Выбрать главу

Nel ’68 abitavo vicino alla Columbia, in un malandato alberghetto sulla 114°, dove avevo una stanza medio-grande più cucina e servizi; gli scarafaggi non entravano nel conto. Era proprio lo stesso posto in cui avevo vissuto i miei anni da matricola e da studente anziano, 1955-56. La costruzione già allora era in declino ed era un abominevole buco quando vi ritornai 12 anni dopo; il cortile era tutto disseminato di siringhe ipodermiche rotte, proprio come un altro cortile poteva essere disseminato di mozziconi. Ho una strana tendenza, masochista se volete, a tornare sui luoghi del mio passato, per quanto brutti, e quando ho bisogno di un posto in cui vivere, scelgo soltanto quello, sempre quello. Oltretutto era a buon mercato — 14 dollari e 50 la settimana — e dovevo tenermi vicino all’Università a causa del lavoro che stavo facendo, quel libro su Israele. Mi state ancora seguendo? Stavo parlandovi del mio primo “viaggio”, che di fatto poi era stato il viaggio di Toni.

Avevamo condiviso la nostra cameretta malandata per quasi sette settimane — un pezzettino di maggio, tutto giugno e una parte di luglio — nella buona e nella cattiva sorte, passando attraverso ondate di entusiasmo e docce fredde, incomprensioni e riconciliazioni; era stato un periodo di felicità, forse il più felice della mia vita. Io l’amavo e penso che lei mi amasse. Non ho avuto molto amore nella mia vita. Non prendetelo come un tentativo di ottenere la vostra pietà, ma soltanto come un puro e semplice dato di fatto, oggettivo e freddo. La natura stessa della mia condizione riduce la possibilità di amare e di essere amato. Un uomo nella mia situazione, ricettivo ai più intimi pensieri di chiunque, concretamente non arriva a sperimentare una grossa fetta di amore. È povero nel dare amore perché non si fida molto degli esseri umani suoi simili: conosce troppo bene i loro piccoli sforzi segreti e questo uccide i suoi sentimenti. Incapace di dare amore, non ne può ricevere. La sua anima, indurita dall’isolamento e dall’incapacità di dare amore, diventa inaccessibile, per cui non è per niente facile agli altri amarlo. Il cerchio si chiude su se stesso e ci si resta intrappolati dentro. Nonostante questo, io amavo Toni, avendo badato a non curiosare troppo in profondità dentro di lei, e non dubitavo che il mio amore fosse ricambiato. Dopo tutto, che cosa definisce quel che è amore? Noi preferivamo la compagnia l’uno dell’altro in tutti i modi possibili. Non ci siamo mai infastiditi a vicenda. I nostri corpi riflettevano l’intimità delle nostre anime: io non fallii mai un’erezione, lei non mancò mai di bagnarsi, i nostri accoppiamenti ci portarono sempre tutti e due all’estasi.

Chiamavo queste cose i parametri dell’amore.

Il venerdì della nostra settima settimana Toni ritornò a casa dall’ufficio con due quadratini di carta macchiata nella borsetta. Al centro di ognuno dei due quadrati c’era una strana macchia verde-azzurra. Li studiai un secondo o due, senza capire.

— Acido — disse lei alla fine.

— Acido?

— Ma sì, lo sai. LSD. Me l’ha dato Teddy.

Teddy era il suo capo, il redattore-capo. LSD, sì. Lo conoscevo. Avevo letto Huxley a proposito della mescalina nel 1957. Ero affascinato e tentato. Per anni avevo flirtato con l’esperienza psichedelica, tentando addirittura una volta di presentarmi come volontario in un programma di ricerca sull’LSD al Columbia Medical Center. Mi ero iscritto troppo tardi, però; e poi, quando la droga diventò di moda, vennero tutte le orripilanti storie di suicidi, psicosi, viaggi finiti male. Ben conoscendo la mia vulnerabilità, decisi che sarebbe stato saggio lasciare l’acido agli altri. Mi restava però ancora addosso tutta la curiosità. Ed ecco qui, adesso, questi quadretti di carta macchiata sul palmo della mano di Toni.

— Dicono che questa roba sia dinamite — disse lei. — Materiale assolutamente puro, di laboratorio. Teddy ha già viaggiato per fare un controllo di questa partita e dice che è proprio liscia, proprio pulita, che non c’è accelerazione o accidenti del genere. Ho pensato che domani potremmo passarlo viaggiando, e poi dormire tutta la domenica.

— Tutti e due?

— Perché no?

— Pensi che sia saggio essere fuori di noi tutti e due nello stesso momento?

Mi lanciò un’occhiata tutta particolare. — Credi che l’acido ti faccia andare “fuori di te”?

— Non lo so. Ho sentito un mucchio di storie paurose.

— Non hai mai fatto un viaggio?

— No — dissi. — E tu?