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Aveva scelto per l’attacco la parte di muraglia protetta da lastre d’acciaio.

Offriva la resistenza maggiore alla vita animale, perciò c’erano buone probabilità che non fosse rinforzata da altre difese.

Gli uomini avevano impiastrato contro la parete alcune masse resinose.

Jason vi premette le cariche, e formarono una specie di rozzo rettangolo, dell’altezza di un uomo. Intanto, veniva steso il filo per il detonatore, e gli uomini si appiattivano ai piedi della muraglia. Jason corse inciampando fra la cenere, verso il detonatore; vi cadde sopra, e premette.

Uno schianto scosse la muraglia, e si alzò una vampata di fiamme. Rhes arrivò per primo sulla breccia. Era piena di fumo, e dall’altra parte non si vedeva niente. Jason si tuffò nell’apertura, rotolò su un mucchio di macerie e urtò qualcosa di solido. Quando il fumo si dissolse, si guardò attorno. Era dentro la città.

Anche gli altri si precipitarono all’interno, e lo raccolsero. Qualcuno individuò l’astronave, e corsero in quella direzione.

Un colono girò l’angolo di un edificio. La rapidità dei suoi riflessi lo fece scattare al riparo, appena vide gli invasori; ma anche i grubbers erano svelti. L’uomo ricadde in strada, con tre frecce piantate addosso.

Continuarono a correre, piegati in due verso l’astronave.

Qualcuno era riuscito a raggiungerla prima di loro; videro lo sportello esterno che si chiudeva. Una nube di frecce l’urtò senza conseguenze.

— Avanti! — gridò Jason. — Dobbiamo arrivare allo scafo prima che possano usare i cannoni!

Questa volta, tre grubbers non ci riuscirono. Tutti gli altri erano già al sicuro sotto la massa d’acciaio, quando tutte le armi di bordo fecero fuoco assieme. I tre ritardatari scomparvero. Chiunque si trovava nell’astronave aveva cercato di annientarli, chiamando contemporaneamente aiuto. In quel momento, senza dubbio lanciava un appello radio. Non c’era tempo da perdere.

Jason si protese, cercando di aprire il portello. Era chiuso dall’interno.

Un grubber lo spinse da parte, e afferrò la maniglia. Si spezzò fra le sue dita possenti; ma il portello non si aperse.

I cannoni tacevano, adesso.

— Qualcuno ha preso la pistola del morto? — domandò Jason. — Basterebbe per aprire.

Non aveva ancora finito di parlare, che già due grubbers correvano verso l’edificio dov’era caduto il colono. I cannoni dell’astronave tuonarono; un grubber fu ridotto a brandelli, ma l’altro era già arrivato alla meta.

Si lanciò nel ritorno, allo scoperto, e da trenta metri lanciò la pistola.

Poi, cadde.

Jason raccolse l’arma. Si udiva il gemito dei turbocarri che si avvicinavano. Sparò contro il portello. La lastra d’acciaio si contorse, aprendosi. Erano entrati tutti, prima che i coloni comparissero. Naxa rimase ultimo, con la pistola, per difendere l’entrata sin quando i compagni non avessero raggiunto la centrale di comando. Con un gesto, Jason aveva indicato la strada, e i grubbers l’avevano preceduto; lo scontro era già terminato, quando lui arrivò. Il colono che aveva tentato di difendere l’astronave sembrava un cuscinetto puntaspilli. Un grubber aveva afferrato i comandi delle artiglierie di bordo e sparava selvaggiamente.

— Qualcuno dica per radio ai telepatici di interrompere l’attacco — ordinò Jason. Lui, con un gesto, inserì il teleschermo. Vi comparve Kerk, con gli occhi sgranati.

— Voi! — esclamò, come per imprecare con una sola parola.

— Sì — rispose Jason, senza alzare gli occhi, dandosi da fare con le dita al pannello dei collegamenti. — Fate attenzione… È probabile che non sappia come far volare quest’arnese, ma so bene come farlo esplodere. Sentite questo rumore? — Girò un interruttore, e si alzò il ronzio lontano di una pompa. — È la pompa principale del carburante. Se la lascio in funzione, riempirà la camera di scoppio di carburante grezzo. Finirà per uscire dai tubi di scarico. Cosa credete che succederà della vostra unica astronave, se poi premerò il pulsante dei reattori? Non vi domando cosa sarà di me… so che non ve ne importa… ma pensate all’astronave!

Nella cabina, adesso, c’era silenzio. La voce di Kerk risuonò rauca.

— Cosa volete, Jason? Che intenzioni avete? Perché avete portato lì quelle bestie…? — La collera lo soffocava.

— Badate a quello che dite, Kerk — ribatté Jason. — Gli uomini di cui parlate sono gli unici a Pyrrus che posseggano un’astronave. Se volete che la dividano con voi, fareste meglio a venir qui subito… Portate anche Brucco e Meta.

Kerk fece per ribattere, ma tacque. Si allontanò dallo schermo, senza spegnerlo. Tutta la città poteva seguire la scena.

24

Rhes sfregò la mano contro il metallo lucido del pannello di comando, per convincersi che non si trattava di un sogno.

Jason era esausto. Aperse l’armadietto del pronto soccorso e vi frugò sin quando ebbe trovato gli stimolanti. Tre minuscole pillole cancellarono la fatica, e poté pensare di nuovo con chiarezza.

— Ascoltate — gridò. — Cercheranno in tutti i modi di rioccupare l’astronave, e dobbiamo star pronti. Voglio che qualcuno trovi il comando della camera stagna! Accertatevi che tutti i boccaporti siano chiusi.

Mandate qualcuno a controllare se occorre. Accendete tutti i teleschermi; nessuno deve avvicinarsi. Che un uomo stia di guardia nella sala motori. E converrà frugare tutta l’astronave, per il caso che ci siano nemici nascosti.

Rhes divise gli uomini a gruppi, e scattarono. Jason si tenne vicino all’interruttore dei reattori. La battaglia non era ancora finita.

— Sta arrivando un turbocarro — avvertì Rhes. — Viene adagio.

— Debbo farlo saltare in aria? — domandò l’uomo ai cannoni.

— Aspettate sin quando potete vedere di chi si tratta.

A bordo, c’era il guidatore, e tre passeggeri. Jason aspettò sin quando fu certo della loro identità. — Sono loro. Rhes, fermateli all’entrata.

Prendetegli le pistole, poi togliete anche tutto l’equipaggiamento. Fate attenzione specialmente a Brucco… il tipo magro con il naso a becco. E fermate anche l’autista; non voglio che torni dai suoi, a riferire che il portello è rotto.

In corridoio, ci fu un rumore di passi e di imprecazioni soffocate. I prigionieri vennero spinti all’interno. Jason li guardò. — Rhes, fateli allineare contro la parete, e teneteli d’occhio. Arcieri, tenetevi pronti. — Fissò quelli che un tempo erano stati suoi amici. Meta, Kerk, Brucco. Il turbocarro era guidato da Skop, che un giorno gli aveva fatto da guardia.

Sembrava stesse per esplodere dalla rabbia.

— Tenete le spalle contro la parete — ordinò Jason — e non tentate di avvicinarvi. Se fossi solo, riuscireste senz’altro a raggiungermi prima che accendessi i reattori. Ma ho qui i miei arcieri… Non tentate; sarebbe un suicidio. Lo dico nel vostro interesse… Possiamo parlare tranquillamente, se state calmi. Non avete scampo. Dovrete ascoltare tutto quello che dirò.

La guerra è finita.

— E l’abbiamo persa… Per causa tua, traditore! — ringhiò Meta.

— Sbagli — rispose Jason in tono blando. — Non sono un traditore, perché devo la mia lealtà a tutti gli abitanti di questo pianeta, dentro e fuori il vostro «perimetro»! E quanto a perdere, non è vero. Anzi, avete vinto.

Avete vinto Pyrrus. — Si rivolse a Rhes, che lo ascoltava perplesso e irritato. — Naturalmente anche i vostri hanno vinto, Rhes. Non dovrete più combattere i coloni; otterrete medicine, potrete entrare in contatto con altri pianeti…

— Mi sembra che promettiate troppo. Ci sono troppi interessi in contrasto.