— Siediti, Dave — dice Cushing, educatamente ma senza eccessiva cordialità. — Sei stato conciato male?
— L’ospedale dice che non c’è niente di rotto. Mi sento a pezzi, però. — Si accomoda sulla poltrona e mostra le macchie di sangue sui suoi abiti, le contusioni sul volto. Parlare gli costa fatica; la mandibola cigola sui cardini. — Ehi, Ted, quanto tempo è passato! Devono essere vent’anni dall’ultima volta che ti ho visto. Ricordavi il mio nome, o mi hanno identificato dal portafoglio?
— Abbiamo deciso di pagare il conto dell’ospedale — dice Cushing, fingendo di non aver sentito le parole di Selig. — Se ci sono altre spese mediche, provvederemo anche a quelle. Puoi averlo per iscritto se ti fa piacere.
— Va benissimo l’impegno a parole. E se temi che io voglia creare guai o citare l’università, bene, sta’ tranquillo, non farò niente di tutto questo. I ragazzi sono ragazzi, si lasciano trascinare un po’ troppo, però…
— Non siamo preoccupati per le noie che potresti creare, Dave — dice Cushing tranquillamente. — Il problema è che possiamo crarle noi a te.
— A me? Per che cosa? Per essere stato pestato ben bene dai tuoi giocatori di pallacanestro? Per aver danneggiato le loro costosissime mani con la mia faccia? — Lui tenta un sorriso che lo fa soffrire. Il volto di Cushing resta serio. C’è un attimo di silenzio. Selig si arrabatta per interpretare il tiro mancino di Cushing. Non riuscendo a trovare niente di ragionevole, decide di avventurarsi in un sondaggio. Però sbatte contro un muro. Di colpo diventa troppo timido per spingere, timoroso di scoprirsi incapace di penetrare. — Non riesco a capire che cosa intendi dire — dice alla fine. — Farmela pagare per che cosa?
— Per questi, Dave. — Per la prima volta Selig nota un mucchio di dattiloscritti sulla cattedra del preside. Cushing li spinge verso di lui. — Li riconosci? Ecco: dacci un’occhiata.
Selig li sfoglia, triste. Sono i compiti finali, tutti di produzione sua. Odisseo come simbolo sociale. I romanzi di Kafka. Eschilo e la tragedia aristotelica. Rassegnazione e accettazione nella filosofia di Montaigne. Virgilio come mentore di Dante. Qualcuno di loro ha un voto: ottimo, buono, ottimo, ottimo, e alcuni commenti marginali, soprattutto favorevoli. Alcuni sono intonsi se si eccettuano macchie varie; sono quelli che avrebbe dovuto consegnare prima del pestaggio con Lumumba. Con immensa cura lui rimette in ordine il mucchio allineando con precisione i bordi dei fogli, e li spinge di nuovo verso Cushing. — Va bene — dice. — Mi avete pescato.
— Li hai scritti tu?
— Sì.
— Per denaro?
— Sì.
— Questo è grave, Dave. È terribilmente grave.
— Avevo bisogno di guadagnarmi da vivere. Non danno mica borse di studio agli ex-studenti universitari.
— Che cosa ti facevi pagare per questa roba?
— Tre o quattro dollari la cartella.
Cushing scrolla la testa. — Eri onesto, te ne do atto. Devono esserci otto o dieci individui che tengono banco qui, però tu sei decisamente il migliore.
— Grazie.
— Però, alla fine, hai scontentato un cliente. Noi abbiamo chiesto a Lumumba perché te le ha suonate. Lui ha detto che ti aveva incaricato di scrivere un compito finale per lui e che tu ne hai fatto una porcheria, lo hai preso in giro, e che per di più non volevi restituirgli i suoi soldi. Benissimo, noi lo abbiamo trattato usando le sue stesse maniere, però adesso dobbiamo sistemare anche te. Abbiamo cercato per molto tempo di beccarti, Dave.
— Sì?
— Abbiamo messo in circolazione ciclostilati dei tuoi lavori in una decina di facoltà negli ultimi due semestri, avvisando di tenere gli occhi ben aperti ai caratteri della tua macchina per scrivere e al tuo stile. Non abbiamo ottenuto molta collaborazione. Molti membri di facoltà non sembravano preoccupati se i compiti finali che ricevevano erano autentici o no. Però a noi interessava, Dave. A noi interessava moltissimo. — Cushing si sporge in avanti. I suoi occhi, tremendamente vicini, cercano quelli di Selig. Selig guarda da un’altra parte. Non riesce a sopportare il calore penetrante di quegli occhi. — Ci siamo arrivati vicini poche settimane fa — continua Cushing. — Pescammo un paio di tuoi clienti e li minacciammo di espulsione. Loro ci diedero il tuo nome, però non sapevano dove abitavi, e noi non riuscimmo a scoprirlo. Quindi aspettammo. Sapevamo che ti saresti fatto vedere di nuovo per consegnare e procurartene altri. Poi è arrivato questo rapporto di una rissa sui gradini della Low, su tre o quattro giocatori di pallacanestro che avevano malmenato qualcuno, e ti trovammo con un mucchio di compiti non consegnati tra le mani. Tutto qui. Sei senza lavoro, Dave.
— Voglio un avvocato — dice Selig. — Non avrei dovuto ammettere niente con te. Avrei dovuto negare tutto quando mi hai fatto vedere quei compiti.
— Non occorre che tu sia così tecnico riguardo ai tuoi diritti.
— Dovrò esserlo quando mi porterai davanti a un tribunale, Ted.
— No — dice Cushing. — Noi non ti citeremo, a meno di ripescarti con le mani nel sacco. Non abbiamo nessun interesse a buttarti in prigione, e, in ogni caso, non sono affatto sicuro che quello che hai fatto sia un crimine. Quello che noi veramente vogliamo fare è aiutarti. Tu sei ammalato, Dave. Per un uomo della tua intelligenza, con le tue possibilità, essere caduto così in basso, essere finito a fare i compiti finali per i bambocci del college, è brutto. Dave, è terribilmente brutto. Noi abbiamo discusso qui il tuo caso, il preside Bellini, il preside Tompkins e io, e siamo arrivati a formulare un piano di riabilitazione. Possiamo trovarti un lavoro nel campus, come assistente di ricerca, forse. Ci sono sempre alcuni candidati al dottorato che hanno bisogno di assistenti, e noi abbiamo un piccolo fondo a cui potremmo attingere per procurarti un salario, niente di eccezionale, però almeno equivalente a quello che racimolavi con questi lavoretti. E ti abbiamo ammesso qui al servizio di consultazione psicologica. Non era previsto per gli ex-studenti, ma io non vedo perché dovremmo essere rigidi nei tuoi riguardi, Dave. Quanto a me, devo dire che trovo imbarazzante che un uomo della classe del ’56 sia in una situazione di disagio come la tua, e anche soltanto per un senso di lealtà verso la nostra classe devo fare di tutto per aiutarti a tirarti su e a cominciare a realizzare le promesse che dimostravi quando…
Cushing continua a divagare, enunciando e rienunciando i suoi motivi e abbellendoli, offrendo pietà senza biasimo, promettendo aiuto al suo povero sofferente compagno di classe. Selig, ascoltandolo senza prestargli attenzione, scopre che la mente di Cushing comincia ad aprirglisi. Quel muro che poco fa separava le loro coscienze, forse un sottoprodotto della paura e dell’affaticamento di Selig, ha cominciato a dissolversi, e adesso Selig è capace di percepire un’immagine generalizzata della mente di Cushing, che è energica, robusta, capace, però anche convenzionale e limitata, una stupida mente repubblicana, un prosaico cervello Ivy League. Anzitutto non contiene un vero interesse per Selig ma piuttosto compiacente soddisfazione per se stesso: il bagliore più intenso emana dalla consapevolezza di Cushing per la sua fortunata condizione di vita, ben definita da una villetta suburbana, una gagliarda bionda moglie, tre bei bambini, un cane peloso, una splendente nuova Lincoln Continental. Spingendosi un pochino più in profondità, Selig vede che tutta la messinscena di interesse per lui da parte di Cushing è un imbroglio. Dietro quegli occhi calorosi e quel sorriso sincero, accorato, simpatico, c’è un disprezzo feroce. Cushing lo disprezza. Cushing ritiene che lui sia corrotto, inutile, senza valore, una disgrazia per l’umanità in generale e per la classe ’56 del Columbia College in particolare. Cushing lo trova ripugnante sia fisicamente sia moralmente, lo vede come uno che non si lava mai, sporco fuori e dentro, forse anche sifilitico. Sospetta che sia omosessuale. Prova per lui il disprezzo che l’affiliato al Rotary sente per un tossicomane. Riesce impossibile a Cushing capire come uno che ha avuto la fortuna di essere educato al Columbia possa lasciarsi scivolare nella degradazione che invece Selig ha addirittura accettato. Selig si sottrae al disgusto di Cushing. Sono proprio così nauseante, si chiede, sono un tale rifiuto?