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«Voglio che tu compili un ricorso.»

«Non c’è possibilità di fare ricorso.»

«Rifiuto di andare.»

Egli l’afferra per le spalle. «Considera la cosa razionalmente, Aurea. Un edificio non è diverso da un altro. Là avremo alcuni dei nostri amici. E faremo nuove amicizie. Noi…»

«No.»

«Non c’è alternativa,» egli dice. «Tranne farsi gettare giù dallo scarico.»

«Preferirei precipitare nello scarico, allora!»

Per la prima volta da quando sono sposati, vede che egli la guarda con disprezzo. Non può soffrire l’irrazionalità. «Non dire sciocchezze,» le dice. «Fa’ una visita al consolatore, prendi una pillola, rifletti. Ora devo andare.»

Si allontana di nuovo e questa volta lei non lo segue. Cade sul pavimento e sente la plastica fredda contro la pelle nuda. Gli altri del dormitorio la ignorano con tatto. Vede immagini di fuoco: la sua classe, i suoi fratelli e sorelle, e tutto si scioglie, fluisce attraverso la camera, un gocciolio avvampante di fluido acre. Si preme i pollici sugli occhi. Non verrà gettata fuori. A poco a poco si calma. Ho degli appoggi, si dice. Se Memnon non vorrà agire, agirò io. Si chiede se potrà mai perdonare a Memnon la sua viltà. Il suo palese opportunismo. Farà visita a suo zio.

Si toglie il vestito da mattina e indossa un casto mantello grigio da ragazza. Dalla cassetta degli ormoni sceglie una capsula: farà in modo che da lei emani l’odore che ispira gli uomini ad agire protettivamente. Sembra dolce, riservata, verginale; ma per la maturità fisica potrebbe dimostrare dieci o undici anni di più.

Il pozzo di salita la porta al 975° piano, il cuore palpitante di Louisville.

Tutto qui è acciaio e vetro. I corridoi sono ampi e alti. Attraverso le sale non c’è flusso di gente; l’occasionale figura umana sembra incongrua e superflua, macchine silenziose scivolano svolgendo incombenze impenetrabili. Questa è la residenza di coloro che amministrano i piani. Progettata per incutere rispetto; il mana ammissibile della classe dirigente. Com’è confortevole qui. Com’è lustro. Com’è riservato. Strappate via il 90 per cento della gente inferiore dell’edificio e Louisville verrà trasportata in una orbita serena, senza sentire la mancanza di nulla.

Aurea si ferma davanti a una porta scintillante intarsiata di strisce di lucente metallo bianco. Viene esaminata da sensori nascosti, le viene chiesto di dichiarare la sua attività, è valutata, smistata in una sala d’attesa. Alla fine il fratello di sua madre acconsente a vederla.

Il suo ufficio è grande quasi quanto un appartamento residenziale. Egli siede dietro un’ampia scrivania poligonale dalla quale sporge un banco di luccicanti quadranti di dispositivi di controllo. Indossa l’abito protocollare della classe superiore, una tunica grigia drappeggiata con spalline che irradiano raggi infrarossi. Aurea avverte la tonificante corrente di calore dal punto in cui si trova. Lo zio è freddo, distante, cortese. Il suo bel volto sembra modellato con rame brunito.

«Sono molti mesi che non ci vediamo, Aurea, non è vero?» dice. Gli sfugge un sorriso incoraggiante. «Come stai?»

«Bene, zio Lewis.»

«Tuo marito?»

«Bene.»

«Ancora niente bambini?»

Senza riflettere: «Zio Lewis, siamo stati scelti per andare al 158!»

Il suo sorriso plastico non si scompone. «Che fortuna per voi! Dio benedica, potete incominciare una nuova vita al sommo della scala sociale!»

«Non voglio andare. Fammi uscire da questa situazione. In qualche modo. In qualsiasi modo.» Si precipita verso di lui, una bambina impaurita, le lacrime che scorrono, le ginocchia che si sciolgono. Un campo di forza la arresta quando si trova a due metri dal bordo esterno della scrivania. Per primi lo avvertono i seni, e mentre si appiattiscono dolorosamente contro la barriera invisibile, ella allontana il capo e si fa male a una guancia. Cade sulle ginocchia e piagnucola.

Egli viene verso di lei. La rialza. Le dice di essere coraggiosa, di compiere il suo dovere verso dio. Dapprima è gentile e calmo, ma poiché ella continua a protestare la sua voce si fa fredda, con un largo margine di irritazione, e all’improvviso Aurea comincia a sentirsi indegna della sua attenzione. Le ricorda i suoi obblighi verso la società. Accenna delicatamente allo scarico che attende tutti coloro che persistono nel corrodere l’armonioso tessuto della vita della comunità. Poi sorride di nuovo e i glaciali occhi azzurri incontrano i suoi e li inghiottono, ed egli le dice di essere coraggiosa e di andare. Aurea striscia via. Sente vergogna della sua debolezza.

Mentre piomba verso il basso da Louisville, l’incantesimo di suo zio svanisce e la sua indignazione rinasce. Forse può trovare aiuto altrove. Il futuro sta crollando intorno a lei, torri cadono e la seppelliscono sotto nuvole di polvere nera di mattoni. Un vento impetuoso soffia fuori dal domani e il grande edificio oscilla. Ritorna al dormitorio e in fretta si cambia d’abito. Altera il suo equilibrio ormonico, pure. Una goccia o due di un fluido dorato che scorre giù fino alle misteriose spirali del suo meccanismo femminile. Ora è vestita di maglia iridescente attraverso la quale i seni, le cosce e le natiche traspaiono in modo intermittente, ed emana un profumo di desiderio distillato. Rende noto al terminal che richiede un incontro privato con Siegmund Kluver di Shanghai. Cammina per il dormitorio, aspettando. Uno dei giovani mariti viene verso di lei, gli occhi scintillanti. Afferra il suo fianco e indica a gesti la sua piattaforma-letto. «Mi dispiace,» ella mormora. «Devo andare fuori.» Qualche rifiuto è ammesso. Egli si stringe nelle spalle e se ne va, fermandosi per lanciarle uno sguardo pieno di desiderio. Otto minuti più tardi giunge la notizia che Siegmund ha acconsentito ad incontrarsi con lei in una delle piccole stanze del 790° piano. Ella sale.

Il volto di lui è macchiato e gli appunti gonfiano il taschino sul suo petto. Sembra di cattivo umore e impaziente. «Perché mi hai distolto dal lavoro?» chiede.

«Sai che Memnon e io siamo stati…»

«Sì, naturalmente.» Bruscamente. «Mamelon ed io saremo spiacenti di perdere la vostra amicizia.»

Aurea tenta di assumere un atteggiamento provocante. Sa di non poter ottenere l’aiuto di Siegmund soltanto rendendosi disponibile; influenzarlo è più difficile che facile. Qui si possiedono i corpi con facilità, le opportunità di carriera sono poche e non vengono arrischiate alla leggera. Le intenzioni di lei sono triviali. Avverte il rifiuto mentre i minuti passano. Ma forse può riacquistare l’influenza su Siegmund. Forse può portarlo a provare un tale dispiacere per la sua partenza che vorrà aiutarla. Mormora: «Aiutaci ad evitare di andare, Siegmund.»

«Come posso…»

«Hai delle aderenze. Correggi in qualche modo il programma. Sostieni il nostro appello. Sei un uomo che sta salendo, nell’edificio. Hai amici altolocati. Tu puoi farlo.»

«Nessuno può fare una cosa simile.»

«Per favore, Siegmund.» Si avvicina a lui, tira indietro le spalle, senza sottigliezze lascia che i capezzoli spuntino fuori dell’abito di maglia. Senza speranza. Come può ammaliarlo con due sporgenze rosa di carne nuda? Si inumidisce le labbra, stringe gli occhi fino a ridurli a due fessure. Troppo teatrale. Egli ne riderà. Dice con voce rauca: «Non vuoi che rimanga? Non ti piacerebbe venire una volta o due con me? Sai che farei qualunque cosa se tu ci facessi cancellare da quella lista. Qualsiasi cosa.» Un volto appassionato. Narici dilatate, che offrono la promessa di inimmaginabili delizie erotiche. Farà cose non ancora inventate.

Vede il guizzo momentaneo di un sorriso e sa di averlo sconvolto; ma egli è divertito, non sconvolto, dalla sua sfrontatezza.

«Non mi vuoi,» bisbiglia.

«Aurea, per favore! Mi stai chiedendo l’impossibile.» Egli l’afferra per le spalle e l’attira verso di sé. Le sue mani scivolano sotto la maglia e accarezzano la carne di lei. Ella sa che egli la sta semplicemente consolando, simulando il desiderio. Siegmund dice: «Se ci fosse un modo per sistemare le cose per te, lo farei. Ma saremmo gettati tutti nello scarico.» Le sue dita trovano il nucleo del suo corpo. Umido, viscido, a dispetto di lei. Ella non lo vuole ora, non in questo modo. Dimenando i fianchi tenta di liberarsi. L’abbraccio di lui è una semplice gentilezza. Essa gira su se stessa e si irrigidisce.