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Il Drac spalancò la bocca, poi annuì energicamente. — Sì, sì! Essere o non essere; questo è il dilemma! — Allargò le braccia. — Come facciamo a sapere se il vento soffia, fuori dalla caverna, se non lo vediamo? Il mare è sempre in tempesta quando noi non siamo lì a guardarlo?

Annuii. — Sì.

— Ma zio, come facciamo a saperlo?

Lo guardai. — Zammis, ho una domanda da farti: è vera o falsa la seguente affermazione: Quello che dico in questo momento è falso.

Zammis sbatté le palpebre. — Se è falso, allora l’affermazione è vera. Ma… se è vera… l’affermazione è falsa, ma… — Sbatté ancora le palpebre, poi tornò a fregare grasso nella tenda. — Ci penserò, zio.

— Fallo, Zammis, fallo.

Il Drac ci pensò per una decina di minuti, poi si voltò. — L’affermazione è falsa.

Sorrisi. — Ma questo è quanto dice l’affermazione, quindi è vera, ma… — Lasciai la frase in sospeso, sentendomi molto compiaciuto.

— No, zio. L’affermazione è priva di significato, nel suo contesto. — Alzai le spalle. — Vedi, zio, l’affermazione presuppone l’esistenza di una verità che non può esprimere un giudizio su se stessa, in mancanza di altri punti di riferimento. La logica di Lurrvena è molto chiara su questo punto, nel Talman, e se equipariamo mancanza di significato con falsità…

Sospirai. — Già, certo…

— Vedi, zio, per prima cosa è necessario stabilire un contesto nel quale un’affermazione abbia un senso.

Mi chinai in avanti, aggrottai le ciglia e mi grattai la barba. — Capisco. Vuoi dire che stavo mettendo Cartesio davanti ai buoi?

Zammis mi diede una occhiata perplessa, che si fece ancora più perplessa quando mi vide rotolare sul materasso ridendo come un matto.

— Zio, perché la famiglia Jeriba ha solo cinque nomi? Tu hai detto che le famiglie umane hanno molti nomi.

Annuii. — I cinque nomi della famiglia Jeriba sono etichette a cui coloro che le portano devono aggiungere fatti. I fatti sono importanti, non i nomi.

— Gothig è il parente di Shigan, come Shigan è mio parente.

— Naturalmente. L’hai imparato dalla recitazione.

Zammis aggrottò le ciglia. — Allora dovrò chiamare mio figlio Ty, quando diventerò genitore.

— Sì. E Ty dovrà chiamare suo figlio Haesni. C’è qualcosa che non va?

— A me piacerebbe chiamare mio figlio Davidge.

Scossi, e scossi la testa. — Il nome di Ty è stato portato da grandi banchieri, mercanti, inventori e… be’, la sai la recitazione. Il nome Davidge non è stato portato da nessuno di importante. Pensa a quello che ci perderebbe Ty a non essere Ty.

Zammis ci pensò un po’, poi annuì. — Zio, credi che Gothig sia vivo?

— Per quel che ne so io, sì.

— Com’è Gothig?

Ripensai a quello che mi aveva detto Jerry del suo genitore. — Insegnava musica, ed è molto forte. Jerry… Shigan diceva che il suo genitore poteva piegare delle sbarre di ferro con le dita. Gothig è anche una persona molto onorata. Immagino che in questo momento sia anche molto triste. Penserà che la famiglia Jeriba sia finita.

Zammis aggrottò le ciglia. — Zio, dobbiamo arrivare a Draco. Dobbiamo dire a Gothig che la famiglia continua.

— Ci arriveremo.

Il ghiaccio dell’inverno cominciò ad assottigliarsi. La tenda, gli zaini e gli stivali erano pronti. Stavamo dando il tocco finale ai nostri nuovi abiti. Come Jerry mi aveva dato il Talman perché lo studiassi, così ora il cubo d’oro era appeso al collo di Zammis. Il Drac tirava fuori il piccolo libro e lo studiava per ore.

— Zio?

— Sì?

— Perché i Drac parlano e scrivono in una lingua, e gli uomini in un’altra?

Risi. — Zammis, gli uomini scrivono e parlano in molte lingue. L’inglese è solo una delle tante.

— E come fanno a capirsi fra di loro, gli uomini?

Alzai le spalle. — Non sempre ci riescono. Oppure usano degli interpreti, gente che sa due lingue.

— Tu ed io parliamo sia inglese sia Drac. Allora siamo interpreti.

— Potremmo esserlo, se si trovasse un uomo e un Drac che volessero parlarsi. Ricordati che c’è in corso una guerra.

— Ma come potrà finire la guerra, se non parlano?

— Immagino che alla fine parleranno.

Zammis sorrise. — Mi piacerebbe fare l’interprete, e aiutare a por fine alla guerra. — Il Drac mise da parte il lavoro di cucito e si allungò sul suo nuovo materasso. Quello vecchio adesso lo usava come cuscino. — Zio, credi che troveremo qualcuno oltre il bosco?

— Lo spero.

— Se sarà così, verrai con me su Draco?

— Ho promesso a tuo padre che l’avrei fatto.

— Voglio dire dopo. Dopo che avrò fatto la mia recitazione, cosa farai?

Guardai il fuoco. — Non lo so. — Alzai le spalle. — La guerra potrebbe impedirci di raggiungere Draco, per un po’.

— E dopo?

— Immagino che tornerò sotto le armi.

Zammis si alzò su un gomito. — Continuerai a fare il pilota da caccia?

— Certo. È la sola cosa che so fare.

— E ucciderai i Drac?

Misi giù il mio lavoro e guardai Zammis. Molte cose erano cambiate da quando io e Jerry ci eravamo presi a botte… più di quante avessi pensato. Scossi la testa. — No. Probabilmente non farò più il pilota… non nell’esercito. Forse troverò lavoro in una compagnia civile. Forse l’esercito non mi vorrà neanche.

Zammis si mise a sedere; restò immobile per un momento poi venne da me e si inginocchiò sulla sabbia. — Zio, non voglio lasciarti.

— Non fare lo sciocco. Tornerai fra quelli della tua razza. Tuo nonno, Gothig, i parenti di Shigan, i loro figli… ti dimenticherai di me.

— Tu ti dimenticherai di me?

Guardai quegli occhi gialli, poi allungai una mano e gli toccai la guancia. — No, non ti dimenticherò. Ma ricordati di questo, Zammis: tu sei un Drac e io sono un umano, ed è così che si divide questa parte dell’universo.

Zammis mi prese la mano, allargò le dita e la studiò. — Qualunque cosa succeda, zio, non ti dimenticherò mai.

Il ghiaccio si era sciolto. Io e il Drac, con gli zaini sulle spalle, stavamo di fronte alla tomba, sotto una pioggia rada, sferzata dal vento. Zammis era alto come me, cioè un po’ più alto di Jerry. Con mio grande sollievo, gli stivali gli andavano bene. Zammis si sistemò meglio lo zaino, poi voltò le spalle alla tomba e guardò il mare. Seguii il suo sguardo, e osservai i cavalloni infrangersi sulle rocce. Guardai il Drac. — A cosa stai pensando?

Zammis guardò a terra, poi guardò me. — Zio, non ci avevo mai pensato prima, ma… mi mancherà questo posto.

Mi misi a ridere. — Che sciocchezze! Questo posto? — Gli diedi una pacca sulle spalle. — E perché dovresti sentirne la mancanza?

Zammis guardò il mare. — Ho imparato molte cose qui. Tu mi hai insegnato molte cose qui, zio. Sono vissuto qui.

— È solo l’inizio della tua vita, Zammis. Ti aspettano moltissimi altri anni. — Feci un cenno verso la tomba. — Dì addio.

Zammis si voltò verso la tomba, si inginocchiò vicino e cominciò a togliere le pietre. Dopo qualche minuto, aveva portato alla luce la mano di uno scheletro con tre dita. Si mise a piangere. — Mi dispiace, zio, ma dovevo farlo. Finora per me non era stato altro che un cumulo di rocce. — Rimise a posto le pietre, poi si alzò.

Indicai con la testa il bosco. — Vai avanti. Ti raggiungerò fra un minuto.

— Sì zio.

Zammis si allontanò verso gli alberi nudi. Io guardai la tomba. — Cosa te ne pare di Zammis, Jerry? È diventato più alto di te. Immagino che la carne di serpente gli faccia bene. — Mi chinai, presi un sasso e lo aggiunsi al cumulo. — Ormai ci siamo. O arriveremo su Draco, o moriremo. — Mi alzai e guardai il mare. — Penso di avere imparato anch’io qualcosa, qui. Mancherà anche a me questo posto, in un certo senso. — Mi sistemai lo zaino sulle spalle, e guardai per l’ultima volta la tomba. — Ehdevva sahn, Jeriba Shigan. Addio, Jerry.