«Io non lo sono.»
«Lo so!»
«Non che voglia lasciare l’edificio,» dice Micaela. «Ma ho altri sintomi. Atteggiamenti emotivi. Gelosia, ambizione. Ho una quantità di pensieri indegni di benedizione nella testa, Michael. E anche Jason. Abbiamo litigato per questo soltanto la scorsa settimana.» Ride basso. «E abbiamo deciso che eravamo retrogradi, tutti e due. Come selvaggi usciti dai tempi antichi. Non voglio scendere nei dettagli, ma sì, penso che tu abbia ragione, tu e io nel nostro intimo non siamo realmente gente della monurb. È soltanto una vernice.»
«Esattamente! Una vernice!» Michael batte le mani. «Benissimo. È quello che volevo sapere.»
«Non andrai fuori dell’edificio, non è vero?»
«Se lo farò, sarà soltanto per breve tempo. Per vedere com’è. Ma dimentica che te l’ho detto.» Intravvede preoccupazione nei suoi occhi. Si avvicina a lei e, prendendola tra le braccia, le dice: «Non mandarmi a monte il progetto, Micaela. Se lo farò, sarà perché devo farlo. Mi conosci. Lo capisci. Così sta’ tranquilla finché non ritornerò. Se andrò.»
Ora non ha più alcun dubbio, tranne su alcuni problemi marginali, come quello degli addii. Scivolerà fuori senza dire una parola a Stacion? Sarebbe meglio, ella non capirebbe mai e potrebbe causare complicazioni. E Michaela? È tentato di farle visita proprio prima di andare. Un addio speciale. Non c’è nessuno nell’intero edificio al quale sia più vicino, e potrebbe proprio non ritornare dalla sua scampagnata fuori dell’edificio. Pensa che gli piacerebbe prenderla e sospetta che lei lo desideri. Ma può rischiare? Non deve riporre troppa fiducia in questa somiglianza genetica; se lei scoprisse che egli sta realmente progettando di lasciare la monade, potrebbe farlo prendere e mandarlo dagli ingegneri morali. Per il suo bene. Senza dubbio considera il suo progetto un’idea da flippo. Soppesando tutto, Michael decide di non dirle nulla. La prenderà nella sua mente. Le labbra di lei sulle sue, la sua lingua che si muove, le mani che accarezzano la svelta solidità di lei. La spinta. I corpi che si muovono con perfetta coordinazione. Siamo soltanto le metà separate di una singola entità, ora riunite ancora una volta. Per questo breve istante. Il fatto diventa così vivido nella sua immaginazione che quasi rinuncia alla sua decisione. Quasi.
Ma alla fine se ne va senza dirlo a nessuno.
La fuga gli riesce abbastanza facilmente. Sa come asservire la grande macchina alle sue necessità. Quel giorno, durante il suo turno, rimane un po’ più sveglio del solito, sogna un po’ meno. Controlla i suoi nodi, prendendo vantaggio da tutti gli impulsi fuggitivi che fluttuano attraverso i gangli possenti del gigantesco edificio: richieste di cibo, statistiche di nascite e decessi, bollettini atmosferici, il livello di amplificazione di un centro sonico, il rifornimento di droga per i distributori meccanici, i diagrammi di riciclaggio dell’urina, collegamenti di comunicazioni eccetera eccetera. E mentre lavora, tocca casualmente un nodo con le dita e ottiene un inserimento nella riserva dei dati. Ora è in contatto diretto con il cervello centrale, la grande macchina, che, con una serie di lampeggiamenti, gli dice che è pronta a essere istruita. Molto bene. La istruisce perché emetta, per Michael Statler dell’appartamento 70411, un lasciapassare di uscita che il predetto Statler possa ottenere su richiesta ad ogni terminal; valido fino all’uso. Poiché vede in questo una occasione per essere vile, corregge l’ordine immediatamente: valido soltanto per dodici ore dopo l’emissione. Più il diritto d’ingresso ogni volta che venga richiesto. Il nodo gli lampeggia un simbolo di accettazione. Bene. Ora incide due messaggi, facendoli registrare perché vengano trasmessi quindici ore dopo l’emissione del lasciapassare di uscita. Alla signora Micaela Quevedo, appartamento 76124. Cara sorella, l’ho fatto, augurami buona fortuna. Ti porterò un po’ di sabbia della riva del mare. E l’altro messaggio alla signora Stacion Statler, appartamento 70411. Spiega con brevi parole dove è andato e perché. Le dice che ritornerà presto, di non preoccuparsi, questa era una cosa che doveva fare. Sono tutti i suoi addii.
Finisce il turno. Ora sono le 17,30. Non ha senso lasciare l’edificio quando sta per calare la notte. Ritorna da Stacion; cenano, giocano con i bambini, guardano per un poco lo schermo, fanno l’amore. Forse per l’ultima volta. Lei dice: «Sembri molto lontano questa sera, Michael.»
«Sono stanco. Oggi ho avuto una quantità di derivazioni da fare alla parete.»
Lei sonnecchia. Egli la stringe con affetto tra le braccia. Morbida e calda e gonfia, e diventa più gonfia ad ogni secondo che passa. Le cellule si dividono nel suo ventre, la magica mitosi. Dio benedica! È quasi incapace di sopportare l’idea di allontanarsi da lei. Ma sullo schermo lampeggiano immagini di terre lontane. L’isola di Capri al tramonto, il grigio cielo, il grigio mare; l’orizzonte che si stende fino allo zenith, strade che serpeggiano lungo una scogliera ricoperta di vegetazione lussureggiante. Qui c’è la villa dell’imperatore Tiberio. Agricoltori e pastori che vivono come sarebbero vissuti diecimila anni prima, senza essere toccati dai cambiamenti avvenuti nel continente. Qui non ci sono monadi urbane. Gli amanti si rotolano sull’erba, se lo vogliono. Solleva la gonna di lei. Risa; i rovi dei cespugli carichi di bacche graffiano la rosea superficie delle natiche di lei mentre si agita sotto di te, ma ella non se ne cura. È una focosa ragazza di campagna. Un esempio di antiquato barbarismo. Tu e lei vi insudiciate insieme, vi sporcate la punta dei piedi e la pelle delle ginocchia. E guarda questi uomini che indossano abiti laceri e sudici e si passano l’un l’altro un fiasco di vino dorato, proprio nei campi nei quali i grappoli sono maturati. Com’è scura la loro pelle! Come cuoio, se quello era realmente l’aspetto del cuoio, come si può esserne sicuri? Bruna, però, abbronzata dal sole autentico. Molto al di sotto, le onde avanzano rotolando dolcemente. Grotte e rocce fantasticamente scolpite sulla riva del mare. Il sole è scomparso dietro le nubi e il grigiore del cielo e della spiaggia si incupisce. Cade una sottile pioggia nebbiosa. È notte. Gli uccelli cantano i loro inni al sopraggiungere dell’oscurità. Capre che si sdraiano. Egli percorre sentieri coperti di foglie, evitando gli escrementi caldi, fermandosi a toccare la ruvida corteccia di quest’albero, ad assaggiare la dolcezza di questa bacca rigonfia. Può quasi annusare l’odore della schiuma salata che sale dal basso. Si vede correre all’alba lungo la spiaggia con Micaela, entrambi nudi, mentre la nebbia della notte si solleva, la prima luce cremisi cade sulla loro pelle pallida. L’acqua è tutta d’oro. Essi vi entrano con un balzo, nuotano, galleggiano, perché l’acqua salata permette loro di rimanere a galla. Si immergono e nuotano sott’acqua, gli occhi aperti, studiandosi l’un l’altra. I capelli fluiscono dietro il dorso di lei. Una scia di bollicine segue i suoi piedi che scalciano. Riesce a raggiungerla e si abbracciano lontano dalla spiaggia. Delfini amichevoli li osservano. Generano un bambino incestuoso accoppiandosi nel famoso Mediterraneo. Dove Apollo si unì alla sorella, non è vero? Oppure era un altro dio. Echi classici tutt’intorno. Strutture, sapori, il gelido morso della brezza dell’alba mentre salgono sulla spiaggia, la sabbia si appiccica alla loro pelle bagnata, un frammento di alga marina è impigliato nei capelli di lei. Un ragazzo con una capretta viene verso di loro. Vino? Vino? Offre un fiasco. Sorride. Micaela vezzeggia la capra. Il ragazzo ammira il suo esile corpo nudo. Sì, dici, vino, ma noi non abbiamo denaro, e voi tentate di spiegare, ma il ragazzo non se ne cura. Vi dà il fiasco. Bevete una sorsata profonda. Vino freddo, vivo, eccitante. Il ragazzo guarda Micaela. Un bacio? Perché no, voi pensate. Non c’è pericolo in questo. Sì, sì, un bacio, voi dite, e il ragazzo si avvicina a Micaela, appoggia le labbra timidamente alle sue, allunga una mano per toccarle i seni, poi non osa farlo e la bacia soltanto. E si allontana, con un largo sorriso, e viene verso di te e bacia anche te, in fretta, poi si mette a correre, lui e la sua capra, e scende pazzamente verso la spiaggia, lasciandoti il fiasco di vino. Tu lo passi a Micaela. Il vino le cola lungo il mento, lasciando gocce che luccicano alla luce del sole splendente. Quando il vino è finito, lanci il fiasco lontano, verso il mare. Un dono per le sirene. Tu prendi la mano di Micaela. Salite sulla scogliera, attraverso i rovi, e i ciottoli rotolano sotto i vostri piedi nudi. Ombre, sbalzi di temperatura, profumi, suoni. Uccelli. Una risata. La splendida isola di Capri. Il ragazzo con la capra è proprio davanti a voi, vi fa un cenno da dietro un burrone, dicendoti di affrettarti, di affrettarti, di venire a vedere. Lo schermo si oscura. Sei sdraiato sulla piattaforma-letto accanto a tua moglie incinta e assopita al 704° piano di Monade Urbana 116.