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«Alma Clune.»

«Mi piace il suono del tuo nome. Alma.» Ella lo prende tra le braccia. Questa non sarà per lei una straordinaria esperienza erotica, egli teme. Quando il multiplexer avrà fatto effetto, dubita di poter concentrare la propria attenzione sulle necessità di lei, e in ogni caso il fattore tempo ha reso necessario omettere gli approcci. Ma sembra che ella capisca. Non rovinerà il suo viaggio. «Entra,» gli dice. «Va benissimo. Si inumidisce in fretta.» Penetra in lei. La lingua di lei contro la sua, le cosce vigorose di lei lo circondano. Egli copre il corpo della donna con il suo. «Sei già in viaggio?» ella chiede.

Egli rimane un momento silenzioso. Dentro e fuori, dentro e fuori. «Sento che comincia a fare effetto,» le dice. «È come avere due ragazze in una volta. Sto cogliendo degli echi.» Tensione. Egli non vuole rovinare ogni cosa venendo prima che l’effetto si faccia sentire. D’altra parte, se lei è un tipo che si soddisfa presto, avrebbe piacere di permetterle di avere uno spasmo o due; devono ancora trascorrere nove secondi prima che il multiplexer faccia effetto. Tutti questi calcoli lo raffreddano. E allora diventano inutili. «Sta accadendo,» sussurra. «Oh, dio, vado su!»

«Tranquillo,» dice Alma. «Non forzare ogni cosa. Adagio… Stai facendo bene. Vuoi che questo duri. Non preoccuparti per me. Va soltanto su.»

Dentro e fuori. Dentro e fuori. E ora comincia a sentire l’effetto multiplex della droga. Il suo spirito si sta espandendo fuori di lui. La droga lo rende psicosensitivo; abbatte le difese chimiche contro l’immissione telepatica diretta, in modo che egli può percepire la ricezione sensoria di coloro che gli stanno intorno. Si espande sempre più, un attimo dopo l’altro. Quando raggiungi la piena altezza, dicono, gli occhi e orecchie di tutti diventano tuoi; raccogli una infinità di risposte, sei in ogni luogo dell’edificio nello stesso momento. È vero? Altre menti stanno riversando nella sua le loro percezioni? Sembra che sia così. Vede l’ondeggiante mantello ardente della sua anima inghiottire e assorbire Alma, così che ora si trova contemporaneamente a faccia in su e a faccia in giù, e ogni volta che si spinge profondamente nella sua cavità bollente può anche sentire la spada spuntata scivolare dentro i suoi organi vitali.

Questo è soltanto l’inizio. Ora si sta estendendo sopra i piccoli di Alma. La ragazzina impubere di nove anni. Il lattante gorgogliante. È i sei bambini e la loro madre. Com’è facile questo! Egli è la famiglia della porta accanto. Otto bambini, madre, passeggiatore notturno proveniente dal 495° piano. Estende la sua sfera al piano superiore e al piano inferiore. E lungo i corridoi. Sotto l’effetto di sogno della droga multiplex sta prendendo possesso dell’intero edificio. Strati di immagini vaganti lo accolgono: 500 piani sopra il suo capo, 499 al di sotto, ed egli li vede tutti e 999 come una colonna dalle striature orizzontali, minuscole tacche contenute in una grande forma. Come formiche. Ed egli è tutte le formiche nello stesso tempo. Perché non l’hai mai fatto prima. Diventare un’intera monurb!

Ora deve raggiungere almeno venti piani in ogni direzione. E si sta ancora espandendo. I suoi tentacoli giungono dappertutto. È soltanto l’inizio. Sta mescolando la sua sostanza con la totalità dell’edificio.

Intanto Alma ondeggia sotto di lui. Il bacino si schiaccia contro il bacino; è confusamente consapevole della presenza di lei mentre la donna geme sommessamente il suo piacere. Ma soltanto un atomo di Dillon si occupa della donna. Il resto sta vagabondando per le sale della città che compongono Monade Urbana 116. Sta entrando in ogni camera. Parte di lui è a Boston, parte giù a Londra, tutta la sua persona a Roma come a Bombay. Centinaia di camere. Migliaia. Lo sciame di api bipedi. È in cinquanta bambini urlanti stipati in tre camere di Londra. È due barcollanti Bostoniani che iniziano la loro 5000° unione sessuale. È un passeggiatore notturno dal sangue bollente che vaga in circa di preda al 483° piano. È sei coppie che si scambiano in un dorm di Londra. Ora si trova in una sfera più ampia, e giunge in basso fino a San Francisco, in alto fino à Nairobi. Quanto più va lontano, tanto più facilmente afferra. L’alveare. L’imponente alveare. Abbraccia Tokyo. Abbraccia Chicago. Abbraccia Praga, Tocca Shanghai. Tocca Vienna. Tocca Varsavia. Tocca Toledo. Parigi! Reykjavik! Louisville! Louisville! Da cima a fondo, da cima a fondo! Ora è tutte le 881.000 persone di tutti i mille piani. La sua anima raggiunge la sua maggiore estensione. Il suo cranio si spezza. Le immagini vanno e vengono attraverso lo schermo della sua mente, pellicole vaganti della realtà, fili oleosi di fumo che portano volti, occhi, dita, genitali, sorrisi, lingue, gomiti, profili, suoni, strutture. Dolcemente si intersecano, si stringono e si separano. È in ogni luogo e ognuno nello stesso tempo. Dio benedica! Per la prima volta capisce la natura di quel delicato organismo che è la società; vede i controlli e gli equilibri, le tranquille intese di compromesso che impastano tutto insieme. Ed è straordinariamente bello. Accordare questa vasta città composta di molte città è come accordare il gruppo cosmos: ogni cosa deve essere in relazione, ogni cosa deve appartenere a qualche altra cosa. Il poeta di San Francisco è parte del montatore grubbo di Reykjavik. Il piccolo arrogante ambizioso di Shanghai è parte del pacifico sconfitto di Roma. Quanto di questo, si chiede Dillon, rimarrà con lui quando scenderà giù? Il suo spirito turbina. Scava nello stesso tempo in migliaia di anime.

E la sessualità. Le centinaia, le migliaia di accoppiamenti sessuali che avvengono dietro la sua mente. Le cosce protese, i posteriori offerti, le labbra socchiuse. Perde la verginità; acquista una verginità; si concede a uomini, donne, ragazzi, ragazze; è aggressore e aggredito; prova estasi, quasi perde orgasmi, impala trionfalmente, soffre vergognosamente la mancanza di erezione, entra, è entrato, prova piacere, dà piacere, rifiuta il piacere, nega piacere.

Viaggia nei pozzi di sqllevamento della sua mente. Sta andando su! 501, 502, 503, 504, 505! 600! 700! 800! 900! Si trova sulla pista di atterraggio alla sommità della monurb, scruta fuori nella notte. Torri tutt’intorno a lui, le monadi vicine, 115, 117, 118, l’intero gruppo di torri. Si è chiesto occasionalmente quale fosse la vita negli altri edifici che compongono la costellazione Chipitts. Ora non gliene importa più. Gli bastano le meraviglie del 116. Più di 800.000 vite che si intersecano. Ha sentito alcuni dei suoi amici dire, a San Francisco, che era un’azione perversa cambiare il mondo a quel modo, ammucchiare migliaia di persone in un singolo edificio colossale, creare questa vita di alveare di api. Ma come sbagliano quei brontoloni! Se potessero provare la droga multiplex e scorgere la vera prospettiva. Gustare la ricca complessità della nostra esistenza verticale. Sto scendendo! 480, 479, 476, 475! Città sopra città. Ogni piano contiene un migliaio di scatole di enigmi di puro piacere. Salve, sono Dillon Chrimes, posso essere te per un poco? E te? E te? E te? Sei felice? Perché no? Hai visto questo magnifico mondo in cui viviamo?

Che cosa? Ti piacerebbe una stanza più grande? Hai voglia di viaggiare? Non ti piacciono i tuoi bambini? Sei stufo del tuo lavoro? Sei pieno di un vago scontento indefinito? Idiota. Vieni su con me, vola da piano a piano, guarda! E scava dentro tutto questo. E amalo.

«Ne vale davvero la pena?» chiede Alma. «I tuoi occhi splendono!»

«Non posso descriverlo,» mormora Dillon, librandosi in aria, infilandosi nel nucleo dei servizi ai piani che si trovano sotto Reykjavik, e risalendo poi ondeggiando verso Louisville, e intersecando simultaneamente ogni punto tra le fondamenta e la sommità. Un oceano di menti tumultuanti. Uno sfrigolio di identità aggrovigliate. Si chiede che ora sia. Si pensa che il viaggio duri cinque ore. Il suo corpo è ancora unito a quello di Alma, e questo fatto lo induce a pensare di non essere stato su più di dieci o quindici minuti, ma forse è durato di più. Le cose ora si stanno facendo molto tangibili. Mentre va alla deriva per l’edificio sfiora muri, piani, schermi, volti, strutture. Dubita di poter scendere. Ma no. È ancora per strada. La simultaneità si accresce. È inondato di percezioni. Gente che si muove, parla, dorme, balla, si accoppia, si china, si stende, mangia, legge. Sono tutti voi. Tutti voi siete parte di me. Qui c’è Elettra, qui c’è Nat, qui c’è Mamelon Kluver, qui c’è un sociocomputatore dall’anima impenetrabile chiamato Charles Mattern, qui c’è un amministratore di Louisville, qui un gruppo di Varsavia. Qui c’è. C’è. Ci sono. Ci sono io. L’intero edificio benedicente.