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Si avvicinò, l’osservò, passandovi sopra i polpastrelli e il palmo della mano. Si appoggiò, esercitando una pressione che per poco non era sufficiente per sfondarla, e poi alzò la destra, tenendo il carboncino come se fosse l’impugnatura di un’arma, e guardò la linea nera che si sviluppava sulla pergamena.

Mosse la linea muovendo il proprio corpo. Quando la linea fu arrivata dal punto iniziale al punto terminale, ne tracciò un’altra; e quando ne ebbe abbastanza, cominciò a battere sulla pergamena con la punta consumata del carboncino, avventando in avanti il busto e spostando i piedi, fino a quando ebbe la sensazione di camminare, di camminare nella mezza luce su un terreno così accidentato da obbligarlo a posare con cautela i piedi. Ma ogni passo era quasi esattamente identico all’ultimo, come se camminando così potesse percorrere una lunga strada, e misurasse le proprie forze per capire quanto avrebbe impiegato ad arrivare. Vedeva la Spina da lontano, lontano sopra le dune, con il tramonto che trasformava il cielo, e vide le rocce vicine, con i lati rivolti verso di lui neri e grigi, e soltanto un orlo lucente, dove poteva scorgere l’ultimo Sole che colpiva le parti rivolte verso la Spina.

Sulla sabbia disegnò un uomo senza calotta, nell’attimo in cui atterrava, con l’attrezzatura che cadeva, e la spalla al suolo. Poi vide più oltre l’amsir, che teneva solo la punta di un piede sulla sabbia, e un’ala alzata, e stava girando, con le trine che cominciavano a fluirgli davanti e il peso che si trasferiva sulla gamba in movimento. L’amsir teneva il collo proteso in avanti e la bocca aperta, e di lì a un attimo avrebbe fatto qualcosa di assurdo e meraviglioso.

Ormai restava soltanto da disegnare le dita dell’unica mano visibile dell’amsir. E il fatto era, pensò Honor Jackson mentre guardava, il fatto era che l’amsir avrebbe sbagliato mira. Quella gamba stava ruotando nel modo errato. Quando avesse toccato la sabbia, l’altro piede avrebbe dovuto slittare in avanti… Non molto, ma abbastanza, così che quando l’amsir fosse scattato verso l’uomo, sullo slancio di quella gamba, si sarebbe ritrovato impacciato e forse, nel passo successivo, avrebbe anche potuto incespicare. Se non avesse avuto nella mano qualcosa che le desse peso. Quindi Jackson dovette disegnare il giavellotto.

CAPITOLO 5

I

Bene, bene, pensò, guardandolo e vedendolo come la sua condanna a morte. Adesso l’hai fatta veramente grossa. Prese uno dei suoi dardi e usò la punta per staccare il disegno dalla cornice, più in fretta che poté. Tagliò avventatamente, ma si accorse che aveva eseguito tagli lineari, e non aveva rovinato il disegno.

Era strano come sembrava diversa la stanza, quando poteva guardare fuori. Rimise il dardo sotto l’ascella, e restò così, con la pergamena arrotolata tra le mani, tenendola come se temesse che gli sfuggisse e volasse direttamente nel fuoco. Ma del resto, pensò, a che serve? Uno di questi giorni ti sbudelleranno, sia che gliene offra un pretesto o no. Quando vuoi sbudellare qualcosa, il solo pensiero di volerlo ti fa sentire così forte che non hai bisogno di pretesti.

Avrebbe voluto avere qualcuno da uccidere. Ma non poteva ucciderli tutti e continuare a vivere lì da solo.

Uscì, portando i due dardi e il bastone, con la calotta scivolata quasi sulla nuca, e la bolla semipiena d’acqua che gli ballonzolava dietro la schiena. Era fastidioso portare il disegno, perché era abituato ad avere una mano libera. La spalla gli doleva e bruciava, e avrebbe avuto bisogno di dormire e di mangiare un po’. La pelle del collo e delle orecchie gli prudeva per il troppo sole.

Rivolse una smorfia a Petra Jovans quando lei, che l’aveva atteso, gli si accostò. All’improvviso, decise che avrebbe fatto meglio a scoprire con certezza fino a che punto era contadina. «Anche tu vuoi venire al mio banchetto?», chiese, con voce carica d’istinti omicidi.

Lei lo guardò, alzando la testa. «No, non voglio essere come tutti gli altri». La voce era semplice, gli occhi limpidi. Lo disse cone avrebbe detto che l’acqua scende da un rubinetto o che il Sole brilla sulla Spina. Guardandola, Jackson seppe qualcosa di compiuto, di integro, così di colpo. Era venuta lì per dirgli che voleva essere la sua donna. Era l’unica ragione per cui poteva essere lì, ed era il suo modo di fare… come lui comprendeva il suo modo di fare. Di sicuro, non era così che dovevano andare le cose, tra un uomo e una donna.

E adesso lei stava lì, in attesa. Lo si capiva guardandola: lei pensava che le parole che aveva detto valessero quanto le parole che stava per dire. Adesso lui doveva partire da lì. Ecco, lei era lì, e parlava in quel modo. E il fatto di parlare in quel modo la rendeva così desiderabile che nessun uomo come Jackson ci avrebbe pensato due volte prima di prendersela. Insomma, al diavolo, Honor, tu sei un tipo strano, e io sono strana, non stiamo a chiederci se un tipo strano sembra strano a un tipo strano.

Ah, andiamo, mormorò a se stesso, tu stai cercando guai. Non ho avuto altro che guai tutto il giorno… Abbi il buon senso di credere che ti spetti una tregua.

Ma arrenditi, arrenditi, pensò, e lo invase la sensazione forte e bruciante che uno di noi, una volta, in un giorno, per un’uccisione, era abbastanza.

«Sta bene, allora prendi questo», le disse, puntandole contro il disegno arrotolato. «Tu vuoi essere diversa. Questo è diverso».

Lei srotolò il disegno, lo guardò, poi alzò la testa e guardò lui. «Non l’hai inventato tu, vero? È proprio così?».

«Già. E adesso tu sei inguaiata». Non sapeva perché, ma continuò: «A proposito, il mio nome è Jim». Voltò le spalle e se ne andò, lasciandola lì.

Oh, gente, pensò Horior Secon Black Jackson. Gente. Gente!

II

Non c’era più tanta folla. I contadini se n’erano andati nei campi, e le donne sbrigavano le faccende domestiche. L’odore del pane fresco aleggiava intorno alla Spina, denso come una colla. Gli Honor erano andati a dormire o a esercitarsi. C’erano ragazzini che giocavano, e alcuni cercarono di appiccicarsi a lui. Ma puoi sempre toglierti di torno un bambino guardandolo come se non ci fosse. E Jackson lo fece, mentre continuava a camminare. Petra non l’avrebbe seguito; Petra non avrebbe seguito nessuno. Avrebbe atteso. O magari l’avrebbe seguito, quando nessuno vedeva, ma l’avrebbe fatto con l’aria di farlo con tutto comodo.

Jackson andò alla Spina per guardare il suo amsir. Studiò i posti dove quello teneva l’aria e l’acqua dentro di sé, per consumarle nelle imboscate solitarie al crepuscolo. E si accorse che somigliava moltissimo a un uomo scarno e secco, con grosse vesciche sotto la pelle. Mentalmente, Secon Jackson sbuffò verso l’Honor Anziano.

Red Filson gli rivolse un gran sorriso, soffregandosi il mento che aveva la stessa aria dura di tutto il resto della sua persona. Secon Jackson sapeva di avere la faccia rossa, nei punti dove prima cresceva la barba, e non voleva che Red Filson gli dicesse che aveva l’aria buffa. Ma in quel momento non era molto interessato a Filson, e probabilmente si capìva, perché Filson disse: «Quasi tutti, qui intorno alla Spina, verranno al tuo banchetto questa sera, eh? Non ci sarà molto per tutti».

«Bene, sai cosa devi fare? Se ti preoccupi tanto, farò io la guardia all’amsir, e tu potrai andare a prenderne un altro da buttare in pentola».

Harrison ridacchiò sommessamente. Filson non cambiò espressione. «Certuni pensano di poter saldare tutto lo stesso giorno, credo», disse, in tono speculativo.

Jackson si ritrovò a dover guardare Filson negli occhi. «Di tanto in tanto, credo, un giorno è quanto basta, per un uomo», disse, pensando che uno dei guai, quando si uccideva un uomo sotto gli occhi di tutti, era che si doveva aspettare il giudizio dell’Anziano, e prima che fosse finita c’era da digiunare e da star lì a cogitare. Un uomo poteva ammalarsi e morire, in attesa che terminasse il giudizio. Girò su se stesso e se ne andò, avviandosi in mezzo alle case più vicine. E continuò a camminare.