— Poi il ritorno. — Il cavo ronzò e la pistola si infilò di scatto nel fodero.
— Per estrarre, è tutto il contrario.
— Un bell’aggeggio — ammise Jason. — Ma come faccio? Devo fischiare, per far saltar fuori la pistola?
— No, non è a comando sonoro. Ecco qua… piegate la mano sinistra, e fingete di stringere una pistola. Tendete l’indice. Sentite come lavorano i tendini del polso? Degli attivatori molto sensibili nel fodero toccano appunto i tendini del vostro polso destro. Sono sensibilizzati soltanto al movimento di impugnare l’arma. Dopo un po’ il meccanismo diventa automatico.
Jason mosse la destra, piegando l’indice. Provò un dolore improvviso alla palma, e ci fu una detonazione. La pistola si trovava fra le sue dita, e un filo di fumo usciva dalla canna.
— Naturalmente, ci sono soltanto cartucce a salve, lì dentro. L’arma è sempre carica, e non ha sicurezza.
Senza dubbio, si trattava della pistola più terribile che Jason avesse mai usato. Si sforzò di imparare a manovrarla. Sembrava decisa a sfuggirgli dalle dita un attimo prima che lui premesse il grilletto; anche peggiore era la tendenza a scattar fuori del fodero prima del momento adatto. La pistola era proiettata nella posizione ideale; se le dita non erano disposte come dovevano, erano colpite con violenza. Jason smise di esercitarsi soltanto quando ebbe tutta la mano coperta di lividi.
La padronanza assoluta sarebbe venuta col tempo, ma riusciva già a capire perché a Pyrrus nessuno toglieva mai la pistola.
Brucco l’aveva lasciato solo. Quando la mano divenne inservibile, Jason si diresse verso la sua stanza. Svoltando in corridoio, intravide una figura miliare.
— Meta! Aspetta un momento! Voglio parlarti.
La ragazza si voltò con impazienza. Sembrava completamente diversa da quella che aveva conosciuto sull’astronave. Calzava un pesante paio di stivali e indossava una ingombrante tuta metallica.
— Ho sentito la tua mancanza — disse Jason.
— Cosa vuoi? — domandò Meta.
— Cosa voglio…! — ripeté, nascondendo appena la sua collera. — Sono Jason, non ti ricordi?
— Quello che è successo sull’astronave non ha niente a che vedere con Pyrrus. — Meta si avviò. — Ho terminato il riaggiornamento, e debbo tornare al lavoro. Tu resterai qui, e non ci vedremo più.
— Con i bambini, eh? Non andartene, dobbiamo sistemare qualcosa, prima…
Jason commise l’errore di tendere una mano per fermarla. In realtà non comprese quello che accadde subito dopo. Si trovò di colpo steso a terra.
Meta era scomparsa.
Tornando zoppicando verso la sua stanza, imprecò sottovoce.
7
Il mattino seguente, Jason si svegliò con un forte mal di testa, e con la sensazione di non aver dormito affatto. Mentre inghiottiva una parte degli stimolanti che Brucco gli aveva consegnato, ricordò le sue parole. «Sbrigatevi» aveva detto Brucco. «Non posso più concedervi tempo per una istruzione individuale. Vi unirete alle altre classi e seguirete i corsi prescritti. Presentatevi da me soltanto se incontrerete qualche problema particolare che gli istruttori non sapranno risolvere».
Le classi, com’era immaginabile, si componevano di ragazzi con il volto duro. Dal corpo muscoloso e dal comportamento erano riconoscibili come nati su Pyrrus. Ma erano sempre abbastanza giovani da considerare divertente avere con loro un adulto. Nel banco stretto e scomodo, Jason invece non lo trovò uno scherzo.
Ogni somiglianza con una scuola qualsiasi terminava con la forma dell’aula. Innanzitutto, ogni ragazzo portava la pistola. E tutte le lezioni riguardavano l’arte di sopravvivere. L’unica votazione possibile era quella massima, e i ragazzi non procedevano sin quando non padroneggiavano un argomento alla perfezione.
Quasi tutta la mattina fu impiegata esercitandosi con il pacchetto di pronto soccorso, che tutti portavano legato alla cintura. Conteneva un apparecchio analizzatore delle infezioni e dei veleni, che si premeva sul punto ferito del corpo. In presenza di tossine, l’antidoto era iniettato automaticamente. Funzionava in modo semplice, ma era molto complesso nelle parti che lo costituivano; e poiché ciascuno doveva occuparsi di persona del suo equipaggiamento, per averne la responsabilità, i ragazzi dovevano imparare a usarlo e a ripararlo. Jason ottenne risultati di molto migliori degli altri, anche se lo sforzo fisico lo rese esausto.
Durante il pomeriggio, fece la prima esperienza con una macchina allenatrice. Ebbe per istruttore un dodicenne, che non faceva mistero del disprezzo che sentiva per lo straniero.
— Tutte le macchine allenatici sono copie della superficie del pianeta, sempre al corrente delle modificazioni delle forme vitali. L’unica differenza sta nel diverso grado di pericolo. Questa prima macchina è naturalmente una in cui si mettono i più piccoli… appena riescono a muoversi da soli.
Quando Jason oltrepassò la porta robusta, vide che si trattava di una copia perfetta del mondo esterno, chiusa in una sala enorme. Occorreva pochissima fantasia per dimenticare il soffitto dipinto e il sole artificiale, e credersi all’aperto. La scena sembrava abbastanza pacifica, anche se alcuni banchi di nubi all’orizzonte minacciavano un uragano.
— Dovete camminare, ed esaminare tutto — spiegò l’istruttore. — Ogni volta che toccherete qualcosa, vi sarà spiegato il necessario. Così… — Si chinò, toccando con un dito lo stelo di un filo d’erba. Subito una voce rimbombò da altoparlanti nascosti.
«Erba velenosa. Indossare gli stivali».
Jason si inginocchiò, ed esaminò lo stelo. Terminava con una specie di gancio duro, lucente. Si accorse che tutta l’erba era così. Il morbido prato verde era un tappeto di morte. Rialzandosi, intravide qualcosa sotto una pianta dalle larghe foglie. Un animale rannicchiato, coperto di scaglie, la cui testa affusolata terminava con un aculeo. Si voltò, e vide che l’istruttore era uscito. Jason si strinse nelle spalle, e sfiorò il mostro.
«Diavolo cornuto» spiegò la voce impersonale. «Gli abiti e gli stivali non danno protezione sufficiente. Ucciderlo».
Una secca detonazione infranse il silenzio mentre la pistola di Jason esplodeva. Il mostro cadde su un fianco. Jason ne fu compiaciuto. Si rese conto che i suoi riflessi avevano funzionato immediatamente.
Trascorse tutto il pomeriggio vagando nell’orribile giardino. La morte era dovunque. Senza sosta, l’altoparlante gli rivolgeva consigli. Pareva impossibile che il pericolo potesse nascondersi sotto tanti aspetti repellenti.
Tutto, lì, era fatale, dall’insetto più minuscolo alla pianta più grande.
Era quasi assurdo. Perché Pyrrus era tanto ostile alla vita umana? Jason pensò che l’avrebbe domandato a Brucco. Cercò intanto, senza riuscirvi, di trovare una forma vitale che non fosse nemica. Dopo alcune ore; scoperse l’unica cosa che, toccata, non provocava un allarme. Era una roccia che sporgeva dall’erba. Jason si sedette, contento. Un’oasi di pace. Passò qualche minuto, mentre lui riposava.
«Fungo delle radici! Non toccare!».
L’altoparlante raddoppiò il volume della voce, e Jason scattò in piedi. La pistola gli balzò in pugno, pronta a sparare. Soltanto quando si chinò, osservando con attenzione la roccia su cui si era seduto, comprese. Alcune chiazze grigiastre comparivano sulla pietra; quando s’era seduto, non c’erano.
Jason trattenne un urlo di collera. Su Pyrrus, anche i bambini imparavano in fretta che sul pianeta non c’era sicurezza, tranne quella che ciascuno sapeva procurarsi.
8
Le giornate di vita nella scuola, tagliata fuori dalla vita esterna, diventarono settimane. Jason si inorgogliva, quasi della sua capacità di affrontare la morte. Era riuscito a riconoscere tutte le piante e gli animali contenuti nella prima sala, e lo promossero a un’altra, in cui gli animali gli si lanciavano contro a velocità ridotta. Con la pistola, riusciva ad abbatterli sempre. Anche le lezioni giornaliere cominciavano ad annoiarlo.