non avrebbero dovuto riguardare sua moglie, il suo testamento, o l’altezza del suo cuscino… qualcosa di concreto e personale? Che cosa eclatante pensare di essere tanto grandi da paragonarsi al destino di un intero paese, e in un momento simile! Pretenzioso, da palloni gonfiati. Sciocco, oltre tutto. Quell’uomo non avrebbe più promulgato leggi o influenzato alcuna condotta politica, stava "morendo". Sciocco.
Adesso riuscivo a capirlo. Continuava a essere sciocco ma riuscivo a capirlo.
Penso di non avere mai provato una tale desolazione.
Ci fu un’esplosione finale che mi lasciò l’orecchio, quello che non era premuto contro il terreno, completamente assordato. Lottai per voltare la testa e guardare in alto. Lo scudo era scomparso, così come l’ologramma e l’intera cima della lontana montagna. Non ne avevo mai scoperto il nome.
Altre grida. Adesso che era tutto finito. I Vivi probabilmente non se ne rendevano conto, avrebbero potuto non rendersi mai conto di ciò che era andato perduto. Piccole bande di tribù vagabonde, autosufficienti, che non avevano più bisogno di quella pittoresca entità degli "Stati Uniti" di quanto non ne avesse Huevos Verdes. Vivi.
Le prime persone in fuga mi superarono correndo, dirigendosi verso le buie colline. Arrancai in piedi, o meglio su un piede. Se non appoggiavo l’intero peso del mio corpo sulla caviglia che stava autoguarendo, potevo balzellare in avanti. Dopo pochi metri trovai una torcia lasciata cadere a terra. La spensi e mi ci sorressi come fosse un bastone. Non era proprio dell’altezza giusta, ma poteva andare.
Fu un lento avanzare, essendo io l’unica persona che si muoveva in direzione della prigione. La gente aveva smesso di spintonare e alcune anime gentili o colte dal senso di colpa avevano cominciato a trascinare via i morti su cui gli altri erano passati. Una folla di quelle dimensioni, tuttavia, necessita di parecchio tempo per disperdersi. Il rumore dei pianti e delle grida era sopraffacente, specialmente dopo che ebbi cominciato a farmi strada a fatica attraverso gli stretti passaggi che si formavano fra le persone. La caviglia mi pulsava.
Passò almeno un’ora prima che riuscissi a raggiungere la prigione.
Salterellai lungo tutto il perimetro delle mura e svoltai l’angolo in direzione del fiume. Per me risultava in qualche modo sconcertante che l’acqua continuasse a scorrere e brontolare, che le rocce si trovassero nella solita sciocca posizione. Per un istante non vidi quel fiume ma un altro, con un coniglio dalle zampe bianche morto lungo la riva. Quale fiume sentivo mormorare nell’oscurità? Da quella parte delle mura non era rimasto nessuno, ma mi sembrò di scorgere dei corpi morti a terra. In effetti si trattava di ombre. Anche dopo essermene resa conto, tuttavia, esse continuarono a sembrarmi cadaveri. Continuarono a sembrare Lizzie, tutte quante, in momenti diversi. Il dolore mi si stava diffondendo dalla caviglia all’intera gamba. Non ero completamente in me.
Quando raggiunsi le porte della prigione, sollevai lo sguardo verso gli scudi di sicurezza che sporgevano dalle pareti proprio come aveva fatto lo scudo argentato. Dissi loro: — Voglio entrare.
Non accadde nulla.
Dissi, più forte, e udii io stessa la sfumatura di isteria che avevo nella voce: — Adesso entro. Lo faccio. Adesso. Entro.
Il fiume brontolava. Gli scudi si illuminarono leggermente, o forse no. Un istante dopo la porta si spalancò.
Proprio come l’Eden.
Zoppicai in una piccola anticamera. La porta si chiuse di scatto alle mie spalle. Sulla parete opposta se ne aprì un’altra. Ero stata precedentemente in prigione, come parte del mio antico addestramento da investigatore. Sapevo come funzionavano. Dapprima c’erano le porte automatizzate gestite dal computer e i bio-detector, e tutte mi fecero passare. C’era quindi la seconda serie di porte, che non sono a energia-Y, ma porte a sbarre di una lega al carbonio apribili solo manualmente, perché esistevano sempre persone in grado di penetrare in un qualsiasi sistema elettronico, incluse le impronte di retina. È stato fatto. La seconda serie di porte è controllata da esseri umani posti dietro scudi a energia-Y e se non ci sono gli esseri umani nessuno può entrare. O uscire. Non senza cariche esplosive imponenti come quelle con cui avevano già tentato i tipi del Volontà e Ideale.
Mi trovai di fronte alla prima porta a sbarre e sbirciai attraverso la finestra oscurata che dava sulla guardiola, una finestra costruita in plastichiara e non con l’energia-Y, perché anche l’energia-Y è vulnerabile rispetto a molti strumenti elettronici sofisticati. C’era una sagoma lì dietro. In qualche modo quelli di Huevos Verdes dovevano essere riusciti a portare dentro delle persone loro. Quando? Come? E che cosa avevano fatto con gli agenti carcerari Muli?
La porta si aprì.
Quindi si aprì la successiva.
E quella dopo ancora.
Non c’era nessuno nel cortile della prigione. Le sale ricreazione e mensa si trovavano sulla destra, quelle riservate all’amministrazione e la palestra erano sulla sinistra. Avanzai a balzi verso i blocchi con le celle che si trovavano in fondo. Fra di essi si scorgeva un solitario pìccolo edificio. Isolato. Quando spinsi la porta, essa si aprì.