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No. No. È proprio questo il punto, dice a se stesso con sconforto. Essi non previdero nulla di questo genere. Parlarono invece di limitare la fertilità, imponendo quando era necessario l’autorità del governo per mantenere la popolazione entro certi limiti. Jason rabbrividisce. «Non vedete,» dice ai suoi cubi, «che soltanto un regime totalitario poteva fare rispettare tali limiti? Dite che noi siamo una società repressiva. Ma che genere di società avreste costruito, se le monurb non si fossero sviluppate?»

La voce dell’uomo dell’antichità risponde: «Avrei piuttosto tentato la sorte limitando le nascite e permettendo in tutto il resto la più completa libertà. Voi avete accettato la libertà di moltiplicarvi, ma vi è costata tutte le altre libertà. Non vedete…»

«Sei tu il solo a non vedere,» dice Jason senza riflettere, «una società deve sostenere il suo slancio per mezzo della utilizzazione della fertilità che le è stata concessa da dio. Noi abbiamo trovato il modo di fare posto a tutti sulla Terra, di sostenere una popolazione dieci o venti volte più numerosa di quello che voi immaginavate fosse il massimo assoluto. Voi lo considerate soltanto come repressione e autoritarismo. Ma che dire dei miliardi di vite che sotto il vostro sistema non sarebbero assolutamente mai potuti venire alla luce? Non è quella la repressione definitiva, proibire agli uomini di esistere per prima cosa?»

«Ma quale bene è permettere di esistere, se il meglio che possono sperare è una scatola dentro una scatola dentro una scatola? Che dici della qualità di vita?»

«Non vedo difetti nella qualità della nostra vita. Troviamo una realizzazione nell’azione reciproca delle relazioni umane. Perché dover andare in Cina o in Africa per il mio divertimento, quando posso trovarlo in un solo edificio? Non è un segno di disorganizzazione interiore sentirsi costretti a vagabondare per tutto il mondo? Ai giorni vostri tutti viaggiavano, lo so, e ai miei nessuno lo fa. Quale società è più stabile? Quale più felice?»

«Quale è più umana? Quale sfrutta in modo più completo il potenziale umano? Non è proprio della nostra natura cercare, sforzarsi, estendersi…?»

«Che dici del ricercare all’interno? Esplorare la vita interiore?»

«Ma non vedi…?»

«Se soltanto ascoltassi…»

Jason non vede. Il portavoce dell’uomo dell’antichità non vede. E neppure ascolterà. Non c’è comunicazione. Jason spreca un altro giorno triste lottando con il suo materiale indocile. Soltanto quando sta per andarsene ricorda l’annotazione della sera precedente. Studierà i costumi sessuali degli antichi in un nuovo tentativo di riuscire a vedere a fondo in quella società scomparsa. Invia la sua richiesta. Quando domani ritornerà nel suo ufficio i cubi saranno sul suo scrittoio.

Va a casa a Shanghai, a casa da Micaela.

Quella sera i Quevedo hanno ospiti a cena. Michael, il fratello di Micaela, e sua moglie Stacion. Michael è capo ai computer; egli e Stacion vivono a Edimburgo, al 704° piano. Jason trova la sua compagnia provocante e vantaggiosa, sebbene la somiglianza fisica tra suo cognato e sua moglie, che una volta trovava divertente, ora lo allarmi e lo disturbi. Michael ostenta capelli lunghi fino alle spalle, ed è appena un centimetro più alto della sua alta, esile sorella. Sono certamente soltanto fratelli gemelli, tuttavia i lineamenti dei loro volti sono virtualmente identici. Hanno anche lo stesso tipo di sorriso teso, affettato, e sguardo torvo. Da dietro, Jason ha difficoltà a distinguerli a meno che non li veda fianco a fianco; hanno lo stesso portamento, le mani sui fianchi e i gomiti in fuori, il capo piegato all’indietro. Poiché Micaela ha un seno piccolo, la possibilità di confonderli esiste anche di profilo e talvolta, guardando di fronte uno di loro, Jason si è chiesto momentaneamente se guardasse Michael o Micaela. Se soltanto Michael si lasciasse crescere la barba! Ma le sue guance sono lisce.

Di tanto in tanto, Jason si sente attirato sessualmente da suo cognato. È un’attrazione naturale, considerando l’attrazione che Micaela ha sempre esercitato su di lui. Guardandola, attraverso la stanza, il liscio posteriore nudo, il piccolo globo di un seno visibile sotto le braccia mentre si dirige verso il terminal del calcolatore, sente l’urgenza di andare verso di lei e di accarezzarla. E se essa fosse Michael? E se lasciando scivolare la mano sul seno di lei lo trovasse piatto e ruvido? E se cadessero insieme in un groviglio appassionato? Se la sua mano si allungasse alle cosce di Micaela e non trovasse la calda fessura nascosta ma la carne ciondolante della virilità? E rovesciare lei. Lui? Separare le pallide natiche muscolose. L’improvvisa strana spinta. No. Jason scaccia la fantasia dalla sua mente. Di nuovo. Non ha più avuto alcun genere di contatto sessuale con il suo sesso dai giorni violenti e facili in cui era ragazzo. Non lo permetterà. Non esistono punizioni per cose simili, naturalmente, nella società delle monurb, in cui tutti sono egualmente accessibili. Molti lo fanno. A quel che ne sa, Michael stesso. Se Jason vuole Michael, non ha che da chiedere. Il rifiuto è una colpa. Egli non chiede. Combatte la tentazione. Non è giusto che un uomo assomigli tanto a sua moglie. La trappola del diavolo. Perché resisto, però? Se mi vuole, perché non prendere? Ma no, non voglio, in realtà. È soltanto un basso impulso, un modo contorto di desiderare Micaela. E tuttavia il fantasma si solleva di nuovo. Lui e Michael, avvinghiati, le bocche ansimanti. L’immagine risplende così vivacemente che Jason si alza con un brusco movimento nervoso, urta il fiasco di vino che Stacion ha portato questa sera e, mentre Stacion si tuffa e lo salva, egli attraversa la camera, atterrito dall’erezione che gonfia i suoi attillati pantaloni corti color oro e verde. Si avvicina a Micaela e le mette una mano sul seno. Il capezzolo è morbido. Si stringe contro di lei, le morsica la nuca. Ella tollera le sue attenzioni in modo distante, senza interrompere la programmazione della cena. Ma quando, ancora turbato, egli fa scivolare una mano sotto il lato aperto del suo sarong e attraverso il ventre la allunga fino ai fianchi, ella distorce le labbra in una smorfia di malcontento e mormora aspramente; «Smettila! Non con loro seduti là!»

Trova i fumi e li offre in giro, impetuosamente. Stacion rifiuta; è incinta. Una piacevole ragazza grassottella dai capelli rossi, contenta di sé, tranquilla. Fuori posto in questa riunione di ipertesi. Jason assorbe il fumo e sente che il groviglio si allenta lievemente dentro di lui. Ora può guardare Michael senza cadere in preda a impulsi innaturali. Tuttavia continua a rimuginare. Michael sospetta? Riderebbe se glielo dicesse? Si offenderebbe? Si irriterebbe con me perché lo desidero? Supponendo che egli me lo chiedesse, che farei? Jason prende un secondo fumo e il pullulare di domande ronzanti abbandona la sua mente. «Quando nascerà il piccolo?» chiede, con gaiezza simulata.

«Dio benedica, tra quattordici settimane,» dice Michael. «Numero cinque. Una bambina, questa volta.»

«La chiameremo Celeste,» si intromette Stacion, accarezzandosi il ventre. Il suo abito premaman si compone di un corto bolero giallo e di un’ampia cintura bruna alla vita. Che lascia nudo il ventre gonfio. L’ombelico è rovesciato come il picciolo di un frutto pieno. I seni colmi di latte oscillano comparendo e scomparendo sotto la giacchetta aperta. «Stiamo pensando di richiedere dei gemelli per l’anno prossimo,» ella aggiunge. «Un bambino e una bambina. Michael mi parla sempre dei bei tempi in cui lui e Micaela stavano insieme, da bambini. Come un mondo speciale per gemelli.»

Jason è colto di sorpresa dallo sprofondamento del suo pensiero, e si immerge un’altra volta in una febbrile fantasia. Vede le gambe distese di Micaela che sporgono di sotto al magro corpo di Michael che si muove ritmicamente, vede l’estatico volto infantile di lei che guarda al di sopra delle spalle affaccendate di Michael. I bei tempi in cui erano soliti stare insieme. Michael il primo dentro di lei. A nove, o dieci anni, forse? I loro goffi tentativi. Lasciami venire sopra di te questa volta, Michael. Oh, così è più profondo. Pensi che stiamo facendo qualcosa di sbagliato? No, sciocco, non abbiamo dormito insieme per nove mesi interi? Metti qui la tua mano. E di nuovo la tua bocca su di me. Sì. Mi fai male al seno, Michael. Oh, oh, com’è bello. Ma aspetta, soltanto altri pochi secondi. I bei tempi in cui erano soliti stare insieme. «Che cos’hai, Jason?» La voce di Michael. «Hai un’aria così tirata.» Jason si sforza di scuotersi dall’ossessione. Le mani gli tremano. Un altro fumo. Raramente ne prende tre prima di cena.