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Ma che cosa succede se un essere umano si muta, inavvertitamente o per pura casualità, in un sistema chiuso?

Un eremita, per esempio. Vive in una caverna oscura. Nessuna informazione vi penetra. Si ciba di funghi. Gli procurano quel tanto di energia per restare in piedi, ma, d’altra parte, non ha nessun contatto. È costretto a rifugiarsi sulle proprie risorse spirituali e mentali, che, alla fine, esaurisce. Gradualmente il caos si espande in lui, gradualmente le forze entropiche prendono possesso di questo centro nervoso, di quella sinapsi. I dati sensoriali che capta decrescono in continuazione finché la sua capitolazione all’entropia è totale. Egli cessa di muoversi, di respirare, di funzionare in tutti i sensi. Questa condizione è nota con il nome di morte.

Non ci si deve nascondere in una caverna. Si possono operare migrazioni interne, allontanandosi dalle fonti di energia vitale? Spesso questo avviene perché sembra che le sorgenti di energia rappresentino una minaccia alla propria sicurezza. In verità il contatto può minacciare l’io: in genere una spinta può far perdere l’equilibrio. Ciononostante, l’equilibrio in se stesso è una minaccia per l’io, sebbene di solito questo sia trascurato. C’è gente sposata che combatte accanitamente per arrivare all’equilibrio. Costoro proiettano se stessi l’uno verso l’altro, si rinchiudono tra loro e si tagliano fuori dal resto dell’universo, facendo della coppia un sistema chiuso a due persone dal quale ogni vitalità viene espulsa con continuità inesorabile dal mortale equilibrio ottenuto. Si può morire in due esattamente come può morire uno da solo, se si è sufficientemente isolati da ogni altra realtà. Io a questo fatto dò il nome di inganno monogamico. Mia sorella Judith ha detto di aver abbandonato suo marito perché si sentiva morire, vivendo con lui. Naturalmente Judith è una sgualdrina.

L’interruzione dell’attività sensoriale non sempre è un evento controllato, naturalmente. Può succederci sia che lo vogliamo sia che non lo vogliamo. Se anche non ci andiamo a ficcare nella gabbia da soli, ci finiremmo dentro comunque. È questo che intendo dire quando parlo dell’entropia che ci afferra inevitabilmente a lungo andare. Non ha nessuna importanza quanto vitali, quanto vigorosi, quanto aggressivi noi siamo; il contatto diminuisce con il passare del tempo. Vista, udito, tatto, odorato, tutto se ne va, come ha detto quel brav’uomo di Will S., e noi finiamo senza denti, senza occhi, senza gusto, senza niente. Senza niente. Oppure, come quello stesso intelligente individuo si è espresso, di ora in ora noi continuiamo a maturare, a maturare, e poi a imputridire, a imputridire, e a questo proposito c’è un racconto.

Io offro me stesso come uno dei casi in questione. Che cosa spinge a rivelare la storia dolorosa di quest’uomo? Un’inspiegabile diminuzione di poteri una volta ragguardevoli. Un calo della ricezione. Una morte in piccolo, che dura méntre lui è ancora vivo. Io non sono una vittima delle guerre entropiche? Adesso non sto svanendo nella stasi e nel silenzio proprio davanti ai vostri occhi? Non è, la mia angoscia, evidente e commovente? Chi sarò io, quando avrò cessato di essere me stesso? Sto morendo di morte calda. Un decadimento spontaneo. Una casuale contrazione di probabilità sta annientandomi. Sto diventando cenere, cenere. Aspetterò qui la scopa che mi raccolga.

Tutto molto brillante, Selig. Eccoti un “ottimo”. Lo hai scritto con chiarezza e con forza e dimostri un eccellente possesso degli assunti filosofici che ne stanno alla base. Puoi considerarti il migliore. Adesso, ti senti meglio?

24

È stata un’idea balorda, Kitty, una fantasia da scemi. Non avrebbe mai potuto funzionare. Ti stavo chiedendo l’impossibile. C’era un’unica conseguenza ipotizzabile in realtà: io ti avrei annoiata ti avrei infastidita, ti avrei allontanata da me. Potrei dare la colpa a Tom Nyquist: l’idea era sua. No, la colpa è mia. Non ero mica obbligato ad ascoltare quella sua idea balorda, non è così? La colpa è mia. La colpa è mia.

Assioma: è sempre un delitto contro l’amore tentare di cambiare l’anima di qualcuno, anche se sei convinto che l’amerai di più dopo che l’avrai trasformata in qualcos’altro.

Nyquist disse: — Forse anche lei legge nel pensiero, e il blocco è un fatto di interferenze, di urto tra le sue e le tue emissioni, che finisce per cancellare le onde sia nell’una sia nell’altra direzione. Per questo non c’è nessuna emissione che ti arriva da lei e probabilmente nessuna che arrivi a lei da te.

— Ho molti dubbi al riguardo — gli dissi io. Eravamo nell’agosto del 1963, due o tre settimane dopo che io e tu ci eravamo incontrati. Non vivevamo ancora insieme però eravamo già stati a letto un paio di volte. — Lei non ha un briciolo di capacità telepatica — insistetti. — È assolutamente normale. Questo fatto è essenziale, Tom: lei è una ragazza completamente normale.

— Non esserne così sicuro — disse Nyquist.

Lui non ti aveva ancora incontrata. Voleva incontrarti, però io non avevo ancora combinato. Tu non avevi mai sentito il suo nome. Dissi: — Se c’è una cosa che so di lei, è proprio questa: è una ragazza equilibrata, bene in salute, sana di mente, assolutamente normale. Perciò non legge nel pensiero.

— Perché quelli che leggono nel pensiero non sono equilibrati, non stanno bene in salute, e non sono sani di mente. Come te e come me. Come volevasi dimostrare, eh? Parla per te, bello mio.

— Il dono obnubila lo spirito — dissi. — Oscura l’anima.

— La tua, forse. Non la mia.

Su questo punto aveva ragione. La telepatia non lo aveva danneggiato. Forse io avrei avuto i problemi che avevo anche se non fossi nato con il dono. Non posso dar la colpa di tutte le mie disavventure solo alla presenza di un’abilità fuori del comune, cosa ne dite? E Dio lo sa che in giro c’è una moltitudine di nevrotici che non hanno mai letto nel pensiero in tutta la loro vita.

Sillogismo:

Alcuni telepatici non sono nevrotici.

Alcuni nevrotici non sono telepatici.

Dunque telepatia e nevrosi non sono necessariamente correlate.

Corollario:

Tu puoi sembrare un qualunque individuo normale eppure possedere il potere.

Ero scettico. Sotto pressione, Nyquist concesse che se tu avevi il potere, probabilmente me lo avresti rivelato attraverso certi manierismi inconsci di cui ogni telepate si accorgerebbe senza difficoltà: io non avevo individuato nessuno di questi manierismi. Tuttavia suggerì che tu avresti potuto essere un telepate latente, che il dono poteva essere lì, non sviluppato, non funzionale, celato nel profondo della tua mente e in un certo qual modo attivo solo per difenderti dai miei sondaggi. Soltanto un’ipotesi, disse lui. Però mi stuzzicava, mi tentava. — Supponi che lei abbia questo potere latente — dissi. — Potrebbe essere risvegliato, non credi?