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Harry Harrison

Mondo maledetto

(Death World, 1960)

Traduzione di Mario Federici

1

Con un leggero fruscio, il tubo pneumatico lasciò cadere la capsula contenente un messaggio. Il campanello squillò una volta, e tacque. Jason dinAlt fissò la capsula come se fosse stata una bomba a orologeria.

Qualcosa non andava per il verso giusto. Sentì che la tensione, dentro di lui, formava come un nodo soffocante. Quello non era un memorandum qualsiasi di servizio, o una comunicazione dell’albergo, ma un messaggio personale, sigillato. Eppure, sul pianeta non conosceva anima viva; era arrivato da meno di otto ore. Poiché, cambiando astronave l’ultima volta, aveva cambiato anche di nome, nessuno poteva rivolgerglisi. Eppure, la capsula era lì.

Strappando il sigillo con l’unghia del pollice, tolse il coperchio. Il registratore inserito nella capsula sottile come una matita dava alla voce un tono metallico, irriconoscibile.

— Kerk Pyrrus gradirebbe incontrare dinAlt. Aspetta nel vestibolo.

Era un guaio, ma non poteva evitarlo. Forse lo sconosciuto era inoffensivo; un commesso viaggiatore, magari, o si trattava di un errore di identificazione. Ciò nonostante, Jason sistemò con attenzione la pistola dietro un cuscino del divano, togliendo la sicurezza. Impossibile prevedere come andavano a finire faccende simili. Comunicò al bureau di lasciar passare il visitatore. Quando la porta si aperse, Jason era allungato su un angolo del divano, e sorseggiava una bibita.

Un ex lottatore. Fu quello il primo pensiero di Jason, quando l’individuo entrò. Pyrrus sembrava una roccia, con il corpo scolpito in lastroni di muscoli. Gli abiti, grigi come i capelli, avevano un taglio tanto comune da sembrare quasi una divisa. All’avambraccio era assicurata una fondina, consunta, da cui sporgeva la canna di un’arma.

— Siete dinAlt, il giocatore — esclamò lo sconosciuto senza preamboli. — Ho una proposta da farvi.

Jason lo fissò di sopra il bicchiere. Era un poliziotto oppure uno dei concorrenti; e non voleva aver niente a che fare né con l’uno né con gli altri. Desiderava saperne molto di più, prima di immischiarsi in un affare qualsiasi.

— Mi spiace, amico, sorrise Jason — ma avete sbagliato. Quando gioco pare che aiuti il banco, piuttosto che me. Dunque…

— Piantamola — interruppe Kerk. — Siete dinAlt, e siete anche Borel. Se volete che faccia altri nomi, vi citerò il pianeta di Mahaut la Nebula Casino 2 e molti altri. Ho una proposta che sarà utile a tutti e due, e farete meglio ad ascoltarla.

Quei nomi non provocarono il minimo mutamento nel sorriso di Jason.

Ma il suo corpo era teso, in guardia. Kerk conosceva faccende di cui avrebbe dovuto essere all’oscuro. Era ora di cambiare discorso.

— È un mezzo cannone, quello che avete lì… — disse Jason. — Le pistole mi innervosiscono. Vi sarei grato, se la toglieste.

Kerk guardò l’arma con una smorfia, come se la vedesse per la prima volta. — No. Non la tolgo mai. — Pareva un po’ irritato del suggerimento.

I preliminari erano terminati. Jason doveva prendere l’iniziativa, se voleva uscir vivo dalla faccenda. Mentre si protendeva in avanti per appoggiare il bicchiere sul tavolino, l’altra sua mano scivolò, con naturalezza, dietro il cuscino. Toccava già il calcio dell’arma, quando disse:

— Temo che dovrò insistere. Mi sento sempre a disagio, con gente armata. — Intanto, estrasse la pistola. Una mossa svelta, scorrevole.

Avrebbe potuto muoversi con tutta calma; sarebbe stato lo stesso. Kerk rimase immobile, mentre la pistola compariva e gli veniva puntata contro.

Non si mosse, sino allo ultimo. Quando lo fece, fu in un lampo. A un tratto, la sua arma puntò fra gli occhi di Jason. Era enorme, pesante, con un foro che sembrava un pozzo, e mostrava tracce abbondanti d’uso.

Jason comprese che al minimo gesto sarebbe morto. Abbassò il braccio con cautela, irritato di essere ricorso alla violenza. Kerk rimise la pistola nel fodero. — Basta così — disse. — Passiamo agli affari.

Jason riprese il bicchiere e inghiottì un buon sorso, dominandosi. Era la prima volta che qualcuno riusciva a batterlo sul tempo. — Non ho intenzione di dedicarmi agli affari — rispose in tono aspro. — Sono venuto a Cassylia per una vacanza.

— Piantiamola di scherzare, dinAlt — ribatté Kerk. — Non avete mai fatto un lavoro onesto in tutta la vita, voi. Siete un giocatore di professione, ed è per questo che sono qui.

Jason represse la collera, e buttò la sua pistola all’altra estremità del divano, per non esser tentato di rischiare il suicidio. S’era sentito sicuro che nessuno lo conoscesse, su Cassylia, e aveva progettato un gran colpo al Casino. Ma quella specie di lottatore sembrava sapere tutto. Che prendesse la iniziativa, per un po’; avrebbe visto dove mirava.

— Va bene. Cosa volete?

Kerk si abbandonò in una poltrona che scricchiolò in modo allarmante.

Da una tasca estrasse una busta. Ne lasciò cadere sul tavolo una manciata di banconote galattiche, fruscianti.

Jason si rizzò di scatto. — Cosa sono… false?

— Affatto — spiegò Kerk. — Le ho ritirate in banca. Sono ventisette, per l’esattezza… ventisette milioni di crediti. Voglio che li usiate stasera, quando andrete al Casinò. Giocateli, e vincete.

Parevano buone davvero. Jason le tastò, pensoso, osservando Kerk. — Non so che intenzioni avete — esclamò. — Ma vi renderete conto che non posso dar garanzie. Io gioco… ma non vinco sempre.

— Voi giocate… e vincete, se volete — ribatté Kerk. — Abbiamo controllato a fondo.

— Se intendete dire che io baro… — Jason si dominò ancora una volta.

Irritarsi sarebbe stato inutile.

Kerk continuò, con voce uguale: — Può darsi non lo chiamiate «barare»…. Francamente a me non importa. Per quello che m’interessa, potete anche riempirvi le maniche di assi e le scarpe di elettrocalamite.

Non sono qui per discutere. — Fece una breve pausa.

— Abbiamo lavorato sodo, per ammassare questi soldi…. ma non bastano ancora. Per essere precisi, ci occorrono tre miliardi di crediti. L’unico modo per ottenerli è giocare.

— E io cosa ci guadagno? — domandò freddamente Jason.

— Tutto quello che supererà i tre miliardi dovrebbe bastare. Non rischiate danaro vostro.

— E se perdo?

Kerk rifletté un momento.

— Sì, potrebbe darsi. Non ci avevo pensato.

Infine, parve decidersi. — Perdere… be’, immagino che dovremo rischiare. Comunque, credo che vi ucciderei. Quelli che sono morti per procurare i ventisette milioni non meritano di meno. — Lo disse con calma, in tono più riflessivo che di minaccia.

Alzandosi, Jason riempì di nuovo il suo bicchiere, e ne offerse uno a Kerk, che l’accettò con un cenno di ringraziamento. Fece qualche passo avanti e indietro. La proposta l’irritava eppure, nello stesso tempo, era affascinante. Era un giocatore; quel discorso era per lui come la droga per un cocainomane.

Vincere o perdere… vivere o morire… come poteva rifiutare l’opportunità di giocare una somma simile! Si voltò di scatto, puntando un dito contro il colosso sprofondato nella poltrona.

— Accetto. Ma pongo qualche condizione, però. Voglio sapere chi siete, e chi sono quelli di cui parlate. E di dove sono venuti i soldi… scottano?

Kerk vuotò di nuovo il bicchiere. — Rubati? No, il contrario. Ci sono voluti due anni di lavoro in miniera, per averli. Il minerale è stato scavato a Pyrrus, e venduto qui a Cassylia. Potrete controllare senza fatica. L’ho venduto io. Sono l’ambasciatore di Pyrrus su questo pianeta. — Sorrise. — Non che ciò significhi molto… rappresento almeno sei altri pianeti. La diplomazia è utile, quando si vuol concludere qualche affaretto.