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Jason rispose con un cenno, e quel gesto parve ridare vita all’altro. Alzò la testa dal cuscino, e gli occhi cerchiati lo fissarono con intensità disperata. — Mi chiamo Rhes, e sono un… grubber. Siete disposto a aiutarmi?

Jason si meravigliò della forza con cui gli era stata rivolta quella semplice domanda. La risposta era ovvia. — Certo che vi aiuterò, in tutti i modi. A patto di non danneggiare nessun altro. Cosa volete?

La testa dell’ammalato era ricaduta indietro, esausta. Ma i suoi occhi mantenevano uno sguardo ardente. — State tranquillo… non voglio far male ad alcuno — assicurò Rhes. — Al contrario. Come vedete, ho addosso una malattia che i nostri rimedi non riescono a vincere. Fra qualche giorno, sarò morto. Ebbene, ho visto… i coloni… usare una macchina… la premono sulle ferite, o sul punto morsicato da un animale. Ne avete una con voi?

— Certo. Analizza e cura quasi tutte le infezioni. — Jason premette un pulsante alla cintura, e la scatola gli cadde in mano.

— Siete disposto a usarla su di me? — insistette Rhes.

— Scusate — mormorò Jason. — Avrei dovuto pensarlo subito. — Fece un passo avanti, e premette lo strumento su una delle chiazze rosse del petto di Rhes. Una lampadina si accese, e la sottile lama analizzatrice sondò il punto ammalato. Quando si fu ritirata, la macchina emise un ronzio leggero, e quindi scattò tre volte, mentre tre diversi aghi ipodermici affondavano nella pelle. Poi la luce si spense.

— È tutto qui? — domandò Rhes, mentre Jason riponeva alla cintura l’apparecchio.

Il terrestre annuì, e notò contemporaneamente le lacrime che inumidivano gli occhi e il volto dell’altro. Rhes si asciugò con un gesto irritato.

— Quando ci si ammala — esclamò — il corpo ci tradisce. Non ricordo di aver pianto, da quand’ero ragazzo. Ma dovete capire… Non piangevo per me. Migliaia dei miei uomini sono morti, perché non avevano quell’apparecchietto.

— Ma avrete bene dei medici, delle cure?

— Già, erbe e stregoni — rispose Rhes. — Quei pochi che si impegnano sono danneggiati dal fatto che, di solito, le terapie semipsicologiche basate sulla fiducia funzionano meglio.

Parlare l’aveva stancato. Rhes si interruppe e chiuse gli occhi. Sul petto, le chiazze rosse sbiadivano già, mentre le iniezioni facevano effetto. Jason si guardò attorno.

Il pavimento, e le pareti, erano fatti di assi avvicinate, senza vernice né abbellimenti. Ma guardando con più attenzione, si accorse che i grubbers vi avevano strofinato della cera, per far risaltare la venatura. Erano davvero selvaggi, dunque, se avevano cercato di ottenere il possibile da materiali grezzi? L’effetto finale era superiore alla verniciatura che copriva le stanze imbullonate dei coloni.

Rhes aveva ammesso che i grubbers preferivano gli stregoni ai medici.

Come coincideva, con ciò, la presenza dell’apparecchio radio? O il soffitto, luminoso, che rischiarava la stanza?

Rhes riaperse gli occhi, e guardò Jason come se lo vedesse per la prima volta. — Chi siete? Cosa fate qui?

Quelle parole nascondevano una minaccia, e Jason la sentì. I coloni odiavano i grubbers, e senza dubbio quel sentimento era reciproco. Naxa era entrato senza rumore, e rimaneva immobile, sfiorando con la mano l’impugnatura dell’ascia. Jason comprese che non poteva rispondere dicendo la verità. Se i grubbers avessero sospettato che si trovava fra loro per spiarli a vantaggio dei coloni, sarebbe stata la fine.

— Sono Jason dinAlt, un ecologo… sono venuto qui per motivi scientifici.

— Cos’è un «ecologo»? — interruppe Rhes.

— In poche parole, l’ecologia è quel ramo della scienza biologica che studia i rapporti fra gli organismi e il loro ambiente. Come il clima e altri fattori influiscono sulle forme vitali, e come queste, a loro volta, si influenzano a vicenda. — Jason non ne sapeva molto di più, e si affrettò a proseguire. — Ho sentito parlare di Pyrrus, e sono venuto qui per documentarmi sul posto. Ho lavorato il più possibile, in città, ma non bastava. I coloni sono convinti che io sia pazzo; ma finalmente hanno permesso che venissi qui.

— Che disposizioni sono state prese per il vostro ritorno? — domandò Naxa.

— Nessuna — spiegò Jason. — Sembravano sicuri che sarei stato ucciso subito, e non speravano affatto che tornassi.

La risposta parve convincere Rhes. — Certo che la pensano così, quegli idioti. Non sanno uscire un metro fuori della città senza un carro armato grande come una stalla. Cosa vi dicevano di noi?

Jason rifletté un attimo, prima di rispondere. — Be’, voglio essere sincero.

Dicevano che eravate selvaggi ignoranti. E che… avevate strane abitudini.

Che vi davano semi e qualche oggetto in cambio di viveri…

I due grubbers, a quelle parole, scoppiarono a ridere.

— Oh, ci credo — esclamò Rhes. — Sono le idiozie adatte a loro. Quella gente non sa niente del pianeta su cui vive. Vi credo, non siete di Pyrrus.

Un colono non avrebbe mosso un dito, per salvarmi. Siate dunque il benvenuto. Vi aiuteremo in tutti i modi. — Chiuse gli occhi. — Adesso mi sento stanco. Resterete qui, Jason. Posso offrirvi una coperta, per stanotte.

La fatica colpì improvvisamente Jason, come una mazzata. Come in una nebbia, rifiutò da mangiare, e si avvolse in una coperta sdraiandosi sul pavimento. Si addormentò di schianto.

16

Ogni centimetro quadrato del corpo gli doleva, dove le 2G del pianeta avevano premuto la carne contro le tavole dure del pavimento. Sedendosi con uno sforzo, dovette trattenere un gemito.

— Salve, Jason — salutò Rhes dal letto. — La vostra macchinetta è miracolosa.

Sembrava davvero guarito. Le chiazze rosse erano scomparse dalla pelle, e anche gli occhi avevano uno sguardo diverso. — C’è della roba da mangiare, in quell’armadietto — proseguì. — Dev’esserci anche dell’acqua, o del visk da bere.

Il visk si dimostrò una specie di beveraggio distillato, di potenza straordinaria, che liberò in un attimo il cervello di Jason dalla nebbia che lo avvolgeva. E il cibo era un pezzo di carne dolcemente affumicata, la migliore che avesse assaggiato su Pyrrus. La colazione gli restituì la fiducia nella vita e nell’avvenire.

Ora che non doveva più preoccuparsi di sopravvivere, e che la stanchezza era scomparsa, i suoi pensieri tornarono subito al problema che li dominava. Chi erano in realtà i grubbers, e come avevano potuto rimanere in vita, immersi in quella natura selvaggia? Appesa dietro la porta, vide una balestra e un fascio di frecce di metallo. Dimostravano che quegli uomini erano tutt’altro che selvaggi. Ecco: innanzitutto, gli occorrevano altre informazioni.

— Rhes, vi siete messo a ridere, quando vi ho detto quello che i coloni pensavano di voi. Cosa vi danno, in cambio dei viveri?

— Tutto, entro certi limiti — rispose Rhes. — Piccoli manufatti, come componenti elettronici per le nostre radio. Leghe inossidabili che noi non possiamo produrre, convertitori atomici che producono energia da elementi radioattivi… Ci danno tutto quello che non figura sull’elenco proibito.

Hanno molto bisogno di cibo.

— E cosa c’è sull’elenco proibito?

— Armi, naturalmente, o quanto potrebbe essere trasformato in armi potenti. Sanno che produciamo polvere da sparo; e non ci darebbero per esempio grosse quantità di tubi a pressione, che potremmo trasformare in canne. Le scaviamo noi a mano anche se la balestra è più silenziosa e comoda, nella giungla. Poi, non vogliono che impariamo molte cose… per questo ci forniscono soltanto manuali tecnici di manutenzione, e niente opere teoriche. Infine, è bandita la medicina; e questo non riesco a capirlo.

Li odio, per tutti i morti che si sarebbero potuti evitare.

— Io capisco, invece — esclamò Jason. — Si tratta semplicemente di sopravvivenza. La loro popolazione diminuisce, e sarà scomparsa, entro qualche anno. Voi invece almeno dovete rimanere in equilibrio se pure non aumentate, anche senza i mezzi meccanici protettivi di cui dispongono i coloni. In città, vi detestano, e sono contemporaneamente gelosi di voi. Se vi dessero le medicine, vincereste la battaglia che loro hanno perduto.