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«Ora cominciamo,» mormora Nat. «Sei pronto, Dill?» È pronto. Alza le mani con un balzo virtuoso e le abbassa sui proiettroni. Il vecchio rompitesta! La luna e il sole e i pianeti e le stelle escono ruggendo dal suo strumento. L’intero splendente universo erompe nella sala. Non osa guardare il pubblico. Riuscirà a scuoterlo? Stanno ansimando, tormentando il loro pendulo labbro inferiore? Avanti, avanti, avanti! Gli altri, come se avvertissero che egli si trova in uno speciale stato d’animo, gli lasciano eseguire un assolo d’introduzione. Volano furie attraverso il suo cervello. Dà un colpo secco alla manipolatrice. Plutone! Saturno! Betelgeusa! Deneb! Qui siede la gente che trascorre la vita intera inchiodata all’interno di un singolo edificio; date loro le stelle in un impeto che apra i loro crani. Chi dice che non si possa cominciare quando si è già maturi? Il consumo di energia deve essere immenso; le luci devono oscurarsi fino a Chicago. Beethoven fece mai una scoreggia sul consumo di energia? Là. Là. Là. Scagliare stelle tutt’intorno. Farle luccicare e vacillare. Una eclissi di sole — perché no? Lasciare che la corona esploda e frigga. Far danzare la luna. E alzare il suono, anche, un gran colpo palpitante di pedale che penetri nei loro corpi, una. lancia vibrante cinquanta cicli che li inchiodi ai loro posti nel buco del sedere. Aiutali a digerire la loro cena. Scuoti tutta la vecchia merda che ingombra il colon. Dillon ride. Ora vorrebbe vedere le loro facce; qualcosa di demoniaco, forse. Quanto durerà l’assolo? Perché non lo riprendono ora? Sta per bruciarsi. Non si cura di gettarsi nella macchina così, se non per la debole sensazione paranoica che altri gli stiano deliberatamente permettendo di tendersi oltre i suoi limiti in modo che si faccia male. Passare il resto della vita come una lumaca, procedendo lentamente, goffamente. Non io! Strappa tutti i registri. Fantastico! Non ha mai fatto prima cose come queste. Deve essere la rabbia per quegli ottusi Romani ad ispirarlo. E tutto è sciupato per loro. Concediamo questo, però: conta ciò che avviene dentro di lui, la sua personale realizzazione artistica. Se potesse aprire i loro crani, quello sarebbe un compenso. Ma questa è estasi. L’intero universo gli vibra intorno. Un gigantesco assolo. Dio stesso deve aver provato impressioni come queste il primo giorno in cui incominciò a lavorare. Aghi di suono che scendono dagli altoparlanti. Un possente crescendo di luce e di suono. Sente l’energia crescere dentro di sé; è così felice per quello che sta facendo che si eccita, e si rovescia all’indietro sul suo sedile. Qualcuno ha mai fatto prima qualcosa di simile, questa improvvisata sinfonia per vibrastar solo? Hello, Bach! Hello, Wagner! Gettate i vostri teschi! Lasciate volare tutto! Ora ha oltrepassato la cima e comincia a scendere, non fidandosi più dell’energia naturale, ma dilettandosi di cose più sottili, spruzzando Giove con chiazze dorate, riducendo le stelle a bianchi punti di ghiaccio, portando in alto piccoli gonzi ostinati. Fa vibrare Saturno: un segnale per gli altri. Chi mai ha sentito parlare di un concerto aperto con una cadenza? Ma gli altri lo riprendono.

Ah, ora. Eccoli. Con dolcezza l’invertitore doppler entra con un proprio tema, afferrando qualcosa del fervore calante delle forme stellari di Dillon. Nello stesso tempo l’arpa-cometa lo soffoca con una più sensazionale serie di toni risonanti che si trasformano immediatamente in squilli di luce verde a forme di cerchio. Questi sono presi dal cavalcatore-dello-spettro che si mette alla testa e, con un largo ghigno, scia fuori verso l’ultravioletto in un rovescio di sibilante chiarezza. Ora il vecchio Sophro compie i suoi tuffi orbitali, una calata improvvisa e una ripresa seguite da una nuova calata e da una nuova ripresa, suonando contro il cavalcatore nel modo abile che soltanto qualcuno bene addentro all’ingranaggio del gruppo può apprezzare. Poi entra l’incantatore portentoso, rimbombante, che manda riverberi tremolanti attraverso la sala, intensificando il significato delle forme tonali e astronomiche finché le convergenze non diventano quasi intollerabili nella loro bellezza. È la battuta d’entrata per l’imbibitore, che spezza la stabilità di ciascuno con meravigliose, selvagge esplosioni liberatrici di forza. A questo punto Dillon si è ritirato nel suo ruolo di coordinatore e unificatore del gruppo, lanciando uno scompiglio di melodia a questo, un cerchio di luce a quello, rendendo più bello tutto quello che gli passa accanto. Svanisce nei toni sommessi. La sua pazza eccitazione svanisce; suonando in modo puramente meccanico, è tanto ascoltatore quanto concertista, e apprezza tranquillamente le divagazioni e le variazioni che i suoi partner stanno producendo. Ora non ha bisogno di attirare l’attenzione. Può semplicemente fare il «continuo» per il resto della serata. Non è quello che farà; il costrutto cadrà se non fornirà nuovi dati ogni dieci o quindici minuti. Ma questo è il tempo in cui gli tocca accompagnare.

Ciascuno degli altri fa un assolo a turno. Dillon non può più vedere il pubblico. Dondola, gira, suda, singhiozza. Accarezza furiosamente i proiettroni; si rinchiude in un bozzolo di luce lampeggiante; fa giochi di destrezze alternando luce e oscurità. Rimane calmo nell’occhio della tempesta, pienamente professionale, e compie tranquillamente il suo lavoro. Quel momento di estasi sembra appartenere a un altro, a un altro uomo, anche. Quanto è durato l’assolo, in ogni modo? Ha perduto la nozione del tempo. Ma il concerto procede bene, ed egli lascia a Nat l’incombenza di sorvegliare l’ora.

Dopo la sua frenetica apertura il concerto segue la routine. Il centro dell’azione si è spostato all’invertitore doppler che sta producendo una serie di lampeggianti a formula. Veramente bello, ma materia trita, sovraripetuta, priva di spontaneità. La sua spigliatezza contagia gli altri e l’intero gruppo improvvisa per almeno venti minuti, passando attraverso una serie di variazioni che paralizza i gangli e isterilisce l’anima, finché infine Nat stride spettacolarmente attraverso l’intero spettro da qualche punto al di sotto dell’infrarosso in quello che, per quanto se ne può dire, possono essere le frequenze dei raggi X, e questo selvaggio decollo non soltanto stimola una rinascita di inventiva ma segnala anche la fine dello spettacolo. Ciascuno lo riprende e tutti esplodono liberamente, turbinando, fluttuando e riunendosi, formando un sola entità con sette teste mentre bombardano il flaccido pubblico impietrito dai dati con una montagna di carico superfluo. Sì. Sì. Sì. Sì. Sì. Oh oh oh oh. Lampo lampo lampo lampo lampo. Oh oh oh oh oh. Vieni vieni vieni vieni vieni. Dillon è nel cuore dello spettacolo e lancia lucenti scintille color porpora, abbattendo soli e masticandoli, e si sente anche più inserito che durante il suo grande assolo, perché questo è un tempo nel quale agiscono tutti, una mescolanza, una fusione, ed egli sa che quello che prova ora spiega ogni cosa: questo è lo scopo della vita, questa è la ragione di tutto. Sintonizzare in bellezza, immergersi nella sorgente caldissima della creazione, aprire la propria anima e lasciare entrare e uscire di nuovo ogni cosa, dare dare dare dare