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Mi voltai, e seguii Zammis nel bosco.

I giorni che seguirono furono pieni di scoperte meravigliose per Zammis. Per me, il cielo era sempre lo stesso, grigio cupo, e le poche varianti che incontravamo nella flora e nella fauna, non erano niente di straordinario. Una volta superato il bosco, ci trovammo di fronte un lieve pendio, che continuò a salire per una giornata di marcia; poi davanti a noi apparve una distesa piatta, senza fine. Era coperta da un’erba color porpora, che ci arrivava alle caviglie e che lasciava il colore sugli stivali. Di notte faceva ancora troppo freddo per camminare, e ce ne stavamo chiusi nella tenda. Le pelli ingrassate e i vestiti funzionavano a dovere, e ci riparavano adeguatamente dalla pioggia che non smetteva quasi mai di cadere.

Eravamo in viaggio da quasi due delle lunghe settimane di Fyrine IV, quando sentimmo un boato sopra le nostre teste. In un attimo la nave era già sparita dietro l’orizzonte. Ma non ebbi nessun dubbio sul fatto che stesse atterrando.

— Zio! Ci avrà visti?

Scossi la testa. — Non credo proprio. Ma stava atterrando. Non hai sentito? Il campo dev’essere da qualche parte, davanti a noi.

— Zio?

— Muoviamoci! Cosa c’è?

— Era una nave umana o Drac?

Mi fermai di colpo. Non ci avevo neanche pensato. — Su, andiamo. Non importa. In qualsiasi modo, tu arriverai su Draco. Sei un civile, e l’esercito terrestre non potrà farti niente; se invece sono Drac, sei a posto.

Cominciammo a camminare. — Ma zio, se è una nave Drac, cosa succederà di te?

Alzai le spalle. — Mi faranno prigioniero. I Drac dicono di attenersi alle leggi di guerra interplanetarie, perciò non devo preoccuparmi. — Bella consolazione. Il problema era di sapere se preferivo essere prigioniero di guerra dei Drac, o un abitante permanente di Fyrine IV. Ma a questo avevo dato una risposta da un pezzo. — Avanti, mettiamoci di buon passo. Non sappiamo quanto manchi ancora.

Alzare il piede; abbassarlo. Tranne che per mangiare e riposarci, non ci fermavamo mai, neanche di notte. Lo sforzo di camminare ci teneva caldi. L’orizzonte sembrava sempre lontanissimo. Parecchi giorni dopo, con i piedi intorpiditi e la mente intontita, caddi attraverso l’erba purpurea in una buca. Immediatamente, si fece buio, e avvertii un dolore acuto nella gamba destra. Sentii che stavo per svenire, e accolsi con gioia il calore e la pace dell’incoscienza.

— Zio? zio? Svegliati, ti prego, svegliati!

Sentii degli schiaffi sulla faccia, ma parevano stranamente lontani. Fu il dolore lancinante a farmi svegliare. Dovevo essermi rotto la gamba. Guardai in alto e vidi gli orli erbosi del buco. Ero seduto sull’acqua, con Zammis vicino.

— Cosa è successo?

Zammis fece un cenno verso l’alto. — Il buco era coperto da una crosta sottile di terra e piante. Deve averlo scavato l’acqua. Stai bene?

— Credo di essermi rotto una gamba. — Appoggiai la schiena alla parete fangosa. — Zammis, devi proseguire da solo.

— Non posso lasciarti, zio!

— Se trovi qualcuno, potrai mandarmi dei soccorsi.

— E se il livello dell’acqua salisse? — Zammis mi tastò la gamba, e non potei trattenere un sussulto. — Devo tirarti fuori di qui. Come faccio per la gamba?

Il ragazzo aveva ragione. Morire annegato non faceva parte dei miei piani. — Ci occorre qualcosa di rigido. Lega la gamba in modo che non si muova.

Zammis si levò lo zaino, srotolò il rotolo con la tenda, tirò fuori uno dei pali e me lo legò alla gamba con delle striscie di pelle tolte dalla tenda. Usando delle altre strisce di pelle, fece due cappi, me li infilò nelle gambe e mi issò sulle spalle. Svenni.

Sull’erba, coperto dai resti della tenda, con Zammis che mi scuoteva per un braccio. — Zio? Zio?

— Sì? — mormorai.

— Zio, io sono pronto. Qui c’è il tuo cibo, e quando piove puoi tirarti la tenda sulla faccia. Lascerò delle tracce, per poter ritrovare la strada.

Annuii. — Stai attento.

Zammis scosse la testa. — Zio, potrei portarti. Non dobbiamo separarci.

Feci segno di no. — Non potrei farcela, figliolo. Trova qualcuno e fallo venire. — Sentii un conato di vomito, e un sudore freddo mi bagnò il corpo. — Su, muoviti.

Zammis si alzò. Si mise in spalla lo zaino e cominciò a correre nella direzione seguita dalla nave. Lo guardai finché non sparì. Poi mi girai e guardai le nuvole. — Per poco non mi avete fregato, questa volta, kizlode. Ma non avete pensato al Drac… non vi siete ricordati che siamo in due… — Persi i sensi, poi li ripresi. Sentii la pioggia sul viso e mi coprii con la tenda. Pochi secondi dopo, ero ripiombato nel buio.

— Davidge? Tenente Davidge?

Aprii gli occhi e vidi una cosa che non vedevo da quattro anni terrestri: la faccia di un essere umano. — Chi siete?

La faccia, quella di un uomo giovane, con corti capelli biondi, sorrise. — Sono il capitano Steerman, ufficiale medico. Come state?

Ci pensai su un po’, e sorrisi. — Come se mi avessero imbottito di droga.

— Proprio così. Eravate piuttosto mal messo quando la squadra di esplorazione vi ha trovato.

— La squadra di esplorazione?

— Immagino che non lo sappiate. Gli Stati Uniti Terrestri e la Camera di Draco hanno istituito una commissione congiunta per la colonizzazione di nuovi pianeti. La guerra è finita.

— Finita?

— Sì.

Fu come se mi avessero tolto un peso di dosso. — Dov’è Zammis.

— Chi?

— Jeriba Zammis, il Drac che era con me.

Il dottore alzò le spalle. — Non ne so niente. Immagino che se ne siano occupati i rospi.

Rospi. Una volta l’avevo usata anch’io quella parola. Ascoltandola sulla bocca di Steerman mi sembrò estranea e repellente. — Zammis è un Drac, non un rospo.

Il dottore alzò le spalle. — Certo. Come volete. Adesso riposatevi, e fra qualche ora verrò a visitarvi di nuovo.

— Posso vederlo?

Il dottore sorrise. — Dio mio, no. State viaggiando verso la base di Delphi… e il Drac probabilmente è in viaggio per Draco. — Mi fece un cenno col capo e se ne andò. Mi sentii come perso. Guardandomi intorno, vidi che mi trovavo nell’infermeria di una nave. I letti al mio fianco erano occupati. L’uomo a destra scosse la testa e riprese a leggere una rivista. Quello sulla sinistra sembrava irritato.

— Maledetto lecca-rospi! — Si voltò su un fianco, volgendomi la schiena.

Di nuovo fra gli uomini, eppure più solo di quanto fossi mai stato. Misnuuram va siddeth, come dice Mistan nel Talman, dall’alto di una saggezza di ottocento anni fa. La solitudine è un pensiero; non qualcosa che viene fatto a qualcuno, ma qualcosa che uno fa a se stesso.

Jerry scosse la testa, e mi puntò addosso un dito giallo, mentre trovava le parole che voleva dire. — Davidge… per me la solitudine è un fastidio, una piccola cosa da evitare, se possibile, ma non da temere. Io credo che tu preferiresti la morte alla prospettiva di trovarti solo con te stesso.

Misnuuram yaa vanos misnuuram van dunos. «Chi è solo con se stesso sarà sempre solo con gli altri»: ancora Mistan. Apparentemente la frase sembra una contraddizione in termini, ma l’osservazione della realtà prova che è vera. Ero uno straniero fra i miei simili, a causa di un odio che non condividevo e di un amore che a loro pareva assurdo e perverso. «La pace dei pensieri con gli altri si verifica solo nella mente in pace con se stessa». Ancora Mistan. Infinite volte, durante il viaggio verso la base di Delphi, e poi mentre sbrigavo le pratiche per lasciare il servizio, allungavo la mano per prendere il Talman che non portavo più al collo. Cosa ne era stato di Zammis? Alle Forze Armate Terrestri la cosa non interessava, e le autorità Drac non volevano dirlo: non erano affari miei.