Inevitabile: si faceva vicina la catastrofe. L’argomento della settimana, improvvisamente, fu il cervello umano, le sue funzioni e le sue capacità. Guardate: questo è il cervello, questo è il cervelietto, questo è il midollo allungato. Un groviglio di sinapsi. Quella faccia di lardo di Norman Heimlich, a caccia di un 9, sapendo al millesimo che tasto toccare, alza la mano: — Signorina Mueller, credete che sarà mai possibile alla gente leggere sul serio il pensiero, voglio dire non con trucchetti o altro che non sia vera e propria telepatia mentale? — Oh, la gioia della signorina Mueller! La sua faccia bitorzoluta tutta scintillante. Quella era un’imbeccata tutta per lei, per lanciarla in un’animata discussione su ESP, parapsicologia, fenomeni inspiegabili, modi supernormali di comunicazione e percezione, le ricerche di Rhine, eccetera, eccetera, un fiume d’irrilevanza metafisica. David sentiva il bisogno di nascondersi sotto il banco. La parola “telepatia” lo fece sussultare. Già sospettava che mezza classe avesse finito per capire che cos’era lui. Adesso un lampo di paranoia selvaggia. Mi stanno guardando, stanno fissandomi, additandomi, si danno leggeri colpetti sulla testa, annuiscono? Certamente queste erano paure irrazionali. Aveva ispezionato ogni mente della classe, ripetutamente, tante volte, nel tentativo disperato di divertirsi durante gli aridi momenti di noia, e sapeva bene che il suo segreto era salvo. I suoi compagni di classe, tutti giovani secchioni brooklyniani non avrebbero mai e poi mai sospettato la mascherata presenza di un superman in mezzo a loro. Sì, lo ritenevano un tipo strano, ma non avevano la minima idea di quanto fosse strano. Però, adesso, la signorina Mueller avrebbe strappato via il suo velo? Stava parlando di condurre alcuni esperimenti di parapsicologia nella classe per dimostrare le possibilità potenziali del cervello umano. Oh, dove mi posso nascondere?
Nessuna possibilità di scampo. Il giorno seguente lei aveva con sé le sue carte. — Queste sono note come carte Zener — spiegò solennemente, tenendole ben sollevate, in vista, sventolandole come Wild Bill Hickok quando sta per dichiarare scala reale. Effettivamente David non aveva mai visto prima d’allora un mazzo di quelle carte, eppure gli erano familiari come il mazzo che i suoi genitori usavano nelle loro interminabili partite di canasta. — Queste carte furono progettate circa 25 anni fa alla Duke University dal dottor Karl E. Zener e dal dottor J.B. Rhine. Si chiamano anche “carte ESP”. Chi sa dirmi cosa significa “ESP”?
La tozza, ispida mano di Norman Heimlich stava ondeggiando in aria: — Percezione extrasensoriale, signorina Mueller!
— Bravissimo, Norman. — Lei cominciò, distrattamente, a mescolare le carte. I suoi occhi, normalmente inespressivi, scintillavano con un’intensità ardente, da Las Vegas. Disse: — Il mazzo è formato da 25 carte, suddivise in cinque “semi” o simboli. Ci sono cinque carte segnate con una stella, cinque con un cerchio, cinque con un quadrato, cinque con un disegno di linee ondulate e cinque con una croce o con un più. Per tutto il resto identiche alle ordinarie carte da gioco. — Porse il mazzo a Barbara Stein, un’altra delle sue favorite, e le disse di riprodurre i cinque simboli sulla lavagna. — L’idea è questa: il soggetto esaminato guarda le carte una per una, coperte, e tenta di indovinare il simbolo che sta dall’altra parte. Il test può essere eseguito in molti modi diversi. Talvolta chi pone il test dà lui stesso una rapida occhiata a ogni carta, prima; questo offre al soggetto una possibilità di tirar fuori la risposta giusta dalla mente dell’esaminatore, se ci riesce. Altre volte né il soggetto né l’esaminatore guardano la carta, prima. A volte è permesso al soggetto di toccare la carta prima di dare la sua risposta. Talvolta al soggetto vengono bendati gli occhi, e altre volte si è permesso di fissare attentamente il retro della carta. Non ha nessuna importanza che metodo si segue, però; lo scopo di fondo è sempre lo stesso: il soggetto deve determinare, servendosi di poteri extrasensoriali, il disegno che c’è sulla carta che lui non può vedere. Estelle, supponi che il soggetto non possegga per niente poteri extrasensoriali, ma che proceda soltanto e unicamente buttandosi a indovinare. Quanti tentativi, possiamo aspettarci che azzecchi su un mazzo di 25 carte?
Estelle, colta di sorpresa, arrossì e sparò: — Uhm… dodici e mezzo?
Un sorriso aspro da parte della signorina Mueller, la quale si rivolse alla più intelligente e più felice gemella. — Beverly?
— Cinque, signorina Mueller?
— Esatto. C’è sempre e solo una probabilità su cinque di indovinare il seme giusto, per cui cinque dichiarazioni giuste su 25 è tutto quello che può azzeccare chi punta solo sulla fortuna. Naturalmente, i risultati non sono mai così puliti. In un giro completo del mazzo potete azzeccarci quattro volte, poi nel giro seguente sei, poi cinque, e poi forse sette, e poi può darsi soltanto tre, comunque la media su un gran numero di prove deve aggirarsi sul cinque. Questo, se il caso puro fosse l’unico fattore operante. Effettivamente, nel corso degli esperimenti di Rhine alcuni gruppi di soggetti hanno ottenuto una media del sei e mezzo o del sette sulle 25 carte su un buon numero di tentativi. Rhine ritiene che questa realizzazione superiore alla media possa essere spiegata soltanto come ESP. E certi soggetti hanno fatto anche meglio, e di molto. Ci fu un uomo, una volta, che centrò giuste nove carte per due giorni di fila. Poi, qualche giorno più tardi, centrò giuste 15 carte una dietro l’altra, 21 su 25. Le possibilità contrarie sono inimmaginabili. Quanti di voi ritengono che si possa trattare soltanto di pura fortuna?
Si alzarono circa un terzo delle mani nella classe. Alcune appartenevano agli stupidi che non erano arrivati a capire che era buona politica mostrare simpatia per gli entusiasmi dell’insegnante. Alcune appartenevano agli scettici incorreggibili che disdegnavano queste cliniche manipolazioni. Una delle mani apparteneva a David Selig. Lui stava soltanto cercando di darsi una copertura che lo proteggesse.
La signorina Mueller disse: — Oggi faremo qualche test. Victor, vuoi essere la nostra prima cavia? Vieni qui e guarda la classe.
Sorridendo nervosamente, Victor Schlitz si mosse con passo dinoccolato. Si fermò in piedi tutto rigido di fianco alla cattedra della signorina Mueller intanto che lei mescolava e rimescolava le carte. Poi, una rapida occhiata attenta alla carta che stava sopra al mazzo e lei la fece scivolare verso di lui. — Qual è il simbolo?
— Cerchio?
— Vediamo. La classe non dica niente. — Porse la carta a Barbara Stein, dicendole di segnare un trattino sotto il simbolo interessato, sulla lavagna. Barbara segnò il quadrato. La signorina Mueller diede una rapidissima occhiata alla carta seguente. “Stella”, pensò David.
— Onde — disse Victor. Barbara segnò sotto la stella.
— Più. — “Quadrato, scemo!” Quadrato.
— Cerchio. — “Cerchio”. Cerchio. Un improvviso mormorio di eccitazione in classe per questo “centro” di Victor. La signorina Mueller, raggiante, chiese silenzio.
— Stella. — “Onde”. E Barbara segnò le onde.
— Quadrato. — “Quadrato”, David era d’accordo. Quadrato. Un altro vocio, più in sordina.
Victor andò avanti per tutto il mazzo. La signorina Mueller aveva tenuto il conto: quattro colpi azzeccati. Neppure sul filo della probabilità. Lei gli fece cominciare il secondo giro. Cinque. Vai pure, Victor: potrai essere sexy, ma telepate non lo sei di certo. Gli occhi della signorina Mueller percorsero la stanza. Un altro soggetto? Che non tocchi a me, supplicava David. Dio mio, che non tocchi a me. Non toccò a lui. Chiamo Sheldon Feinberg. Lui ne azzeccò cinque la prima volta, sei la seconda. Discreto, niente di spettacolare. Poi Alice Cohen. Quattro e quattro. Terreno gramo, sassoso, signorina Mueller. David, seguendo ogni giro del mazzo, aveva sempre azzeccato 25 colpi su 25, ma era il solo che lo sapesse.