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Stacion è andata ad aiutare Micaela a ritirare il cibo dall’apertura di consegna. Michael dice a Jason: «Ho sentito dire che hai incominciato un nuovo progetto di ricerca. Qual è il tema di base?»

È gentile da parte sua. Intuisce che sono a disagio. Fammi uscire dal mio morboso rimuginare. Tutti quei pensieri malati.

Jason risponde: «Sto valutando l’ipotesi secondo cui la vita nelle monurb generi un nuovo tipo di esseri umani. Un tipo che si adatta prontamente a uno spazio vitale relativamente piccolo e a un basso quoziente di privacy.»

«Intendi dire una mutazione genetica?» chiede Michael, accigliandosi. «Letteralmente, una caratteristica sociale ereditaria?»

«Così credo.»

«Sono possibili cose come queste, però? Puoi realmente chiamare un tratto genetico il fatto che la gente decida volontariamente di associarsi in una società come la nostra, e…»

«Volontariamente?»

«Non è così?»

Jason sorride. «Dubito che sia mai stato così. All’inizio, sai, fu una questione di necessità. A causa del caos nel mondo. Chiudersi ermeticamente in un edificio o esporsi ai ladri di cibo. Sto parlando degli anni della fame. E da allora, da quando tutto si stabilizzò, la scelta è stata sempre volontaria? Abbiamo una scelta sul luogo in cui vivere?»

«Suppongo che potremmo uscire se realmente lo volessimo,» dice Michael, «e vivere in un luogo qualsiasi di nostra scelta là di fuori.»

«Ma non lo vogliamo. Poiché riconosciamo che è una fantasia senza speranza, rimaniamo, ci piaccia o no. E coloro ai quali non piace, coloro che alla fine non possono più sopportarlo, bene, sai qual è la loro sorte.»

«Ma…»

«Aspetta. Secoli di generazione selettiva, Michael. E senza dubbio una parte degli abitanti fu perduta perché abbandonò l’edificio, almeno all’inizio. Coloro che rimangono si adattano alle circostanze. A loro piace il modo di vivere della monurb. Sembra loro del tutto naturale.»

«È davvero un fatto genetico, tuttavia? Non potresti semplicemente chiamarlo condizionamento psicologico? Intendo dire, nei paesi asiatici, la gente è sempre vissuta pigiata nel modo in cui lo siamo noi, soltanto in condizioni molto peggiori, senza assistenza sanitaria, senza ordine, e non l’accettavano come l’ordine naturale delle cose?»

«Certamente,» dice Jason. «Perché la ribellione contro l’ordine naturale delle cose ha avuto origine migliaia di anni fa al di fuori di loro. I soli che rimanevano, i soli che si riproducevano, erano i soli che accettavano le cose come erano. La stessa cosa accade qui.»

Michael dice dubbiosamente: «Come puoi tracciare una linea di separazione tra il, condizionamento psicologico e la riproduzione selettiva a lungo termine? Sai quello che puoi attribuire a una o all’altra delle due cause?»

«Non ho ancora affrontato quel problema,» ammette Jason.

«Non dovresti lavorare con un genetista?»

«Forse lo farò più tardi. Dopo che avrò stabilito i miei parametri di inchiesta. Sai, non sono ancora pronto a difendere questa tesi. Sto soltanto raccogliendo i dati per scoprire se può essere sostenuta. Il metodo scientifico. Noi non facciamo supposizioni a priori e ci guardiamo intorno per sostenere l’evidenza; per prima esaminiamo l’evidenza e…»

«Sì, sì, lo so. Per dirla tra noi, però, tu ritieni che stia realmente accadendo, non è vero? Una species della monurb.»

«Sì, è così. Due secoli di procreazione selettiva, imposta abbastanza spietatamente. E tutti noi ora ci adattiamo così bene a questo genere di vita.»

«Ah, sì. Tutti noi ci adattiamo così bene.»

«Con alcune eccezioni,» dice Jason indietreggiando un poco. Lui e Michael si scambiano sguardi circospetti. Jason si chiede quali pensieri si nascondano dietro gli occhi freddi di suo cognato. «Accettazione universalmente favorevole, tuttavia. Quando ha avuto fine la vecchia filosofia espansionistica dell’Occidente? Un prodotto della razza, dico. Imperioso bisogno di potere? Amore della conquista? Ingordigia di terre e di proprietà? Scomparsi. Scomparsi. Scomparsi. Non penso che sia soltanto un processo condizionante. Sospetto che si tratti di eliminare dalla razza certi geni che conducono a…»

«La cena è pronta, professore,» annuncia Micaela.

Un pasto costoso. Bistecche proteoidi, insalata di radici, budino di spuma, salse, zuppa di pesce. Nulla di rigenerato e appena qualcosa di sintetico. Nelle prossime due settimane Micaela e lui dovranno rimpicciolire le razioni finché non abbiano colmato il deficit causato dalle loro spese eccessive. Dissimula il fastidio. Michael mangia sempre in modo raffinato quando viene in visita; Jason si chiede perché, dal momento che Micaela non è altrettanto sollecita verso gli altri suoi sette fratelli e sorelle. A malapena ne invita due o tre. Ma Michael è qui almeno cinque volte l’anno e ogni volta banchetta. I sospetti su Michael si risvegliano. C’è qualcosa di brutto tra i due? Covano ancora le passioni dell’infanzia? Forse è piacevole accoppiarsi per due gemelli di dodici anni, ma può esserlo ancora a ventitré anni, quando si è sposati? Michael viene a passeggiare di notte sulla mia piattaforma-letto? Jason è seccato con se stesso. Era già abbastanza stupido che dovesse inquietarsi per le sue idiote fissazioni omosessuali su Michael; ora deve tormentarsi per il timore di un intrigo incestuoso alle sue spalle. E avvelena le sue ore di relax. Che fare se i suoi sospetti sono fondati? Non c’è nulla di socialmente obiettabile in questo. Cercate il piacere dove volete. Nella fessura di vostra sorella, se vi siete portati. Tutti gli uomini della Monade Urbana 116 potranno avvicinare Micaela Quevedo, eccetto lo sfortunato Michael? La sua condizione di nato nello stesso utero deve negargliela? Siamo realistici, si dice Jason. I tabù dell’incesto avevano un senso soltanto quando v’era coinvolta la procreazione. In ogni modo, tra di loro una relazione incestuosa non c’è, probabilmente non c’è mai stata. Si chiede perché tanto cattivo gusto sia germogliato ultimamente nella sua anima. Gli attriti della vita con Micaela, decide. La sua freddezza mi sta portando a ogni genere di atteggiamenti indegni di benedizione, la cagna. Se non smetterà di pungolarmi, io…

Io che cosa? Distoglierò Michael da lei? Ride della morbosità delle sue fantasie.

«Qualcosa di buffo?» chiede Micaela. «Dividilo con noi, Jason.»

Egli guarda in su, senza difese. Che cosa dirà? «Un pensiero stupido,» improvvisa. «Su te e Michael, su quanto vi rassomigliate l’un l’altro. Stavo pensando, forse una notte lui e io potremmo scambiare le camere, e allora un passeggiatore notturno verrebbe qui, cercandoti, ma quando effettivamente si mettesse sotto le coperte con te scoprirebbe di essere a letto con un uomo, e…» Jason è colpito dalla fatuità di quanto sta dicendo e si cala in un vago silenzio.

«Che cosa strana da immaginare,» dice Micaela.

«Altrimenti, che si può dire?» chiede Stacion. «Il passeggiatore notturno potrebbe essere un poco sorpreso per un minuto, forse, ma poi non avrebbe che da andare avanti e farlo con Micael, non è vero? Piuttosto che fare una gran scena o preoccuparsi di andare in qualche altro posto. Così non vedo che cosa ci sia di buffo.»