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Suo cognato Jason ha inconsapevolmente captato la smania segreta di Michael. Le sue teorie su una razza speciale di individui della monurb, esternata una sera in cui Michael e Stacion erano in visita dai Quevedo. Che cosa disse Jason? Sto valutando l’ipotesi secondo cui la vita della monurb generi un nuovo tipo di esseri umani. Un tipo che si adatta prontamente a uno spazio vitale relativamente piccolo e a un basso quoziente di privacy. Michael aveva avuto i suoi dubbi su questa teoria. A lui il fatto che la gente stesse rinchiusa in una monade urbana non sembrava tanto dipendere da un mutamento genetico, era piuttosto un condizionamento psicologico. O anche una accettazione volontaria della situazione in generale. Ma più Jason parlava, più le sue parole acquistavano un senso. Quando spiegava perché non si debba uscire dalle monurb, anche se non c’è ragione reale perché non si possa farlo. Perché riconosciamo che è una fantasia senza speranza, rimaniamo, ci piaccia o no. E coloro ai quali non piace, coloro che alla fine non possono più sopportarlo - bene, sai quel è la loro sorte. Michael lo sa. Per i flippo c’è il salto giù dello scarico. Coloro che rimangono si adattano alle circostanze. Due secoli di procreazione selettiva, imposta abbastanza crudelmente, e tutti noi ora ci adattiamo così bene a questo genere di vita.

E Michael diceva: Ah. Sì. Tutti noi ci adattiamo così bene. E non credeva che fosse vero per tutti noi.

Con alcune eccezioni. È la moderata concessione di Jason.

Michael medita su ciò, appeso al sistema di collegamento. Senza dubbio la procreazione selettiva spiega il fatto in gran parte. L’accettazione universale della vita della monade. Quasi universale. Ciascuno accetta che la vita sia così, 885.000 persone sotto lo stesso tetto, un migliaio di piani, una quantità di bambini, raggomitolati uno accanto all’altro. Tutti accettano. Con alcune eccezioni. Alcuni di noi guardano fuori della finestra, fuori nel mondo nudo, e rabbia e sudore sono dentro di noi. Vogliamo andare là fuori. Ci manca il gene dell’accettazione?

Se Jason ha ragione, se la popolazione della monurb è stata procreata per rallegrarsi della vita che deve condurre, allora nella quantità ci devono essere pochi recessivi. Leggi della genetica. Non potete sradicare un gene. Potete soltanto seppellirlo da qualche parte, ma esso salta su ad ossessionarvi dopo avere seguito la vostra traccia per otto generazioni. Me. In me. Io porto il gene sconveniente. E così soffro.

Michael decide di consultarsi su questi argomenti con sua sorella.

Va da lei un mattino, alle 11, quando è proprio sicuro di trovarla in casa. C’è, indaffarata con i bambini. La sua deliziosa gemella, che proprio adesso sembra un po’ nei pasticci. I capelli scuri in disordine. Suo unico indumento è un asciugamano sporco gettato sulle spalle. Una macchia su una guancia. Quando egli entra si guarda intorno, sospettosa. «Oh! Sei tu.» Gli sorride. Appare così attraente, sottile e piatta com’è. I seni di Stacion sono pieni di latte; dondolano e sobbalzano, grossi sacchi pieni di succo. Preferisce le donne snelle. «Soltanto una visita,» dice a Micaela. «Ti spiace se resto per un poco?»

«Dio benedica, fa tutto quello che ti piace. Non curarti di me. I piccoli mi fanno disperare.»

«Posso aiutarti?» Ma ella non lo disturba. Egli siede a gambe accavallate e la osserva mentre corre per la camera. Mette un bambino sotto la doccia, l’altro nella fessura di custodia. Gli altri sono a scuola, grazie a dio. Le gambe di lei sono lunghe e sottili, le natiche strette, non increspate dall’eccesso di carne. È quasi tentato di prenderla subito, adesso; soltanto, ella è troppo tesa per i lavori del mattino. È qualcosa che non ha più fatto, almeno da molti anni. Non più da quando erano ragazzi. Specialmente per il fatto di essere gemelli; era naturale mettersi insieme. Una particolarissima intimità, come avere un altro se stesso, soltanto femmina. Si facevano domande l’un l’altra. Lei lo toccava, quando aveva forse nove anni.

«Come ti senti, con tutto quello che ti cresce tra le gambe? Ciondola. Non ti intralcia nel camminare?» Egli tentava di spiegare. Più tardi, quando le si formò il seno, egli le pose lo stesso genere di domande. In realtà ella si era sviluppata prima di lui. La pubertà era giunta prima per lei che per lui. I periodi mensili furono una specie di abisso tra loro, lei adulta, lui ancora bambino, e gemelli nonostante tutto. Michael sorride. «Se ti faccio delle domande,» dice, «mi prometti di non dire nulla a nessuno? Neppure a Jason?»

«Sono mai stata una chiacchierona?»

«Molto bene. Solo per rassicurarmi.»

Ella finisce con i piccoli e si lascia cadere, esausta, di fronte a lui. Lascia che l’asciugamano si drappeggi sulle cosce. Certamente. Egli si chiede che cosa penserebbe se le chiedesse di farlo. Oh, sì, ella lo farebbe, dovrebbe farlo, ma vorrebbe? Oppure sarebbe spiacevole cedere al proprio fratello? Non la pensava così, una volta. Ma accadeva molto tempo fa.

Egli dice: «Non hai mai avuto voglia di lasciare la monade, Micaela?»

«Andare in un’altra, vuoi dire?»

«Proprio uscirne fuori. Al Gran Canyon. Le Piramidi. Fuori. Non ti sei mai sentita insoddisfatta dentro l’edificio?»

Gli occhi scuri di lei scintillano. «Dio benedica, sì! Insoddisfatta. Non ho mai pensato molto alle Piramidi, ma ci sono giorni nei quali sento le pareti su di me come un fascio di mani. Mi schiacciano.»

«Anche tu, allora!»

«Di che cosa stai parlando, Michael?»

«La teoria di Jason. Gli individui che sono stati generati, generazione dopo generazione, per tollerare l’esistenza della monurb. E io stavo pensando che alcuni di noi non sono così. Noi siamo recessivi. I geni sbagliati.»

«Retrogradi.»

«Retrogradi, sì! Probabilmente siamo fuori posto come tempo. Non saremmo dovuti nascere ora, ma quando la gente era libera di andare in giro. Micaela, voglio lasciare l’edificio. Voglio proprio andarmene in giro all’esterno.»

«Non sei serio.»

«Penso di esserlo. Non che lo farò necessariamente. Ma ho voglia di farlo. E questo significa che sono, bene, un retrogrado. Non sono adatto a far parte della popolazione pacifica di Jason, così come invece ne fa parte Stacion. A lei piace star qui. Un mondo ideale. Ma a me no. E se è un fatto genetico, se realmente non sono adatto a questa civiltà, tu dovresti essere fatta nello stesso modo. Tu che hai tutti i miei geni e io che ho tutti i tuoi. Cosi ho pensato che dovrei provare. Per capirmi meglio. Cercare di scoprire come voi siete bene adattati.»