Ascoltai, sperando di sentire il rumore dei razzi, ma il cuore mi batteva così forte che tutto quello che riuscii a sentire fu il vento. Era una nave? Mi alzai, feci qualche passo nella direzione in cui era sparito il puntino, poi mi fermai. Girandomi, vidi che le pietre della tomba erano già ricoperte da un sottile strato di neve. Alzai le spalle, e mi avviai verso la caverna. — Probabilmente era solo un uccello.
Zammis era seduto sul suo materasso, intento a cucire pelli di serpente con un ago di osso. Mi distesi sul mio letto, osservando il fumo che saliva per la fessura. Era un uccello? O una nave? Accidenti, non riuscivo a togliermelo dalla mente. Avevo rimossa dai miei pensieri la possibilità di andarmene da quel pianeta, l’avevo sotterrata e nascosta per tutta l’estate. Ed ecco che era tornata. Camminare sotto il sole, indossare vestiti decenti, avere il riscaldamento centrale e mangiare cibi preparati da un cuoco, trovarsi di nuovo… fra la gente.
Mi girai su un fianco e guardai la parete vicino al materasso. Gente. Gente umana. Chiusi gli occhi e inghiottii. Ragazze umane. Donne. Delle immagini mi passarono davanti agli occhi: facce, corpi, coppie che ridevano, il ballo dopo l’addestramento., come si chiamava? Dolora? Dora?
Scossi la testa, mi girai di nuovo e mi misi a sedere, di fronte al fuoco. Perché avevo visto quella cosa? Ero riuscito a seppellirle, tutti quei ricordi, a dimenticarle…
— Zio?
Alzai gli occhi. Pelle gialla, occhi gialli, faccia di rospo senza naso.
— Cosa?
— C’è qualcosa che non va?
Qualcosa che non va! — No. Mi sembrava di aver visto una cosa, oggi. Ma probabilmente non era niente. — Presi un pezzo di carne dalla griglia sul fuoco. Ci soffiai sopra per raffreddarla e cominciai a masticare.
— Che aspetto aveva?
— Non so. Da come si muoveva, ho creduto che fosse una nave. Ma è sparita così in fretta, che non ho potuto vedere bene. Forse era un uccello.
— Uccello?
Lo guardai. Zammis non aveva mai visto un uccello. E neanch’io, su Fyrine IV. — Un animale che vola.
Zammis annuì. — Zio, quando raccoglievamo legna nel bosco, ho visto anch’io qualcosa volare.
— Eh? Perché non me lo hai detto?
— Volevo dirtelo, ma me ne sono dimenticato.
— Dimenticato! Da che parte andava?
Zammis indicò verso il fondo della caverna. — Da quella parte, in direzione opposta al mare. — Zammis mise giù il suo lavoro di cucito.
— Perché non andiamo a vedere dov’è andato?
Scossi la testa. — L’inverno sta per cominciare. Tu non sai com’è. Moriremmo in pochi giorni.
Zammis riprese il suo lavoro. Fare il viaggio in inverno ci avrebbe ucciso. Ma in primavera sarebbe stato diverso. Potevamo sopravvivere, con una doppia imbottitura nei vestiti, e una tenda. Dovevamo fabbricare una tenda. Zammis e io potevamo passare l’inverno a prepararla, e a fare degli zaini. Poi ci servivano degli stivali robusti. Dovevo pensarci…
È straordinario come una scintilla di speranza possa accendere un fuoco che consuma tutta la disperazione. Era una nave? Non lo sapevo. E se lo era, stava decollando o atterrando? Non lo sapevo. Se stava decollando, avremmo preso la direzione sbagliata. Ma quella opposta, significava attraversare il mare. Non importa. All’arrivo della primavera, avremmo attraversato il bosco, poi si sarebbe visto…
L’inverno sembrò passare in fretta con Zammis impegnato a fabbricare la tenda, e io che cercavo di riscoprire l’arte del calzolaio. Tracciai i contorni dei miei piedi e di quelli di Zammis su della pelle di serpente. Dopo qualche esperimento, scoprii che facendola bollire insieme a un certo frutto, la pelle diventava morbida ed elastica. Mettendone parecchi strati l’uno sopra l’altro con un peso, e facendoli seccare, si otteneva una suola dura e flessibile. Quando ebbi finito gli stivali di Zammis, lui ne aveva bisogno di un paio nuovi.
— Sono troppo piccoli, zio.
— Come sarebbe a dire troppo piccoli?
— Mi fanno male. Ho le dita piegate.
Mi chinai e tastai la punta degli stivali. — Non capisco. Ho preso le misure solo venti, venticinque giorni fa. Sei sicuro di non esserti mosso mentre le prendevo?
Zammis scosse la testa.
— No che non mi sono mosso — disse.
Aggrottai la fronte, e mi alzai. — Alzati, Zammis. — Il Drac si alzò, e io gli andai vicino. Con la testa mi arrivava a metà del petto. Altri sessanta centimetri, e sarebbe stato alto come Jerry. — Togliteli. Ne farò un paio più grandi. Cerca di non crescere così in fretta.
Zammis montò la tenda dentro la caverna, e cominciò a strofinare del grasso contro la pelle per renderla impermeabile. Era cresciuto ancora, e io avevo deciso di aspettare a fargli gli stivali finché non fossi stato sicuro della misura. Cercai di fare una previsione, misurandogli i piedi ogni dieci giorni, e calcolando la misura che avrebbero dovuto avere in primavera. Secondo i miei calcoli, avrebbe raggiunto le dimensioni di un’astronave da trasporto. Era chiaro che prima della fine dell’inverno, avrebbe completato la crescita. Gli stivali di Jerry erano andati a pezzi prima che Zammis nascesse, ma avevo conservato i pezzi. Utilizzai le vecchie suole per prendere le misure, e sperai il meglio.
Ero occupato a fabbricare i nuovi stivali, Zammis lavorava alla tenda. Il Drac mi guardò.
— Zio?
— Sì?
— L’esistenza è il dato primario?
Alzai le spalle. — Così dice Shizumaat. Io non ho nessuna obiezione.
— Ma zio, come facciamo a sapere se l’esistenza è reale?
Interruppi il lavoro, lo guardai, scossi la testa, tornai a occuparmi degli stivali. — Credimi sulla parola.
Il Drac fece una smorfia. — Ma zio, questa non è conoscenza, è fede.
Sospirai, pensando al mio primo anno all’Università delle Nazioni: un gruppetto di adolescenti, in un appartamento ammobiliato, che passavano il loro tempo a fare esperimenti con l’alcol, le polveri e la filosofia. Zammis aveva meno di un anno terrestre, e stava già diventando il tipo dell’intellettuale noioso. — Cosa c’è che non va nella fede?
Zammis fece una risatina di scherno. — Andiamo, zio, la fede?
— Qualche volta è di aiuto, in questa spirale di neve e di gelo.
— Spirale?
Mi grattai la testa. — Questa spirale mortale: la vita. Shakespeare, credo.
Zammis aggrottò le ciglia. — Non c’è nel Talman.
— Era un umano.
Zammis si alzò, e si venne a sedere dall’altra parte del fuoco, di fronte a me. — Era un filosofo, come Mistan e Shizumaat?
— No. Scriveva opere teatrali… delle storie recitate.
Zammis si fregò il mento. — Ricordi qualcos’altro di Shakespeare?
Alzai un dito. — «Essere o non essere, questo è il dilemma».