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Jerry alzò le sopracciglia. — Parli il drac così bene, che mi ero dimenticato… vuoi che ti insegni?

— A leggere questo?

— E perché no? Hai un appuntamento urgente?

— No. — Appoggiai un dito al bordo e cercai di girare le pagine. Ne sollevai almeno cinquanta insieme. — Non riesco a separare le pagine.

Jerry indicò un piccolo rigonfiamento alla sommità della costa. — Tira fuori l’ago. Serve a girare le pagine.

Tirai fuori un ago, lo appoggiai sulla pagine e questa si sollevò e girò. — Chi ha scritto il Talman, Jerry?

— Molti. Tutti grandi maestri.

— Shizumaat?

Jerry annuì. — Shizumaat è uno.

Chiusi il libro e lo tenni sul palmo della mano. — Jerry, perché l’hai tirato fuori adesso?

— Ne avevo bisogno. — Il Drac spalancò le braccia. — Forse invecchieremo e moriremo in questo posto. Forse non ci troveranno mai. L’ho capito oggi, mentre portavamo dentro la legna. — Jerry si mise una mano sulla pancia. — Zammis nascerà qui. Il Talman mi aiuta ad accettare ciò che non posso mutare.

— Quanto manca?

Jerry sorrise. — Poco.

Guardai il piccolo libro. — Mi piacerebbe che mi insegnassi a leggerlo, Jerry.

Il Drac si levò dal collo la scatola con la catena e me la porse. — Devi tenere il Talman qui dentro.

Presi la scatola d’oro e la guardai per un momento. Poi scossi la testa. — Non posso, Jerry. È troppo importante per te. E se lo perdessi?

— Non lo perderai. Tienilo mentre impari. Lo scolaro deve fare così.

Mi misi la catenella intorno al collo. — Mi fai un grande onore.

— Sempre meno di quello che tu fai a me imparando a memoria l’albero genealogico Jeriba. La tua recitazione è precisa e commovente. — Jerry prese dei carboni dal fuoco e andò a una delle pareti. Quella notte imparai le trentun lettere dell’alfabeto Drac, e altre nove lettere nella scrittura formale.

La legna finì. Jerry era molto grosso, e stava molto male, nei giorni che precedettero l’apparizione di Zammis. Riusciva a stento ad uscire, con il mio aiuto, per i suoi bisogni. Così la raccolta della legna, che consisteva nel prendere a bastonate gli alberi per liberarli dal ghiaccio, ricadde su di me, come pure il far da mangiare.

In una giornata particolarmente tempestosa, mi accorsi che il ghiaccio sugli alberi era più sottile. Da qualche parte, dovevamo aver girato l’angolo dell’inverno, e ci stavamo dirigendo verso la primavera. Durante tutta la bastonatura dell’albero mi sentii meglio, e immaginavo che anche Jerry avrebbe accolto con gioia la notizia. L’inverno lo stava abbattendo molto.

Stavo trasportando una bracciata di legna nella caverna, quando udii un grido. Mi guardai intorno, raggelato. Non vedevo altro che il mare e il ghiaccio intorno a me. Poi ancora il grido. — Davidge! — Era Jerry. Lasciai cadere la legna e corsi lungo il sentiero che scendeva verso la caverna. Jerry urlò ancora; io scivolai e rotolai fino alla cornice su cui si apriva l’ingresso della caverna. Mi precipitai dentro, e raggiunsi la camera. Jerry si contorceva sul letto, con le dita che scavavano nella sabbia.

Mi inginocchiai vicino al Drac. — Sono qui, Jerry. Cosa c’è? Stai male?

— Davidge! — Il Drac roteò gli occhi senza vedere niente. Boccheggiò, poi la voce gli esplose in un grido.

— Jerry! Sono io. — Lo scossi per la spalla. — Sono io, Jerry! Davidge!

Jerry voltò la testa dalla mia parte, fece una smorfia, poi mi afferrò per il polso con la forza del dolore. — Davidge… Zammis… qualcosa non va!

— Cosa? Cosa posso fare?

Jerry gridò ancora, poi la testa gli ricadde sul letto. Il Drac si riprese e mi tirò la testa vicino alle labbra. — Davidge, devi giurare.

— Cosa devo giurare, Jerry?

— Zammis… su Draco. Di presentarti agli archivi di famiglia. Fallo.

— Cosa dici? Parli come se dovessi morire.

— Sto morendo, Davidge. Zammis è la duecentesima generazione… molto importante. Presenta mio figlio, Davidge! Giuralo!

Mi asciugai la faccia dal sudore con la mano libera. — Non morirai, Jerry. Forza!

— Basta! Guarda in faccia la realtà, Davidge! Sto morendo! Tu devi insegnare la genealogia Jeriba a Zammis… e il libro, il Talmen, gavey?

— Smettila! — Il panico mi stava addosso quasi come una presenza fisica. — Smettila di parlare così. Non morirai, Jerry. Forza, combatti, kizlode, bastardo…

Jerry urlò. Respirava debolmente, e stava perdendo conoscenza. — Davidge…

— Come? — Mi resi conto che singhiozzavo come un bambino.

— Davidge, devi aiutare Zammis a uscire.

— Cosa… come? Cosa diavolo stai dicendo?

Jerry voltò la faccia verso la parete. — Sollevami la giacca.

— Cosa?

— Sollevami la giacca, Davidge.

Sollevai la giacca di pelle, scoprendogli la pancia gonfia. La piega che aveva in mezzo era rosso vivo, e ne usciva un liquido chiaro. — Cosa… cosa devo fare?

Jerry respirò rapidamente, poi trattenne il fiato. — Aprila. Devi aprirla, Davidge!

— No!

— Fallo, o Zammis muore!

— E che mi importa del tuo maledetto bambino, Jerry. Cosa devo fare per salvare te?

— Aprila… — mormorò il Drac. — Prenditi cura del mio bambino, Irkmaan. Presenta Zammis agli archivi Jeriba. Giuramelo.

— Oh, Jerry…

— Giuralo!

Annuii, mentre grosse lacrime calde mi rotolavano giù dalle guancie. — Lo giuro… — Jerry mi lasciò andare il polso e chiuse gli occhi. Mi chinai sul Drac, come instupidito. No. No, no!

Aprila! Devi aprirla, Davidge!

Allungai una mano e toccai la piega sulla pancia di Jerry. Sentii la vita, lì sotto, che lottava per uscire dalla prigione senza aria del ventre. La odiai; odiai quella dannata cosa più di quanto avessi mai odiato in vita mia. I suoi sforzi si fecero più deboli, poi cessarono.

Presenta Zammis agli archivi Jeriba. Giuramelo…

Lo giuro…

Allungai l’altra mano, infilai i pollici nella piega e tirai leggermente. Tirai con più forza, poi strappai la pancia di Jerry furiosamente. Dalla piega uscì un fiotto di liquido chiaro, che mi inzuppò la giacca. Potevo vedere la forma di Zammis, immersa nel liquido, immobile.

Vomitai. Quando non mi restò più niente nello stomaco, infilai le mani nella pancia e tirai su il bambino. Mi pulii la bocca sulla spalla e l’appoggiai su quella di Zammis, tenendogli aperte le labbra con le dita di una mano. Gli respirai nei polmoni più volte. Lui tossi. Poi pianse. Legai i due cordoni ombelicali con delle fibre, poi li tagliai. Zammis era libero dalla carne morta del suo genitore.

Sollevai la pietra sulla testa, poi la calai con tutte le mie forze. Frammenti di ghiaccio volarono da tutte le parti, mettendo a nudo la terra scura. Sollevai di nuovo la pietra, la calai, e liberai così un’altra pietra. La presi e la portai sul corpo mezzo sotterrato del Drac. — Il Drac — mormorai. Bene. Chiamalo Drac. Chiamalo faccia di rospo.

Il nemico. Chiamalo in qualunque modo, basta non risvegliare il dolore.

Guardai la pila di rocce che avevo raccolto, e decisi che erano abbastanza. Mi inginocchiai vicino alla fossa. Mentre ammucchiavo le pietre, incurante del nevischio che mi si gelava sulla giacca, dovetti lottare contro le lacrime. Battei le mani l’una contro l’altra, per riattivare la circolazione. La primavera stava arrivando, ma era ancora pericoloso restare troppo all’aperto. E ci avevo messo un bel po’ per scavare la tomba al Drac. Presi un’altra pietra e la misi a posto.

Mentre l’appoggiavo sulla coperta di pelle, mi accorsi che il Drac era già gelato. Sistemai in fretta le ultime pietre e mi alzai.