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Ci scommetto che la pensi proprio così, si disse Jackson. «Vedi, credo che tu abbia ragione quando dici che siamo molto simili. C’è qualcuno che vive nella nostra Spina… Credo che potresti trascorrere molte ore felici con lui. A parlare. A confrontare i problemi. A scambiare pensieri».

Ma l’Anziano amsir sembrava non capire. Guardava Jackson come Jackson guardava coloro che usavano parole come «teologia». Bene, concluse Jackson, si poteva parlare, parlare e parlare di quanto si somigliavano sotto la pelle… Ma se eri diventato l’Anziano degli amsir, non potevi credere davvero che ci fosse qualcun altro meraviglioso come te.

Quand’ero bambino, pensò Jackson, credevo che ci fosse un mondo solo, e che l’unica cosa possibile in quel mondo fosse la caccia. Girò gli occhi sugli amsir, il cibo azzurro che non poteva mangiare, le case su palafitte, il cielo pieno di esseri svolazzanti, e l’Oggetto. Vorrei, pensò, vorrei essere ancora come quei contadini e quegli Honor, convinti che non ci sia nient’altro.

Era molto stanco. «Dormirò un po’», disse. Si sdraiò, si raggomitolò, e chiuse gli occhi mentre il braccio pulsava.

III

Caspita, il braccio faceva male. Si soffregò gli occhi, li aprì, e lo guardò. La mano era gonfia, in un cerchio pastoso intorno all’orlo inferiore della fasciatura. Quando si toccò la spalla, trovò un altro gonfiore. Si rotolò nella polvere, avvicinandosi all’Oggetto, si strofinò i capelli e la faccia, si passò la mano sulla bocca aperta e si leccò i denti. Vide che era di nuovo mattina. Aveva la pelle secca. Non riusciva a muovere i muscoli della faccia. Si mise seduto e vide l’Anziano amsir accanto a lui. «Uh! Vegliavi sul mio riposo?».

«Anche sul mio. Mi chiedevo che effetto avrebbe avuto un lungo riposo sulla tua riserva d’energia. Non sembri molto più sveglio».

Jackson si mosse. Aveva pianificato tutto. Adesso doveva girare dietro l’Anziano, agganciargli le braccia sotto le ali, per quel che poteva servirgli il braccio sinistro, e piantare il pollice destro contro la parte anteriore della gola dell’Anziano, stringendogli le altre dita intorno al collo. E così, pensava, avrebbe potuto cominciare a sistemarsi un po’ meglio. Non sapeva esattamente cosa avrebbero potuto fare gli amsir, ad esempio, per procurargli qualcosa da mangiare; ma lì c’era un intero mondo, pieno di esseri coraggiosi, forti, chiacchieroni, commestibili, abituati a fare tutto quel che ordinava l’Anziano. E se l’Anziano doveva fare quel che gli diceva Jackson…

Ma l’Anziano aveva avuto la preveggenza di impastoiare le caviglie di Jackson con una striscia di cuoio, mentre dormiva, e Jackson cadde.

L’Anziano sorrise. «Tra pochi giorni non sarà più necessario fare niente del genere. Allora ti sveglierai con un solo pensiero. Se è necessario, ti ricordo che la colazione è dentro l’Oggetto. Così ti darai da fare con impegno».

Mentre stava lì a terra, con la mente attraversata da mille pensieri, Jackson disse: «Credo più in te, come colazione, che in tutte le ipotesi sul contenuto di quel coso».

L’Anziano rispose: «È davvero sorprendente quello che potrai credere tra qualche giorno. Non è una condizione piacevole. Credo che proverai disgusto per te stesso. Non credo che ti piacerà più di quanto piacerebbe a me. Ti abbiamo lasciato dormire. Eccoti un po’ d’acqua», soggiunse, porgendo una piccola bolla di cuoio sigillato. «Questa possiamo dartela. Non ci scandalizzeremo… Io non mi scandalizzerò se te ne verserai un po’ sulla pelle. Il braccio ti fa male?».

«Grazie».

L’amsir fece un cenno e il dottore, che era alle spalle di Jackson, si fece avanti. Sciolse la fasciatura mentre Jackson beveva e fissava l’orlo del mondo attraverso le palafitte delle case. Quando il dottore ebbe finito di cambiare la fasciatura al braccio e tappò la bottiglia di liquido che bruciava, disse: «Il tuo braccio non guarisce. Lo perderai».

«Lo sapevo anche ieri», disse Jackson. Gettò a terra la bolla d’acqua. «Ecco qualcosa che puoi usare per indurmi a lavorare», disse all’Anziano. «Forse nell’Oggetto c’è qualcosa che può guarirmi il braccio. Una specie di vero dottore. Perché no? Se lì dentro c’è un banchetto che mi attende, può esserci anche la guarigione».

L’Anziano stava slegando la cinghia che bloccava le caviglie di Jackson; le ali l’impacciavano un po’, e si muoveva goffamente, ma ci riuscì. Jackson notò che c’erano due lancieri nelle vicinanze. Prima non contava che ci fossero o no, perché quando tenti uno scherzo del genere non stai a calcolare i rischi. Ma lui s’era lasciato sfuggire l’occasione, e adesso li notò. Restò immobile.

«E se non c’è la guarigione, perché non deve esserci qualunque altra cosa?», stava dicendo l’Anziano, mentre lavorava. «Davvero, perché no? Perché non dovrebbero esserci femmine, e tutti gli altri piaceri di tuo gusto? Perché non armi? E tu hai pensato che là dentro ci sono armi, no?». L’Anziano alzò la testa, con una luce furbesca negli occhi. «Oh, non ci hai pensato!».

L’Anziano si scrollò. «E perché no? Perché no? Se risolvi un mistero dell’inizio del tempo, perché non dovrebbero contenere tutta la sapienza, tutte le ricompense per un individuo strano e astuto? Allora potrai guardarci dall’alto di quella porta, tutte le mattine, e beffarti di noi. Pfu! Lascia che mostri la risposta». Mosse la punta di un’ala, e due lancieri spinsero avanti qualcosa, dalla direzione della Spina.

L’essere sorrise con fare accattivante a Jackson. Sorrise ai lancieri, sorrise all’Anziano, all’istruttore, a tutto. Jackson non aveva visto mai nulla che sembrasse tanto facile di compiacere.

Era un peccato che non avesse un aspetto, molto gradevole. Era alto all’incirca quanto lui e camminava, per così dire, come un uomo. Ma era difficile dirlo, perché era tanto floscio. Sembrava di pasta da pane, e aveva lo stesso colore. Non c’era una parte del corpo dove la pelle non pendesse in pieghe flaccide, eccettuata la sommità della testa, dove c’erano piccoli pseudopodi carnosi, semieretti, nel punto in cui sarebbe incominciata la cresta di trina di un amsir. Il resto della pelle grondava sull’intelaiatura di ossa e di carne, chiudeva parzialmente gli occhi, penzolava intorno ai rudimenti degli orecchi, formava una gorgiera floscia intorno al collo, pendeva in una breve mantellina dentellata intorno al petto e alla parte superiore delle braccia, formava un’altra piega sotto la vita e ricadeva sulle gambe. Se era di pasta da pane, era stato impastato da una massaia amsir con troppa acqua per preparare chissà quale dolciume.

E tutto questo lo deliziava. Le mani molli, con il mignolo più lungo delle altre dita, giocherellavano continuamente sulle cosce, le spalle e la faccia. Sembrava che amasse giocare con la propria bocca. Sorrideva tirandosi le labbra verso l’alto con gli indici, e lo faceva molto spesso.

L’Anziano guardò Jackson di sottecchi. Jackson stette al gioco. «E va bene… Che cos’è?», chiese.

«Oh, questo è Ahmuls», disse l’Anziano. «È un tipo d’essere che nasce tra noi di tanto in tanto. Lui è uno dei pochissimi che non sono morti molto, molto piccoli. Ecco, sua madre era una sciocca, e gli voleva bene. E ora le sono molto riconoscente. Capirai il perché. Ahmuls è molto amabile», disse l’Anziano, mentre l’essere gli si accostava, continuando a giocherellare. L’Anziano gli accarezzò la guancia. «Buongiorno Ahmuls. Ti voglio bene».

«Buongiorno. Ti voglio bene», disse Ahmuls, piuttosto chiaramente. Canterellò soddisfatto e accarezzò la guancia dell’Anziano.

«Ahmuls, questo è Jackson», disse l’Anziano, indicando.

«Jackson…», disse pensierosamente Ahmuls, aprendosi gli occhi con i pollici e gli indici e concentrandosi.