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Barry Longyear

Mio caro nemico

Il draconiano contrasse le tre dita della mano. Negli occhi gialli della creatura potevo leggere il desiderio di stringere quelle dita attorno a un’arma, o alla mia gola. Mentre contraevo a mia volta le dita, sapevo che lui poteva leggere lo stesso desiderio nei miei occhi.

— Irkmaan! — disse l’essere, sprezzante.

— Luridissimo Drac! — Gli feci cenno di avvicinarsi. — Avanti, Drac, fatti sotto!

— Irkmaan vaa, koruum au!

— Insomma, vuoi chiacchierare o vuoi lottare? Avanti, fatti sotto! — Sentii uno spruzzo sulle spalle. Il mare era un inferno di cavalloni crestati di bianco che minacciava di inghiottirmi come aveva già fatto con il mio caccia. Io ero sceso con l’apparecchio. Il Drac si era gettato con la capsula di salvataggio, quando il suo caccia era stato colpito, negli strati superiori dell’atmosfera. Ma non prima di avermi messo fuori uso il motore. Ero esausto per lo sforzo di nuotare fino alla spiaggia di roccia grigia e di tirarmi in salvo. Alle spalle del Drac, fra le colline nude e rocciose, poteva vedere la sua capsula. Sopra di noi, molto in alto, la sua gente e la mia se le stavano ancora dando di santa ragione per il possesso di un angolo di nulla disabitato. Il Drac se ne stava lì, immobile, e cercai di ricordarmi la frase che ci avevano insegnato durante l’addestramento… una frase studiata apposta per fare impazzire di rabbia qualsiasi Drac. — Kiz la youmeen, Shizumaat! — Traduzione: Shizumaat, il più illustre filosofo draconiano, mangia escrementi di kiz. Più o meno come costringere un mussulmano a mangiare carne di maiale.

Il Drac spalancò la bocca, orripilato, poi la richiuse, mentre per la rabbia cambiava letteralmente colore, da giallo a bruno-rossiccio. — Irkmaan, Topolino è cretino!

Avevo giurato di combattere e morire per molte cose, ma quel venerabile roditore non entrava nel novero. Cominciai a ridere, e continuai finché la risata, combinandosi con la stanchezza, non mi costrinse a cadere sulle ginocchia. Facendomi forza aprii gli occhi, per sorvegliare il mio nemico. Il Drac stava correndo verso le alture, allontanandosi da me e dal mare. Mi girai verso il mare, ma feci appena in tempo a intravvedere un milione di tonnellate di acqua che mi piombavano addosso, prima di perdere i sensi.

— Kiz da Youmaan, Irkmaan, ne?

Avevo gli occhi pieni di sabbia e irritati per la salsedine, ma qualcosa dentro di me riuscì a dire: Ehi, sei vivo. Feci per pulirmi gli occhi, e scoprii che avevo le mani legate a una sbarra di metallo. Mentre le lacrime mi ripulivano gli occhi, potei vedere il Drac seduto su una roccia nera, che mi guardava. Doveva avermi tirato in salvo.

— Grazie, faccia di rospo. E queste manette?

— Ess?

Cercai di agitare le braccia, ma riuscii solo a dare l’impressione di un caccia atmosferico che scivola d’ala. — Slegami, schifoso Drac! — Ero seduto sulla sabbia, con la schiena appoggiata a una roccia.

Il Drac sorrise, mettendo in mostra le due mandibole. Avevano un’aria abbastanza umana… Tranne per il fatto che, invece di avere denti separati, erano di un pezzo unico.

— Eh, ne, Irkmaan. — Si alzò, mi venne vicino, e controllò le mie manette.

— Slegami!

Il sorriso sparì.

— Ne! — Mi puntò addosso un dito giallo. — Kos son va?

— Non parlo il drac, faccia di rospo. Parli inglese, tu? O esper?

Il Drac alzò le spalle, con aria molto umana, poi si puntò il dito contro il petto. — Kos va son Jeriba Shigan. — Indicò ancora verso di me. — Kos son va?

— Mi chiamo Willis Davidge.

— Ess?

Sillabai con qualche difficoltà:

— Kos va son Willis Davidge.

— Eh. — Jeriba Shigan annuì, poi mi fece un cenno con la mano. — Dasu, Davidge.

— Altrettanto a te, Jerry.

— Dasu, Dasu! — Jeriba sembrò spazientirsi. Mi strinsi nelle spalle meglio che potei. Il Drac si chinò, mi afferrò con entrambe le mani il petto della tuta e mi tirò in piedi. — Dasu, dasu, kizlode!

— Ho capito, ho capito! Dasu vuol dire alzati. E kizlode?

Jerry rise.

— Gavey «kiz»?

— Sì, gavey.

Jerry si indicò la testa. — Lode. — Indicò la mia testa. — Kizlode. Avevo capito. Sferrai un colpo con le braccia unite, e presi Jerry sulla testa con la sbarra. Il Drac andò a sbattere contro una roccia, con un’espressione di sorpresa. Si toccò la testa con una mano, e la ritirò coperta di quel pus biancastro che i Draconiani considerano sangue. Mi guardò con un’espressione omicida negli occhi. — Gefh! Nu Gefh, Davidge.

— Fatti sotto, Jerry, figlio di puttana di un kizlode!

Jerry mi si buttò addosso, e io cercai di colpirlo ancora con la sbarra, ma il Drac mi prese il polso destro con entrambe le mani, e sfruttando il mio impeto mi fece girare su me stesso, mandandomi a sbattere con la schiena contro un’altra roccia. Proprio mentre riuscivo a riprendere fiato, Jerry raccolse un piccolo masso e venne verso di me con tutte le intenzioni di sfracellarmi il cranio. Appoggiandomi con la schiena alla roccia, gli diedi un calcio nello stomaco, mandandolo a finire lungo disteso sulla sabbia. Corsi verso di lui, pronto a sfracellare a pedate il suo cranio, quando lui indicò alle mie spalle. Mi voltai e vidi un’altra ondata gigantesca che prendeva la rincorsa per venirci addosso. — Kiz! — Jerry si mise in piedi e corse come un dannato verso il terreno più elevato, con me alle calcagna.

Con il ruggito dell’ondata alle nostre spalle ci infilammo fra le rocce nere, levigate dalla sabbia e dall’acqua bassa, finché non raggiungemmo la capsula di Jerry. Il Drac si fermò, appoggiò la spalla all’aggeggio a forma di uovo e cominciò a farla rotolare. Compresi il suo scopo. Quella capsula conteneva gli unici mezzi di sopravvivenza, cibo compreso, di cui fossimo a conoscenza sul pianeta. — Jerry! — gridai al di sopra del rombo crescente dell’ondata. — Toglimi questo dannato affare e ti potrò aiutare! — Il Drac mi guardò accigliato. — La sbarra, kizlode, toglimela! — Indicai con la testa le mie mani.

Jerry mise una roccia sotto la capsula, per impedirle di rotolare indietro, poi mi slegò in fretta i polsi e tirò via la sbarra. Ci appoggiammo entrambi con le spalle alla capsula, e la facemmo rotolare sul terreno più elevato. L’ondata si arrampicò sul pendio, veloce, finché non ci arrivò al petto. La capsula galleggiava come un sughero, e riuscimmo a stento a tenerla ferma, fino a quando l’ondata non si ritirò, lasciando la capsula incastrata fra tre massi. Mi fermai ansimante.

Jerry si lasciò cadere sulla sabbia, appoggiando la schiena a uno dei massi. Osservò l’ondata recedere verso il mare. — Magasienna!

— L’hai detto, fratello. — Mi sedetti vicino al Drac. Stipulammo con un’occhiata una tregua temporanea, e immediatamente ci addormentammo.

Aprii gli occhi su un cielo di neri e di grigi ribollenti. Lasciai rotolare la testa sulla spalla sinistra e guardai il Drac. Era ancora addormentato. La prima cosa che pensai fu che quella era una occasione d’oro per fare un bello scherzo a Jerry. La seconda fu quanto era sciocca la nostra disputa, di fronte alla lotta gigantesca degli elementi intorno a noi. Perché non era ancora arrivata la squadra di soccorso? Forse la flotta dei Drac ci aveva annientato? E allora perché i Drac non erano arrivati per raccogliere Jerry? Forse si erano annientati a vicenda. Non sapevo neppure dove mi trovavo. Scendendo, era sembrata un’isola, ma oltre a questo non sapevo nient’altro. Fyrine IV: il pianeta non era neanche abbastanza importante da avere un nome, ma lo era abbastanza perché vi fossimo mandati a morirci.