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«Mi ha sbattuto dritto addosso», deglutì Dalquist. «La sua visiera si è fracassata contro il lato posteriore del mio casco…»

L’atmosfera a base di cloro dell’interno della nave aveva messo fine alla vita di Cotton, orribilmente, ma in pochi attimi. Dalquist, Fern e Talman si fissarono l’un l’altro.

Il gigante biondo disse: «Siamo rimasti in tre. Non mi piace questa storia. Non mi piace affatto».

Fern digrignò i denti. «Così, stiamo ancora sottovalutando quell’affare. D’ora in avanti state ben attaccati ai pilastri. Non muovetevi senza avere un robusto ancoraggio. Tenetevi lontani da qualunque cosa possa causare guai».

«Stiamo sempre tornando verso la Terra», constatò Talman.

«Già». Fern annuì. «Potremmo aprire uno dei boccaporti e uscir fuori nello spazio aperto. Ma poi? Prima avevamo progettato di usare questa nave. Ora dobbiamo farlo».

Dalquist disse: «Se ci arrendessimo…»

«Verremmo giustiziati», tagliò corto Fern. «Abbiamo ancora tempo. Ho rintracciato alcuni dei più importanti circuiti. Ho escluso un bel po’ di collegamenti».

«Pensi ancora di riuscirci?»

«Credo di sì. Ma non lasciate andare i vostri appigli, neppure per un attimo. Troverò la risposta prima che tocchiamo l’atmosfera».

Talman ebbe un suggerimento: «Il cervello emette delle onde riconoscibili. Forse con un indicatore direzionale…»

«Se fossimo in mezzo al deserto di Mojave, funzionerebbe. Non qui. Questa nave è imbottita di correnti e radiazioni d’ogni tipo. Come potremmo mai identificarle una ad una senza un’apparecchiatura adatta?»

«Abbiamo portato alcuni strumenti con noi. E ce ne sono in abbondanza sulle pareti».

«Tutti collegati insieme. Continuerò il lavoro, ma senza correr rischi. Vorrei proprio che Cunningham non fosse morto».

«Quentin non è uno stupido», disse Talman. «Prima ha fatto fuori l’ingegnere elettronico, e poi Brown. E poi ha cercato di eliminare anche te. L’alfiere e la regina».

«Ed io cosa sarei?»

«La torre. E se troverà il modo, liquiderà anche te». Talman si accigliò, cercando di ricordare qualcosa. Poi ci arrivò. Si avvicinò al braccio di Fern, dal quale pendevano ancora la stilo col blocco di appunti, e schermando il foglio col corpo, nel caso in cui qualche cellula fotoelettrica potesse esser sistemata lì intorno, sulle pareti o nel soffitto, scrisse: «Si ubriaca alle alte frequenze. Puoi far qualcosa?»

Fern accartocciò il foglietto, poi lo strappò in piccoli pezzi, con le dita impacciate dai guanti. Strizzò l’occhio a Talman e fece un breve cenno col capo.

«Be’, continuerò a provare», disse ad alta voce, e lasciò scorrere la corda fino al gruppo di strumenti che lui e Cunnigham avevano portato a bordo.

Rimasti soli, Dalquist e Talman, si agganciarono ai pilastri e attesero. Non c’era nient’altro che potessero fare. Talman aveva già riferito di quella faccenda dell’alta frequenza a Fern e a Cunningham, i quali però non avevano visto, allora, nessuna possibilità di sfruttare quell’informazione. Ma adesso, poteva esser questa la risposta, con l’applicazione della psicologia pratica come integrazione della tecnologia.

Talman desiderava ardentemente una sigaretta, ma tutto quello che poteva fare, sudando nella scomoda tuta, era maneggiare un congegno incorporato per inghiottire qualche pastiglia di sare e pochi sorsi d’acqua tiepida. Il cuore gli batteva sempre più affannoso, e provava un sordo dolore alle tempie. La tuta spaziale era scomoda: non era abituato a quella sorta di prigionia personale.

Attraverso il ricevitore incorporato del casco udiva il silenzio ronzante, interrotto dal fruscio degli stivali di Fern che si aggirava lì intorno. Ammiccò davanti al caos di cavi e tubazioni che lo circondava dovunque, e socchiuse gli occhi: quella spietata luce gialla non era destinata alla vista umana, gli provocava piccole, continue pulsazioni nervose in qualche punto delle cavità orbitali. Da qualche parte, dentro quella nave, pensò, e con tutta probabilità in quella stessa sala, c’era Quentin. Ma mimetizzato. E come?

Roba degna della «Lettera rubata» di Poe… oppure no? Quentin non aveva nessun motivo di aspettarsi dei dirottatori. Solo per puro caso il transplant si era trovato protetto da un nascondiglio così efficace. Quello, e la particolare tecnica seguita per costruire quella nave, senza un progetto generale, ma procedendo passo passo, tutt’al più con l’uso d’un regolo calcolatore. Ma, pensò Talman, se fosse stato possibile indurre lo stesso Quentin a rivelare la sua posizione…

E come? Tramite un’irritazione cerebrale indotta? Un’intossicazione?» Fare appello alle cose più basilari. Al sesso, magari? Ma un cervello isolato non era in grado di propagare la specie. L’unico suo istinto era quello della conservazione di se stesso. Talman desiderò aver portato Linda con sé. Allora, avrebbe avuto qualcosa su cui far leva.

Se soltanto Quentin avesse avuto un corpo umano! Non sarebbe stato così difficile trovare la risposta. E non necessariamente con la tortura. Le reazioni muscolari automatiche, la vecchia risorsa dei maghi professionisti, avrebbero potuto guidare lui, Talman, alla meta. Ma, per sfortuna, lo stesso Quentin era la meta… un cervello senza corpo in un cilindro di metallo imbottito e isolato. E un cavo elettrico per colonna vertebrale.

Se Fern fosse riuscito a montare un congegno per irradiare l’alta frequenza, le radiazioni avrebbero indebolito le difese di Quentin; in qualche modo. Ma al momento, il transplant era un avversario molto, molto pericoloso. Ed era perfettamente mimetizzato.

Be’, non perfettamente. Decisamente no. Perché — e Talman se ne rese conto con un’eccitazione improvvisa — Quentin non se ne stava semplicemente seduto, comodo, ignorando i pirati, ma aveva preso la via più veloce per far ritorno alla Terra. Il fatto stesso che ripercorresse la sua rotta invece di proseguire per Callisto, indicava che Quentin voleva chiedere aiuto. E nel frattempo, si sforzava in ogni modo di assassinarli, distraendoli dalla ricerca.

Perché, com’era ovvio, Quentin poteva esser trovato.

Con il tempo.

Cunningham ci sarebbe riuscito. E perfino Fern rappresentava una minaccia per il transplant. Questo significava che Quentin… aveva paura.

Talman risucchiò il proprio respiro. «Quentin», disse, «ho una proposta. Mi stai ascoltando?»

«Si», disse quella voce distante e terribilmente familiare.

«Ho una soluzione per tutti noi. Tu vuoi rimanere in vita. Noi vogliamo questa nave. Giusto?»

«Giusto».

«Supponi che ti sganciassimo col paracadute non appena toccheremo l’atmosfera della Terra. Poi potremo prendere i comandi e puntare di nuovo verso lo spazio. In questo modo…»

«E Bruto è un uomo d’onore», osservò Quentin. «Ma naturalmente non lo era. Non posso più fidarmi di te, Van. Gli psicopatici e i criminali sono troppo amorali. Sono spietati perché pensano che il fine giustifichi i mezzi. Tu sei uno psicologo psicopatico, Van, ed è proprio per questo che non ti prendo in parola su niente».

«Stai correndo un grosso rischio. Se troveremo in tempo il collegamento giusto, non ci sarà più spazio per trattare, lo sai».

«Se».

«La via per la Terra è lunga. Adesso stiamo prendendo le nostre precauzioni. Non puoi più uccidere nessuno di noi. Basterà soltanto che continuiamo a lavorare con metodo fino a quando non ti avremo trovato. Ora… che ne dici?»

Dopo una pausa, Quentin rispose: «Preferisco correre i miei rischi. Conosco i valori tecnologici meglio di quelli umani. Fintanto che dipendo dal mio proprio campo di conoscenza, sarò molto più al sicuro che se tentassi di addentrarmi nella psicologia. Conosco i coefficienti e i coseni, ma non ne so molto sulla macchina colloidale che sta dentro il tuo cranio».