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Quando verranno a prenderlo, decide, si farà avanti e li attaccherà. Meglio venire abbattuto alla svelta che morire sull’altare del villaggio.

Tuttavia passa una mezz’ora, e nessuno ha guardato in direzione della sua cella. La danza è continuata senza interruzione. Madidi di sudore, i contadini sembrano figure di sogno, splendenti, grottesche. Petti nudi, ansimanti, narici dilatate, occhi ardenti. Nuovi rami sul fuoco. I suonatori si stimolano l’un l’altro in nuovi parossismi. Ed ora, che cos’è questo? Figure mascherate sfilano in parata sulla piazza: tre uomini e tre donne. Il volto nascosto da complicate maschere sferiche, da incubo notturno, bestiali, vistose. Le donne portano cesti ovali dentro ai quali si possono scorgere prodotti della comune: sementi, pannocchie secche di granoturco, farina. Gli uomini circondano una settima persona, una donna: due di loro la trascinano per le braccia, il terzo la spinge da dietro. È incinta di molti mesi, si trova al sesto o anche al settimo mese. Non porta nessuna maschera e il suo volto è tirato e rigido, le labbra strette, gli occhi spalancati e impauriti. La gettano al suolo davanti al fuoco e rimangono al suo fianco. Ella si inginocchia, il capo chino, i lunghi capelli che quasi toccano il suolo, i seni gonfi ondeggianti a ogni respiro ansimante. Uno degli uomini mascherati — è impossibile pensare che non siano sacerdoti — intona una risonante invocazione. Una delle donne mascherate mette una pannocchia di granoturco in entrambe le mani della donna incinta. Un’altra le cosparge la schiena di farina che aderisce alla pelle sudata. La terza dissemina le sementi nei suoi capelli. Gli altri due uomini si uniscono al canto. Michael afferra le sbarre della cella, ha l’impressione di essere stato scagliato indietro di migliaia di anni e di partecipare a una festa neolitica; gli è quasi impossibile credere che a una giornata di cammino da qui sorga la mole di mille piani della Monade Urbana 116.

Hanno finito di consacrare la donna incinta con i prodotti della terra. Ora due dei sacerdoti la sollevano e una delle sacerdotesse le strappa il solo indumento. Un urlo dei contadini. La fanno girare tutt’intorno. Esibiscono a tutti la sua nudità. Il ventre pesante, teso come un tamburo, risplende alla luce del fuoco. I larghi solidi fianchi, le natiche carnose. Rendendosi conto di avere davanti uno spettacolo sinistro, Michael schiaccia il volto contro le sbarre, scacciando il terrore. La donna, e non lui, è la vittima sacrificale? Il lampeggiare di un coltello, il feto non ancora nato strappato dalla matrice, una propiziazione diabolica degli dei del raccolto? Per favore, no. Forse è lui l’esecutore prescelto. Dalla sua febbrile, spontanea immaginazione sorge la scena: si vede strappato dalla cella, gettato sulla piazza, gli viene messa in mano una falce. La donna distesa vicino al fuoco, il ventre rivolto verso l’alto, i sacerdoti che cantano, le sacerdotesse che saltano, e con una pantomima gli dicono quello che deve fare, gli indicano la curva tesa del corpo di lei, indicano col dito il punto preferito per l’incisione, mentre la musica sale fino alla follia e il fuoco splende più alto, e… No. No. Volge il capo, si mette una mano sugli occhi. Rabbrividisce, nauseato. Quando può risolversi a guardare di nuovo, vede che i contadini si alzano e si dirigono danzando verso il fuoco, verso la donna incinta. Questa è ritta sui piedi, disorientata, stringe le pannocchie di granoturco, stringe le cosce insieme, dimena le spalle in un modo che indica che prova vergogna della propria nudità. Essi saltellano intorno a lei. Le gridano aspri insulti, facendo il segno di spregio con le quattro dita. Additandola, schernendola, accusandola. Una strega condannata? Un’adultera? La donna si ritrae su se stessa. All’improvviso la folla la circonda. Egli vede che la schiaffeggiano, la spingono, sputandole addosso. Dio benedica, no! «Lasciatela!» urla. «Sporchi grubbo, toglietele le mani di dosso!» Le sue urla sono sommerse dalla musica. Una spinta a due mani; ella vacilla, tenta di stare in piedi e incespica nel cerchio dei contadini, soltanto per venire afferrata per i seni e sbattuta indietro verso la parte opposta. Ansima, in preda a un selvaggio terrore, cercando una via di scampo, ma il cerchio è stretto ed essi la scagliano tutt’intorno. Quando cade, infine, la tirano in piedi e la sballottano ancora, afferrandola per le braccia e facendola roteare di mano in mano intorno al cerscio. Poi il cerchio si apre. Altri contadini avanzano verso di lei. Altri insulti. Tutti i colpi sono dati a mano aperta e nessuno osa colpire il ventre di lei, tuttavia sono assestati con grande forza; gocce di sangue le macchiano il mento e la gola, un ginocchio e una natica si sono sbucciati quando è stata gettata al suolo. Zoppica pure; si deve essere storta una caviglia. Vulnerabile com’è nella sua nudità, ella non fa alcun tentativo per difendersi o per proteggere la sua gravidanza. Stringendo le pannocchie di granoturco, accetta semplicemente il suo tormento, lasciandosi scagliare intorno, permettendo a mani vendicative di spingerla e pizzicarla e colpirla. La folla ondeggia intorno a lei e ciascuno attende il suo turno. Quanto può ancora sopportare? Hanno intenzione di percuoterla fino a farla morire? Di farle perdere il bambino mentre stanno a guardare? Egli non ha mai immaginato qualcosa di così agghiacciante. Sente i colpi che si abbattono sul suo corpo. Se potesse, colpirebbe a morte questa gente con dei fulmini. Dov’è il loro rispetto per la vita? Quella donna dovrebbe essere sacra ed invece essi la torturano.

La donna scompare sotto un’orda di assalitori urlanti.

Quando si scostano, un minuto o due più tardi, ella è inginocchiata, prossima al collasso. Le labbra contratte da singhiozzi isterici e strozzati. Trema da capo a piedi. La testa è china in avanti. La mano artigliata di qualcuno ha lasciato una serie di tracce sanguinanti parallele sul globo del seno destro. È imbrattata dappertutto di sudiciume.

La musica si addolcisce stranamente, come se si stesse avvicinando l’apice dell’azione e si dovesse prendere slancio. Ora vengono a prendermi, pensa Michael. Ora pretenderanno che io la uccide, o la prenda, o le dia un calcio nel ventre, o dio sa che cosa. Ma nessuno guarda nemmeno verso l’edificio nel quale è imprigionato. I tre sacerdoti stanno cantando all’unisono; la musica acquista gradatamente intensità; i contadini si ritirano, raggruppandosi lungo il perimetro della piazza. E la donna si rialza, vacillando, incerta. Abbassa lo sguardo sul suo corpo insanguinato e contuso. Il volto è totalmente privo di espressione; è oltre il dolore, oltre la vergogna, oltre il terrore. Lentamente si dirige verso il fuoco. Inciampa. Riprende l’equilibrio, rimane in piedi. Ora si trova presso il bordo del fuoco, quasi alla portata delle lingue lambenti delle fiamme. Gli volge la schiena. Cade pesantemente all’indietro, ripiegata profondamente su se stessa. La schiena è graffiata. Il bacino largo, le ossa sporgenti perché si avvicina il tempo della nascita del bambino. Ora la musica si sta facendo assordante. I sacerdoti tacciono, immobili. È chiaramente il grande momento. Si lancerà nelle fiamme?

No. Alza le braccia. Le pannocchie di granoturco si stagliano contro la luminosità del fuoco. Le getta dentro: due violente fiammate e svaniscono. Un immenso urlo dei contadini, una terribile dissonanza dei suonatori. La donna nuda si allontana dal fuoco incespicando, barcollando, esausta. Cade, battendo il fianco destro con un rumore sordo, e rimane là singhiozzante. Sacerdoti e sacerdotesse camminano nell’oscurità con passi rigidi, pomposi. I contadini scompaiono semplicemente, lasciando nella piazza soltanto la donna raggomitolata su se stessa. E ora un uomo va verso di lei, una figura alta, barbuta; Michael ricorda di averlo visto in mezzo alla calca che percuoteva la donna. Ora la solleva. La culla teneramente contro di sé. Bacia il suo seno graffiato. Passa la mano con leggerezza sul suo ventre, come per assicurarsi che il bambino non abbia sofferto danni. Ella si aggrappa strettamente a lui. Egli le parla dolcemente; le strane parole giungono fino alla cella di Michael. Ella risponde, balbettando, la voce rauca per lo choc. Senza preoccuparsi del peso di lei, l’uomo la porta via lentamente, verso uno degli edifici al lato opposto della piazza. Tutto è immobile, adesso. Rimane soltanto il fuoco, che crepita aspramente, e ricade su se stesso. Poiché, dopo un lungo periodo, non appare più nessuno, Michael si ritrae dalla finestra e, stordito, confuso, si getta sulle coperte. Silenzio. Oscurità. Nella sua mente si agitano immagini della bizzarra cerimonia. Trema. Si sente quasi sul punto di scoppiare in lacrime. Infine si addormenta.