All’interno la Spina era cava, su su fino alla cima, ma era intessuta d’un intrico di filamenti cristallini che salivano, scintillando in tendaggi ondeggianti e in cerchio, fino a sparire lassù, nelle ombre tenere. La luce filtrava dalle pareti traslucide della Spina: e da lì esplodevano di tutti i colori… verde e oro, rosso e viola, azzurro e ruggine. I colori vorticavano e fluivano uno intorno all’altro, in modo diverso dai turbinii non del tutto casuali della ragnatela interna, che a sua volta assorbiva i bagliori e li gettava verso Jackson e Durstine in una pioggia mutevole. Jackson la guardò, ed era screziata di fulgore.
Durstine rise e scrollò la testa, poi rimase immobile, guardandolo tra le ciglia, con la coda di un occhio. «Benvenuto sulla Terra», gli disse. «Volevo che vedessi questo». Girò graziosamente su se stessa, in punta di piedi, alzando un braccio in un gesto che indicò tutto l’interno della Spina. Era difficile capire se alludeva alla Spina, a se stessa o a tutte e due.
«Volevo che vedessi quel che possiamo fare. Voglio che tu sappia ciò che è tuo, in modo che possa usarlo, e abituarti, e rivendicare la tua eredità».
«Solo la mia eredità o anche altre cose? Potrei prendere qualcosa che apparteneva a Kringle, per esempio?».
Lei rise. «Alcuni uomini hanno diritto a tutto ciò su cui riescono a mettere le mani».
«Allora non resterei così vicino, se fossi in te».
«Ma io sono io. E so sempre, esattamente, quello che faccio». Lei rise ancora, gaiamente, con fare d’intesa. Mosse la mano di scatto. Le unghie corsero leggere sul braccio di Jackson, ma quando arrivarono al gomito lasciarono un segno, e l’unghia del medio, girando, fece uscire una goccia di sangue. Durstine se la portò alle labbra, e lo baciò frettolosamente sulla bocca. «Ti rivedrò qui, fra poco. Devo cambiarmi… Normalmente, potresti non riconoscermi, vestita. Ma questa volta ci riuscirai. Te lo prometto. Perché, vedi, tra tutta la gente del mondo, io sono quella che ti capisce meglio. Ricordalo, quando altre ti tenteranno». Si allontanò di qualche passo e girò la testa per un attimo. «Ricorda. Quando le altre ti ronzeranno intorno e la piccola Pall ti guarderà sgranando gli occhi. Ricorda che io sono l’unica». E se ne andò, con movimenti precisi, intensi.
Jackson la seguì con lo sguardo, pensando.
II
La gente cominciava ad affluire nella Spina; le api ascoltavano, e gli exteroflettori sfrecciavano di qua e di là, creando o portando tutto ciò che la gente chiedeva. Incominciò la musica. Kringle entrò, andò dall’altra parte della tenda e sedette, solo, sul pavimento.
Jackson notò che i presenti non erano molto vestiti. Oh, Elyria portava cerchi di sottilissimo filo metallico intorno al collo, in una cascata d’oro, e Donder aveva un paio di occhiali neri dalla montatura di corno, e lenti piatte. Lois s’era coperta un braccio di una maglia d’argento fino alla spalla. E così via. Ma era la luce che li decorava. Mentre si muovevano avanti e indietro, parlando, gesticolando, incominciando a riscaldarsi, acquisivano e smarrivano motivi ornamentali che scorrevano sulla loro pelle.
Non mangiavano e non bevevano molto. Parlavano, soprattutto. Alcuni erano seduti immobili, con gli occhi semichiusi, la testa china, quasi fossero completamente perduti nei loro mondi personali. Spesso qualcuno gli sorrideva, alzava una mano, o sembrava compiaciuto di vederlo lì. Ma nessuno veniva a conversare. Erano molto più interessati a ciò che passava per le loro menti, e intanto attendevano che la festa si animasse davvero.
Fu Vixen a dare l’avvio. Se ne stava un po’ in disparte, aggrottando la fronte e dondolandosi leggermente. Jackson l’aveva guardata, incuriosito, mentre attendeva di vedere cosa sarebbe accaduto quando fosse entrata Durstine… e anche Pall. La stava guardando quando all’improvviso lei schioccò le dita e disse, felice: «Ci sono!».
«Cosa? Che cosa?», chiese Ginger; e quando Vixen sorrise, le teste cominciarono a girarsi verso di lei.
Vixen avanzò di due o tre passi, camminando in modo strano. Sembrava acquisire sicurezza; i suoi movimenti diventavano più pronunciati e regolari, e un sorrisetto le aleggiava agli angoli della bocca. Andò al centro del cerchio formato dal pavimento della Spina. Aveva attratto l’attenzione di tutti: e la luce cominciò a cambiare. Dai drappeggi cristallini cominciò a irradiarsi una fosforescenza, e un dolce chiarore dorato formò una cupola, partendo dal pavimento e salendo lungo le pareti interne, fino a circondarli tutti di un liquido splendore trasparente.
«Jackson! Jackson… Guarda!».
Vixen venne verso di lui, con una mano sul fianco, l’altra protesa in un arco aggraziato sopra la testa, con il palmo piatto e le dita alzate. Gli sorrise e poi alzò l’altra mano, sollevò qualcosa d’immaginario dalla sommità della testa. Si piegò leggermente, tendendo le mani. «Acqua, Honor?».
Tutti scoppiarono in applausi. Vixen sorrise modestamente, rise un poco e si ritirò. Evidentemente, era stata una specie di pantomima. Ma non era così che si portava l’acqua: l’acqua si reggeva tra le braccia.
«Bene! È stato un buon inizio, non ti sembra?», chiese Kringle, battendogli la mano sul dorso. «Direi che ha espresso veramente l’idea, no?». Scrutò un poco più attentamente il volto di Jackson. «No? Be’, forse c’era qualche piccola imperfezione». Un gruppetto di amici s’era raccolto intorno a Vixen per congratularsi con lei. «Ma, certamente, come inizio non era male», disse Kringle.
Si fece avanti Donder. Si fermò al centro del cerchio e alzò la mano con fare negligente. La folla tacque. Donder trasse un profondo respiro e cominciò a parlare.
«Muori.
Nasci, fai chiasso, sii libero, ma
muori. Coloro di noi che nascono
figli della Spina lo succhiano con il latte.
Noi ti odiamo, Spina.
Ruttiamo contro di te la tua parola».
S’inchinò a Jackson, con il volto accaldato e un velo di sudore sulla fronte.
Gli altri cominciarono ad applaudire. Poi uno ricordò qualcosa e prese a schioccare le dita. L’interno della Spina crepitò di quel suono.
«E questo, Jackson?», gli gridò Donder. «Sintetizza tutto, no?».
Jackson chiese a Kringle: «Intende ciò che proviamo per la Spina? Voglio dire, pensa che si dovrebbe provare questo, per ciò che ti tiene in vita?».
Un lievissimo cipiglio si incise di nuovo tra le sopracciglia di Kringle. «Credo che se esaminassi i tuoi processi interni, scopriresti che ci è andato molto più vicino di quanto tu sia disposto ad ammettere». Alzò la voce e gridò a Donder: «Bellissimo, figliolo! E adesso, gente», disse a tutti gli altri, «dobbiamo ricordare che il nostro ospite non conosce alla perfezione le nostre consuetudini. Ma sappiamo che imparerà in gran fretta».
Comp disse all’orecchio di Jackson: «Ascolta, hanno bisogno del feedback della tua approvazione, o la festa perderà ogni sapore».
«Oh», disse Jackson.
«Guardate! Ecco Pall!». Clark indicò l’entrata.
Lei entrò timidamente, tenendo le mani incrociate davanti a sé. Dalla vita le pendeva un drappo lacero, bianco… un bianco puro, incontaminato, alto su un fianco e abbassato sull’altro, con i fili strappati che le arrivavano a metà coscia. Si avviò verso Jackson, guardando a terra. Quando gli fu vicina, Jackson vide che aveva granelli di sabbia tra i capelli, e sparsi qua e là sul corpo, a chiazze. Avevano contorni definiti, e non erano più scure, sulle ginocchia; non c’erano minuscoli anelli di sabbia intorno ai polsi, e non c’era una chiazza più profonda alla base del collo, nell’incavo dove il sudore avrebbe fatto scorrere la sabbia durante la giornata.