Allargai le braccia, me le misi in grembo, mi morsicchiai le labbra, mi grattai la barba, insomma, cercai di prendere tempo. Zammis non mi staccò un attimo gli occhi di dosso. — Senti, Zammis, tu non hai un padre e una madre. Io sono un uomo e ce li ho. Tu sei un Drac e hai un solo genitore… capito?
Zammis scosse la testa. Mi guardò, poi si indicò il petto. — Drac.
— Giusto.
Zammis indicò me. — Umano.
— Bravo.
Zammis abbassò la mano. — Da dove vengono i Drac?
Buon Dio! Adesso mi toccava spiegare la riproduzione ermafroditica a un bambino di quattro mesi! — Zammis… — Alzai le braccia, poi le lasciai cadere. — Senti, lo vedi che io sono molto più grande di te?
— Sì, zio.
— Bene. — Mi passai le dita fra i capelli, cercando di guadagnare tempo e di trovare l’ispirazione. — Il tuo genitore era grande, come me. Si chiamava… Jeriba Shigan. — Era strano come fosse doloroso solo pronunciare quel nome. — Jeriba Shigan era come te. Aveva solo tre dita per mano. Tu sei cresciuto nella pancia. — Gli battei col dito sulla pancia. — Capito?
Zammis rise, tenendosi lo stomaco. — Zio, come crescono qui i Drac?
Rimisi le gambe sul materasso e mi distesi. Come nascono i piccoli Drac? Guardai il piccolo, e vidi che pendeva dalle mie labbra. Feci una smorfia e gli dissi la verità. — Che mi venga un accidente se lo so. — Trenta secondi dopo, Zammis era tornato a giocare con le sue pietre.
Per l’estate, avevo insegnato a Zammis come catturare i lunghi serpenti grigi, e come affumicare la carne. Si sedeva ai bordi di una pozza di fango, con gli occhi gialli fissi sui buchi nel terreno, aspettando che uno degli occupanti delle tane mettesse fuori la testa. Il vento poteva soffiare, ma Zammis non si muoveva. Poi appariva una testa piatta, triangolare, con gli occhietti blu. Il serpente controllava la pozza, si girava, controllava la riva, poi il cielo. Usciva ancora un po’ dal buco, e ricontrollava da capo. Spesso il serpente fissava Zammis direttamente negli occhi, ma il Drac pareva scolpito nella pietra. Zammis non si muoveva finché il serpente non era uscito tanto da non poter rientrare per la coda. Allora con una mossa fulminea lo afferrava con tutt’e due le mani appena sotto la testa. I serpenti non avevano denti, e non erano velenosi, ma erano così grossi e vigorosi che Zammis certe volte finiva nella pozza di fango.
Le pelli venivano poi stese a seccare sui tronchi d’albero, messi in uno spiazzo vicino all’entrata della caverna, sotto una sporgenza al riparo dai venti marini. Circa due terzi delle pelli si conservavano; le altre marcivano.
Vicino alla conceria, c’era la camera per affumicare la carne: una caverna a cui appendevamo i pezzi di carne; poi, in un pozzo scavato nel pavimento, accendevamo un fuoco di rami verdi e chiudevamo l’ingresso con pietre e fango.
— Zio, perché la carne non va a male dopo essere stata affumicata? Ci pensai su. — Non so bene, però so che si conserva.
— Com’è che lo sai?
Alzai le spalle. — Lo so e basta. Forse l’ho letto da qualche parte.
— Cos’è letto?
— Leggere. Come quando mi siedo e leggo il Talman.
— Il Talman dice perché la carne non va a male?
— No. Volevo dire che devo averlo letto su qualche altro libro.
— Noi abbiamo altri libri?
Scossi la testa. — Volevo dire, prima di venire su questo pianeta.
— Perché sei venuto su questo pianeta?
— Te l’ho già detto. Il tuo genitore ed io siamo naufragati qui durante una battaglia.
— Perché gli uomini e i Drac combattono?
— È una faccenda complicata. — Feci dei gesti vaghi con le mani. La tesi umana era che i Drac avevano invaso il nostro spazio. La tesi dei Drac era che gli umani avevano invaso il loro spazio. La verità? — Vedi, Zammis, è tutto per avere nuovi pianeti da colonizzare. Tutt’e due le razze stanno espandendosi, e tutt’e due hanno la tradizione di colonizzare. Immagino che abbiamo colonizzato a vicenda lo spazio degli altri. Capito?
Zammis annuì, poi per fortuna non chiese altro, immerso nei propri pensieri. La cosa che soprattutto imparai da lui, era che c’erano moltissime domande per cui non avevo risposta. Però mi sentivo soddisfatto per aver spiegato a Zammis la guerra, superando in questo modo l’ostacolo della carne affumicata. — Zio?
— Sì, Zammis?
— Cos’è un pianeta?
Quando l’estate fredda e umida finì, avevamo la caverna piena di legna e cibo. Risolta questa questione, mi concentrai sul problema di costruire dei servizi igenici interni, utilizzando le pozze d’acqua in fondo alla caverna. La vasca da bagno non era un problema. Lasciando cadere delle pietre scaldate sul fuoco in una pozza, l’acqua si scaldava fino a una temperatura sopportabile, perfino gradevole. Dopo aver fatto il bagno, l’acqua sporca poteva essere estratta per mezzo di un sifone fatto di canne simili a bambù. La vasca a questo punto poteva essere riempita di nuovo usando la pozza superiore. Il problema era quello di dover scaricare l’acqua. Parecchie delle camere avevano dei buchi nel pavimento. I primi tre che provammo scaricavano nella camera principale, e l’acqua finiva in una depressione vicino all’entrata. L’inverno prima, io e Jerry avevamo pensato di utilizzare uno dei buchi come water, ma dal momento che non sapevamo dove sarebbero finiti i rifiuti, avevamo lasciato perdere.
Il quarto buco che io e Zammis provammo, scaricava sotto l’entrata della caverna, sulla parete di roccia. Non era l’ideale, ma sempre meglio che soddisfare i bisogni naturali nel bel mezzo di una tempesta di neve. Attrezzammo il buco come scarico per la vasca da bagno e il water.
Dopo aver scaldato l’acqua per il nostro primo bagno, mi tolsi l’abito di pelli, provai l’acqua col piede ed entrai. — Fantastico! — Mi voltai verso Zammis, che era ancora mezzo vestito. — Vieni, Zammis, l’acqua è perfetta. — Zammis mi fissava con la bocca aperta. — Che c’è?
Il bambino indicò con la mano. — Zio… che cos’è quello?
Abbassai lo sguardo. — Oh. — Scossi la testa, e guardai il piccolo Drac. — Te l’ho già spiegato, Zammis, io sono un umano!
— Ma a che cosa serve?
Mi sedetti nella vasca togliendo alla vista l’oggetto della discussione. — Serve per eliminare i rifiuti liquidi… fra le altre cose. Adesso entra e lavati.
Zammis si tolse il vestito, guardò il proprio apparato, che era liscio, poi entrò nella vasca. Si immerse fino al collo, studiandomi coi suoi occhi gialli. — Zio?
— Sì?
— Quali altre cose?
Glielo dissi. Per la prima volta, mi sembrò che il Drac non fosse sicuro se gli stavo dicendo o no la verità. Anzi, mi convinsi che era giunto alla conclusione che gli mentivo… probabilmente perché era vero.
L’inverno cominciò con una spruzzata di neve accompagnata da una leggera brezza. Portai Zammis nel boschetto sopra la caverna. Giunti di fronte alla tomba di Jerry lo presi per mano. Zammis si strinse nella giacca per ripararsi dal vento, chinò la testa, poi si voltò a guardarmi in faccia. — Zio, questa è la tomba del mio genitore?
Annuii. — Sì.
Zammis guardò la tomba, poi scosse la testa. — Zio, come dovrei sentirmi?
— Non capisco, Zammis.
Il bambino fece un cenno verso la tomba. — Vedo che tu sei triste a essere qui. Credo che tu voglia che io mi sento allo stesso modo, è vero?
Aggrottai le ciglia, poi scossi la testa. — No. Non voglio che tu ti senta triste. Volevo solo che tu sapessi dov’è.
— Posso andare ora?
— Certo. La sai la strada per tornare alla caverna?
— Sì. Non vorrei che il sapone mi bruciasse un’altra volta.
Guardai il bambino correre fra gli alberi nudi, poi mi voltai verso la tomba. — Be’, Jerry, cosa ne pensi di tuo figlio? Zammis stava usando della cenere per pulire le conchiglie dal grasso, e ha messo una conchiglia sul fuoco con dell’acqua per togliere del cibo che si era bruciato. Grasso e cenere. E così abbiamo fatto il sapone. Il primo che Zammis ha preparato, per poco non mi ha scuoiato, ma sta migliorando… Guardai il cielo, poi il mare. Sull’orizzonte, si stavano accumulando nuvoloni neri e bassi. — Vedi? Sai cosa vuol dire, vero? La prima tempesta di neve. — Il vento cominciò a soffiare più forte. Mi accucciai vicino alla tomba per sistemare una pietra che era rotolata via dalla pila. — Zammis è un bravo bambino, Jerry. Volevo odiarlo… dopo che sei morto. Volevo odiarlo. — Rimisi a posto la pietra, e tornai a guardare il mare. — Non so come faremo ad andarcene da questo pianeta, Jerry… — Con la coda dell’occhio percepii un movimento. Mi girai e sopra le cime degli alberi, contro il cielo grigio, vidi un puntino nero che si allontanava. Lo seguii con lo sguardo finché non sparì fra le nuvole.