«Anche oggi», stava dicendo Kringle, «in un certo senso siamo il risultato selezionato di un numero maggiore, ma forse meno sufficiente. Considera che in larga misura l’impulso procreativo è in realtà un riflesso del panico, che non è una qualità di durezza, e della noia, che è certo un sintomo d’insufficienza. Direi che la popolazione mondiale è all’incirca, oh, un cinque per cento del numero di mille anni fa. È una tragedia? Be’, io rispondo: cosa può contare il numero, se l’indice è invariato?».
Kringle piegò leggermente la testa, sorrise con garbo e centellinò il vino, con le mani raccolte simmetricamente intorno al calice: tutto il gesto era una dichiarazione dell’avvenuto completamento d’una struttura. «Quindi, ora tu ci comprendi».
Be’, forse non questa mattina, ma vi comprenderò, si disse Jackson. Questa è la cosa più meravigliosa… C’è tutto il tempo e tutto il mondo. Il Riesling è delizioso, alla mattina.
Tutto intorno a lui c’erano voci sommesse. Che importanza aveva ciò che dicevano? Era con loro.
Cominciò a ridacchiare, guardando Ahmuls con il lichene in bocca e le api che gli sfrecciavano intorno alla faccia. Chi lo crederebbe, pensò. Dove sono gli amsir, e dove sono tutti coloro che credevano in Ariwol?
Eppure, ripensando al passato, non poteva affermare onestamente di aver mai detto a se stesso che c’era qualcosa di meglio delle Spine. Aveva solo avvertito la sensazione incessante che qualcosa non andasse. E non aveva mai cercato di cambiare le cose.
Aveva solo avuto il buon senso di non permettere che le cose cambiassero lui.
Era tutto lì. E adesso, torna indietro e prova a spiegarlo a Black. O a tua madre. Certo, era semplice. Ti bastava essere Jackson Greytoke, perduto fra i primati, come un castello Tudor che ti aspettava in patria, su un’isola scettrata.
Cominciò a ridere ancora più forte quando comprese che aveva fatto una cosa incredibile, splendida, meravigliosa.
Era lì, di suo diritto. Era uno di loro.
Guardandolo ridere, gli altri sorrisero. La piccola Pall gli porse un calice di vino, e i grandi occhi castani scintillarono di nuovo, come sempre. «È bello, non è vero?», chiese. «Deve essere piacevole».
Questo trascendeva i suoi sogni più arditi. Rimase seduto sull’erba, con le ginocchia sollevate, sorseggiando il vino, e il tocco pesante e familiare della Terra era su di lui.
II
«Quindi siamo d’accordo, no?», disse Kringle, tendendosi in avanti, e sul suo stomaco muscoloso si formarono tre grinze. Jackson pensò che forse Kringle era un po’ lento, se mai avesse dovuto correre. «Non esistono differenze essenziali tra te e, poniamo, me», continuò Kringle. «Dopo una certa esposizione al tuo ambiente, io, per esempio, finirei per assomigliarti fisicamente. E non ci sono differenze essenziali in fatto di capacità».
Le dita di Durstine avevano trovato il rilievo della cicatrice lasciata dal becco dell’amsir, attraverso la stoffa leggera, sulla spalla di Jackson. Kringle aggrottò fuggevolmente la fronte, sebbene tenesse quasi sempre lo sguardo sul volto di Jackson.
«Non so. Dovremmo provare, no?», rispose Jackson in tono ragionevole. Girò lo sguardo sugli altri. Stavano tutti chiacchierando educatamente tra loro, e mangiucchiavano. Eppure, adesso che li guardava di nuovo, pareva che istintivamente volgessero lo sguardo su di lui ogni volta che volgeva lo sguardo su di loro. Le donne erano all’incirca metà e metà: alcune sembravano pronte a giocare in un modo o nell’altro, notò Jackson. Gli uomini… Be’, era strano, ma sembrava sapessero cosa pensavano le donne. Sembrava che lo sapessero senza guardarle, mentre guardavano lui.
«Provare?», disse Kringle. «È già stato provato, no? Abbiamo pur sempre antenati comuni, lo sai».
«Sì, certo, ma questo vale anche per gli amsir. E anche per lui». Jackson indicò Ahmuls con un cenno del capo. Flette la spalla sotto la mano di Durstine e strizzò l’occhio a Pall. Columbus, che era in mezzo al gruppo e si era mostrato tanto ansioso di fare colazione, vide la strizzata d’occhio. Guardò Jackson, e fece crocchiare le dita, lentamente, pensosamente.
Ah, è così, pensò Jackson. Inimicizia nell’Eden. Be’, stai a sentire, amico, ne ho fatto a meno per molto tempo.
E insieme a quel pensiero c’era il presentimento che presto lui avrebbe perso il carattere di novità, e si sarebbero fatti concorrenza per le loro donne su una base di eguaglianza. Forse un po’ meno, rammentò a se stesso, perché lui aveva gli arti pesanti. Ammiccò a Columbus. Ma «presto» non significa «subito», pensò.
Quando girò di nuovo la testa verso Kringle, vide che mentre la sua attenzione era altrove erano accadute molte cose. Kringle prendeva i minuscoli cubetti di formaggio e li gettava via dal pollice con il medio. Non badava molto a quel che faceva… Giocherellava oziosamente con il cibo, in una bella mattina, perfettamente a suo agio, e fantasticava. Ma tutti quei cubetti di formaggio li lanciava ad Ahmuls. Rimbalzavano sul petto e sulle cosce del mostro, rimbalzavano senza far rumore e cadevano sull’erba, dove le api li prelevavano e senza dubbio li trasformavano immediatamente in nutrimento per le piante. Jackson deviò lo sguardo da Kringle ad Ahmuls, con aria interrogativa. Bevve un altro sorso di vino. E adesso, come diavolo andrà a finire?, si chiese.
Poco a poco, Ahmuls se ne accorse. «Ehi… ehi, tu!».
Lentamente, Kringle alzò il viso e spalancò gli occhi: adesso si poteva dire che guardasse Ahmuls. «Parli con me?».
«Sei tu che lo fai?».
«Prego? Forse, se parlassi più lentamente…».
«Vuole che tu la smetta», disse Jackson.
«Davvero?», disse Kringle, girando la testa. «Ahmuls! C’è qualcosa che ti dà fastidio?».
«Sì. Piantala».
Kringle alzò le mani vuote. «Ho smesso. Qual è il tuo problema?».
«Non tirarmi addosso quella merda!».
Kringle inarcò le sopracciglia. Prese un altro cubetto di formaggio e, tenendolo con eleganza tra le dita, lo mordicchiò. «Come mi hai chiamato?».
Jackson si sporse verso Kringle, sogghignando un po’. «Senti, non voglio immischiarmene, ma lui sarebbe capace di farti in mille pezzi e di lanciarli in aria prima che i tuoi piedi smettessero di muoversi».
«Davvero?». Gli occhi di Kringle si volsero di nuovo, per un attimo, verso Jackson.
Una delle minuscole api argentee si staccò dallo sciame che attorniava Ahmuls, saettò vicino a Jackson e disse: «Qui è Comp. Perdona se io mi immischio, ma credo che tu stia dimenticando ciò che hai imparato. Costoro ne sono partecipi, e ne sanno anche di più. Inoltre, sanno tutto ciò che è accaduto a bordo di quel veicolo antiquato. Tutte le informazioni dell’archivio di Susiem, naturalmente, sono state trasferite a me. Quindi erano integralmente accessibili a tutti, e Kringle è tra coloro che le hanno assorbite».
«Puoi sempre chiedere a Comp qualunque cosa», mormorò Durstine all’orecchio di Jackson. «E lui te lo dirà. Se vuoi sapere molte cose, allora uno dei suoi extero…».
«Exteroaffettori», disse Comp.
«È esatto, uno dei suoi exteroaffettori te le comunicherà per assorbimento».
Kringle lanciò un altro pezzetto di formaggio ad Ahmuls. Lo colpì alla punta del naso. Ahmuls si alzò.
Kringle si alzò. «C’è qualcosa che posso fare per te, bestia?», disse senza cambiare tono di voce. Jackson vide le dita di Kringle assumere la posizione esatta.
Anche Jackson si alzò. «Calma, tutti quanti», disse.
«Ma questo sarebbe contrario alla natura della bestia», disse Kringle. Si stava leccando la punta delle dita. La sua bocca era più in alto della testa di Ahmuls. E si poteva far collassare una spina dorsale, con una pressione sulla testa.