Viaggiavano da meno di un’ora; quando Jason «sentì» che si avvicinavano alla città. Attimo per attimo, quella sensazione divenne più forte. Anche Naxa sembrava inquieto; dovevano rassicurare di continuo le loro cavalcature, che diventavano nervose.
— Basta così — disse a un certo punto Jason. Naxa si fermò.
Un’onda di pensieri inespressi e silenziosi invadeva la mente di Jason.
Poteva sentirli in tutte le direzioni, ma molto più forti verso la città invisibile. Una cosa dunque era evidente, ora: gli animali di Pyrrus erano sensibili alle emanazioni telepatiche; forse anche le piante avvertivano il contatto extrasensoriale. Poteva darsi che comunicassero addirittura, per mezzo loro, dato che obbedivano a chi la padroneggiava. In quella zona, le onde telepatiche erano fitte come mai Jason aveva sentito. Anche se personalmente era specializzato in psicocinesi, nel controllo mentale della materia inerte, era sensibile ai fenomeni extrapercettivi.
E, tutto attorno a lui, un pensiero giganteggiava, spaventoso e orribile, in parte fatto di terrore, in parte di odio. Esprimeva soltanto volontà di distruzione.
«UCCIDETE IL NEMICO»:
così avrebbe potuto esprimerlo Jason. Ma era ben più violento; un fiume mentale di distruzione e di ribrezzo.
— Torniamo, adesso — esclamò, sentendosi a un tratto nauseato. E, durante la cavalcata, comprese molte cose.
Il terrore improvviso, inesprimibile, quando il mostro di Pyrrus l’aveva assalito nel cilindro, appena sbarcato sul pianeta. E gli incubi ricorrenti, che non erano mai cessati, neanche con l’uso di droghe. Erano semplicemente la sua reazione all’ondata di odio diretta senza sosta contro la città. Anche se non se ne era reso conto sino a quel momento, una quantità sufficiente filtrava sino a lui da produrre un disagio simile.
Rhes dormiva, quando arrivarono, e poté parlargli soltanto il mattino seguente. Trascorse riflettendo buona parte della notte. Avrebbe potuto rivelargli tutto quanto aveva scoperto? No, perché altrimenti avrebbe anche dovuto spiegarne l’importanza, e lo scopo per cui intendeva servirsene. Meglio tacere, sin quando tutto non sarebbe stato finito.
17
Dopo la colazione, informò Rhes che desiderava tornare in città.
— Avete visto abbastanza, eh? Volete tornare dai vostri amici? Per aiutarli a eliminarci, forse?
— Spero che non lo crediate neanche voi — rispose Jason. — Al contrario, sarei felice che questa guerra civile terminasse, e che anche voi poteste godere i benefici della scienza, e della medicina, di cui vi hanno privato sinora. Io farò tutto il possibile per ottenerlo.
— Non sprecate tempo — consigliò Rhes. — Ma una cosa dovete fare, per protezione vostra e anche nostra. Non ammettete mai di aver visto i grubbers!
— Perché?
— E me lo chiedete? Farebbero di tutto; per evitare un nostro successo, e preferirebbero mille volte vederci tutti morti. Credete che esiterebbero, se sospettassero che siete entrato in contatto con noi? Sanno cosa ci occorre, e cosa vogliamo. Immaginerebbero subito quanto sto per chiedervi…
Aiutateci, Jason dinAlt. Tornate fra loro, e mentite. Dite che non ci avete mai visti; che siete rimasto nascosto nella foresta e che vi abbiamo attaccato e che avete dovuto sparare, per salvarvi. Penseremo noi a distribuire qualche cadavere, per rendervi credibile. Cercate di convincerli; e quando crederete di esserci riuscito, continuate a recitare la vostra parte, perché vi terranno d’occhio! Poi, informateli che avete terminato il lavoro, e che siete pronto ad andarvene. Partite da Pyrrus, andate dove volete… e io vi prometto la ricchezza!
— Pyrrus è un pianeta ricco — proseguì Rhes. — I coloni scavano e vendono i metalli, ma noi siamo in grado di fare molto meglio. Portate qui un’astronave, e atterrate dove volete; sul continente. Noi non abbiamo città, ma i grubbers hanno fattorie dappertutto; vi troveremo; e cominceremo a commerciare. Per conto nostro. Questo è quanto desideriamo tutti, e lavoreremo sodo, per ottenerlo. E sarete voi, che ce lo renderete possibile. Poi, non avrete che da chiedere, e otterrete tutto. Ve lo prometto; e i grubbers mantengono sempre la parola.
La grandezza di quelle frasi, di quella visione, scossero Jason. Comprese che Rhes diceva la verità; e per un attimo ne fu tentato. Ma subito dopo comprese che se i grubbers fossero potuti diventare potenti, il loro primo gesto sarebbe stato la distruzione dei coloni. La guerra civile si sarebbe perpetuata.
Quella lotta, invece, avrebbe dovuto cessare; i due gruppi etnici sarebbero potuti vivere finalmente in pace.
— Non farò niente che possa danneggiare la vostra gente, Rhes — esclamò — e tutto quanto, invece, potrà aiutarvi — promise.
Quella risposta un po’ evasiva soddisfece Rhes, che poteva interpretarla in un modo soltanto, impiegò il rimanente della mattinata dando disposizioni, per radio, a proposito del rifornimento di viveri, che doveva esser trasportato al luogo convenuto.
— È tutto pronto, e abbiamo inviato il segnale — concluse. — Il turbocarro arriverà domani, e voi andrete ad attenderlo. Tutto è stato predisposto come vi ho detto. Partirete subito, con Naxa. Dovete raggiungere il punto d’incontro prima dei coloni.
— Sono quasi qui… sapete cosa dovete fare? — domandò Naxa.
Jason annuì, e guardò il cadavere. Una belva gli aveva strappato un braccio, ed era morto d’emorragia. Adesso gli avevano cucito il braccio alla manica, e visto da lontano sembrava normale.
— Eccoli… — sussurrò Naxa.
Il turbocarro, questa volta, rimorchiava tre vagoni. Il convoglio si fermò; Krannon uscì dalla cabina, e si guardò attorno con attenzione, prima di aprire i rimorchi. Aveva con sé un robot, che l’avrebbe aiutato nelle operazioni di carico.
— Adesso! — sibilò Naxa.
Jason si precipitò nella radura, urlando il nome di Krannon. Sentì un rumore alle sue spalle, mentre due grubbers nascosti lanciavano il cadavere attraverso il fogliame. Si voltò, sparando senza fermarsi, e cogliendo il bersaglio a mezz’aria.
Si udì la detonazione di un’altra pistola, mentre Krannon lo imitava; il suo colpo tagliò in due il cadavere, prima che toccasse terra. Poi continuò il fuoco, dirigendolo fra le piante alle spalle di Jason.
Proprio mentre Jason raggiungeva il turbocarro, si udì un ronzio, e una sferzata di dolore lo colpì alla schiena, abbattendolo. Si guardò attorno, mentre Krannon lo trascinava al sicuro, e vide una freccia metallica che gli sporgeva dalla spalla destra.
— Siete fortunato — esclamò il colono. — Qualche centimetro più in basso vi avrebbe liquidato. Vi avevo avvertito a proposito dei grubbers! — Sparò ancora qualche colpo nel bosco ormai silenzioso.
Togliere la freccia fu molto doloroso. Jason imprecò, mentre Krannon lo bendava, e ammirò la completezza con cui i grubbers facevano il loro lavoro.
Quando Jason fu bendato, Krannon completò il carico, poi avviò il convoglio verso la città. Jason inghiottì qualche pillola, e si addormentò.
Probabilmente, Krannon dovette avvertire i coloni per radio; quando infatti arrivarono al perimetro difensivo, Kerk li aspettava. Appena il turbocarro oltrepassò le porte, Kerk aperse la cabina, e afferrando Jason lo strappò fuori. Le bende si allentarono, e lui sentì che la ferita si riapriva.
Strinse i denti; non avrebbe dato a Kerk la soddisfazione di urlare.
— Vi avevo detto di non uscire sin quando non fosse partita l’astronave!
Perché avete disobbedito? Perché siete andato nella giungla? Avete parlato con i grubbers, vero?
— Ho… parlato… con nessuno — riuscì a dire Jason. — Ne ho fatti fuori due… sono dovuto stare nascosto sin quando sono tornati i camion.
— E lì ne ha fregato un altro — intervenne Krannon. — Un bel tiro, anche.