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Ella ride. «Bene. Odio una casa vuota.»

La voce dell’aeronave veloce dice: «Ora vireremo verso sud-est, e sulla sinistra verso la parte posteriore potrete cogliere un’ultima visione di Monurb 116.»

I compagni di viaggio cercano di vedere. Aurea non deve fare quello sforzo. Monade 116 ha finito di interessarla.

CAPITOLO TERZO

Questa sera tengono uno spettacolo a Roma, nel nuovo splendido centro sonico al 530° piano. Da settimane Dillon Chrimes non saliva così in alto nell’edificio. Ultimamente, insieme con il gruppo, ha girato per le sporche città abitate da lavoratori: Reykjavik, Praga, Varsavia, giù tra i grubbo. Be’, hanno diritto anche loro a qualche spettacolo. Dillon vive a San Francisco, un piano meno elevato. Il 370° piano; il cuore del quartiere intellettuale. Ma a lui non importa. Non gli manca la varietà. Va in giro dovunque, in tutto l’edificio nel corso dell’anno, ed è soltanto un’anomalia statistica il fatto che si sia trattenuto ai piani inferiori per un certo periodo. Il mese prossimo si produrrà a Shanghai, Chicago, Edimburgo con quella compagnia. Con tutte quelle bellezze splendenti dalle lunghe gambe che gli corrono dietro dopo lo spettacolo.

Dillon ha diciassette anni. Una statura un poco superiore alla media, capelli biondi di seta fluenti sulle spalle. Tradizionale, un poco vecchio Orfeo.

Occhi blu cristallini. Ama fissarli in un cerchio di poli-specchi, vedere le sfere di ghiaccio che si incrociano. Felicemente sposato, e già tre bambini, dio benedica! Sua moglie si chiama Elettra. Dipinge tappezzerie psichedeliche. Qualche volta lo accompagna in tournée con il gruppo, ma non spesso. Non questa volta. Ha incontrato soltanto una donna che lo infiammi quasi altrettanto. Una slicko di Shanghai, moglie di uno dei rompiteste di Louisville. Mamelon Kluver, si chiama. Le altre ragazze della monurb sono soltanto tanti oggetti di piacere, ma Mamelon ragiona. Non ha mai parlato di lei ad Elettra. La gelosia rende sterili.

Suona il vibrastar in un gruppo cosmos. Questo fa di lui una persona di valore. «Sono unico, come una scultura mobile,» si vanta talvolta. In realtà c’è nell’edificio un altro suonatore di vibrastar, ma il fatto di essere una delle due sole persone che suonino lo strumento in tutto l’edificio è dato di fatto notevole. Sono soltanto due i gruppi cosmos a Monurb 116; l’edificio non può in realtà offrire molta varietà di artisti. Dillon non ha un’alta stima del gruppo rivale, sebbene il suo giudizio sia basato più sul pregiudizio che sulla familiarità… li ha ascoltati tre volte, è tutto. Si era parlato di riunire entrambi i gruppi per un concerto al completo da fare esplodere i timpani, forse a Louisville, ma nessuno vuole affrontare seriamente grane del genere. Nel frattempo seguono le loro strade programmate separatamente, spostandosi in su e in giù come impone l’atmosfera spirituale. Il normale ciclo di concerti è di cinque sere per città. Questo permette a tutti coloro che abitino, per esempio, a Bombay, e siano patiti dei gruppi cosmos, di assistere allo spettacolo nella stessa settimana, fornendo materia di conversazione a tutti quanti. Poi se ne vanno e, ripartendo le serate, possono compiere il giro dell’edificio in sei mesi. Ma talvolta i cicli di spettacoli vengono prolungati. I piani inferiori hanno bisogno di un supplemento di pane e circensi? Allora il gruppo può essere trattenuto a Varsavia per quattordici sere consecutive. I piani superiori abbisognano di sollievo psichico in grande misura? Un ciclo continuo di dodici sere a Chicago, forse. Oppure il gruppo stesso può inacidire e deve alesare i suoi filtri; ha bisogno di un riposo temporaneo di due settimane e più. Tenendo conto di tutti questi fattori, ci devono essere almeno due gruppi che si spostino per la monurb se ogni città vuole avere un’esplosione a uno spettacolo cosmos almeno una volta l’anno. Proprio adesso, pensa Dillon, l’altra compagnia sta suonando a Boston per la terza settimana consecutiva. Là ci sono problemi sessuali.

Si sveglia a mezzogiorno. Elettra giace fedelmente al suo fianco; i bambini sono andati a scuola da tempo, tranne il piccolo, che emette suoni gutturali nella fessura di custodia. Artisti e attori dispongono di abitazioni personali. Le labbra di lei lo sfiorano. Un torrente di capelli di fuoco attraversa il suo volto. La mano di lei sui suoi fianchi si aggira, afferra. Le punte delle dita lo sfiorano allegramente. «Mi ami?» canta lei. «Non mi ami? Mi ami? Non mi ami?»

«Strega medievale.»

«Hai un aspetto così grazioso mentre dormi, Dill. I capelli lunghi, la pelle delicata. Come una ragazza, proprio. Tu esalti la Saffo che è in me.»

«Davvero?» Ride e nasconde i genitali tra le cosce magre stringendo le gambe. «Allora eccomi!» Appoggia le palme contro il petto, tentando di spingere in alto surrogati di seni. «Fatti avanti,» dice con voce rauca. «È la tua occasione. Sali a bordo! Muovi quella lingua!»

«Stupido. Finiscila!»

«Penso che come ragazza sarei molto grazioso.»

«Hai i fianchi malfatti,» ella dice e divarica i piedi nudi del marito. Il pene salta su, semieretto. Ella lo colpisce con due dita. Si irrigidisce ancora. Ma non ci sarà contatto sessuale tra loro, per ora. Egli si abbandona raramente a quest’ora del giorno, quando la rappresentazione si avvicina. E in ogni modo il suo stato d’animo non è quello giusto, troppo incostante, troppo indeciso. Ella volteggia fuori della piattaforma-letto e la sgonfia con un piccolo colpo di pedale mentre il marito è ancora coricato. Un sibilo d’aria. Che razza di stato d’animo; presessuale, infantile.

Egli la osserva mentre si avvicina alla doccia ballando un valzer. Ha davvero un bel sedere, pensa. Così bianco, così pieno. Una splendida e profonda fenditura. Eleganti fossette. Avanza lentamente verso di lei e si curva a pizzicarle una natica, con cautela, perché non vuole lasciare un livido. Si dividono la doccia. Il neonato comincia a piangere. Dillon lancia uno sguardo sopra la spalla. «Dio benedica, dio benedica!» canta, cominciando con voce di basso e terminando in falsetto. Che bella vita, pensa. Come può essere pulita l’esistenza. Elettra, infilandosi gli abiti, dice: «Posso offrirti dell’erba?» Una striscia trasparente le ricopre il seno. Capezzoli rosei simili a piccoli occhi ciechi. Ha avuto piacere che Elettra smettesse di allattare; la biologia è straordinariamente commovente, davvero, ma trovare gocce di latte su ogni cosa lo infastidiva. Senza dubbio un difetto da sradicare. Perché essere così esigente? Elettra provava gioia ad allattare. Permette ancora al piccolo di succhiare e dice che è per il piacere del bambino, ma difficilmente si può trovar piacere in un capezzolo secco, così Dillon sa da quale parte sta la gioia in quella particolare operazione. Va in cerca dei suoi abiti.

«Dipingi oggi?»

«Questa sera. Quando sarai allo spettacolo.»

«Ultimamente non hai lavorato molto.»

«Non ho sentito le corde tirare.»

È il suo lessico speciale. Per praticare la sua arte deve sentirsi radicata alla terra. Corde che salgono dal nucleo del pianeta, penetrano nel suo corpo, si contorcono nella sua fessura, scivolano attraverso le aperture dei suoi capezzoli. E allora la tormentano. Mentre il mondo gira, le immagini sono strappate al suo ardente corpo disteso. Almeno, lei dice così; Dillon non discute mai le asserzioni di un artista, specialmente quando è sua moglie. Ammira le sue doti. Sarebbe stata una pazzia sposare una dei componenti del suo gruppo cosmos, sebbene all’età di nove anni avesse proprio in mente una cosa del genere. Dividere il destino con una ragazza suonatrice di arpa-cometa. Se l’avesse fatto, ora sarebbe vedovo. Giù dallo scarico, giù dallo scarico! Che sporca agitatrice era stata. E aveva rovinato un incantatore davvero meraviglioso, anche, Peregrun Connelly. Sarei potuto essere io. Sarei potuto essere io. Sposatevi al di fuori della vostra arte, ragazzi; evitate la malignità indegna di benedizione.