— In bocca al lupo.
— Crepi.
Raggiunsero la macchina di Roger, dove Pirrie li stava aspettando. Roger mise in moto, passò lentamente accanto all’automobile di John, e proseguì lungo la strada deserta. Avevano fatto una perlustrazione durante la serata, e sapevano che c’era una curva prima del posto di blocco. Si fermarono in quel punto. John e Pirrie scivolarono giù dalla macchina e scomparvero nel buio. Cinque minuti dopo Roger tornò a mettere in moto e avanzò verso lo sbarramento con una rumorosa accelerata.
Durante la perlustrazione avevano visto che il posto di blocco era tenuto da un caporale e due soldati. Due dei militari dovevano essere addormentati; il terzo, con un mitra appeso in spalla, stava passeggiando dietro la barriera.
La macchina si fermò con una frenata rumorosa. La guardia sollevò l’arma, pronto a sparare. Roger sporse la testa dal finestrino.
— Che cosa diavolo avete messo in mezzo alla strada? — gridò. — Spostate subito quella roba. — Parlava con la voce impastata, da ubriaco.
— Mi spiace — rispose il soldato — la strada è chiusa al traffico. Tutte le strade che escono da Londra sono chiuse.
— Bene, e tu riaprile! Apri questa, almeno. Io voglio andare a casa.
Dalla sua posizione nel fossato che fiancheggiava la strada a sinistra, John osservava attento la scena. Per un motivo che non sapeva spiegare, non provava nessuna tensione particolare. Solo ammirazione per la rumorosa esibizione di Roger.
Un’altra figura comparve accanto alla prima, e dopo un attimo, una terza. I fari della macchina illuminavano la strada, e le sagome dei tre militari che stavano dietro lo sbarramento si delineavano nitide nella notte. Una seconda voce, forse quella del caporale, gridò: — Stiamo eseguendo degli ordini, e non vogliamo storie. Torni indietro. Intesi?
— Intesi un corno! Cosa credete di fare voi soldatini, a ingombrare le strade in questo modo?
— Non sono affari suoi — gridò il caporale minaccioso. — Le abbiamo intimato di tornare indietro. Non voglio discussioni.
— Perché non venite a girarmi voi la macchina? — disse Roger in tono insolente. — Ci sono troppi militari in questa nazione. Buoni soltanto a mangiare le nostre razioni.
— D’accordo, amico — disse il caporale. — Come preferisce. — Fece un cenno ai due compagni. — Venite, giriamo la macchina di questo simpaticone.
Scavalcarono lo sbarramento e avanzarono al centro della strada, nella luce dei fari.
— La Guardia avanza! — gridò Roger.
In quel momento, all’improvviso, John si sentì prendere dal nervosismo. La linea bianca al centro della strada segnava il confine tra il suo territorio e quello di Pirrie. Il caporale e la prima sentinella erano dall’altra parte. Il terzo soldato era dalla sua. Avanzavano, tenendo una mano davanti agli occhi per ripararsi dalla luce dei fari.
Sentì il sudore scendergli lungo le braccia e le gambe. Sollevò il fucile cercando di tenerlo fermo. Fra poco avrebbe dovuto premere il grilletto e uccidere il suo uomo, uno sconosciuto innocente. In guerra aveva ucciso, però mai così da vicino, e mai un suo compatriota. Il sudore cominciò a scendergli anche dalla fronte, e lui temette che gli entrasse negli occhi. Ma non volle rischiare di perdere la mira per asciugarsi. “È una testa d’argilla appesa nel baraccone di una fiera…” si disse. “Una testa d’argilla che devo colpire, per Ann, per Mary e per Davey.” Si accorse di avere la bocca arida.
La voce di Roger tagliò ancora una volta il silenzio della notte. Fu uno scoppio secco.
— Adesso!
Il primo colpo echeggiò quando Roger non aveva ancora finito di pronunciare la parola. Gli altri seguirono immediatamente. John rimase immobile, con il fucile sempre puntato, mentre i tre uomini cadevano, nella luce dei fari. Rimase immobile finché non vide Pirrie uscire dal fossato opposto e chinarsi sui soldati. Poi abbassò il fucile e salì sulla strada.
Roger smontò. Pirrie guardò John. — Mi devo scusare per averle rubato il bersaglio — disse con voce fredda, come sempre. — Erano disposti troppo bene a mio favore.
— Sono morti? — chiese Roger.
Pirrie fece un cenno affermativo. — Naturalmente.
— Allora nascondiamoli subito nel fossato — disse Roger. — Poi scostiamo la barriera. Non credo che ci possa sorprendere qualcuno, ma è meglio non correre rischi.
Il corpo che John trascinò era pesante. In un primo momento evitò di guardare la faccia del soldato. Poi, fuori dal fascio luminoso, lo volle vedere. Era un ragazzo, vent’anni al massimo, con la faccia liscia e con un buco rosso in una tempia. Gli altri due si erano già liberati del loro carico e stavano spostando lo sbarramento. Gli voltavano la schiena. Allora si chinò a baciare la fronte del ragazzo, poi lo fece scivolare delicatamente nel fossato.
Non ci misero molto a togliere la barriera. Dall’altra parte c’erano sparsi gli zaini dei tre militari. Gettarono tutto nel fossato. Poi Roger raggiunse di corsa la macchina e suonò il clacson. Lo tenne premuto per tre o quattro secondi, lasciando che il suono si allontanasse nella notte.
Dopo qualche minuto sentirono il rumore delle due macchine che si avvicinavano. Comparve prima la Vauxhall di John, seguita subito dalla Ford di Pirrie. La Vauxhall si fermò. Ann si fece da parte per lasciare il volante al marito. John schiacciò l’acceleratore con forza.
— Dove sono? — domandò Ann guardando dal finestrino.
— Nel fosso.
Dopo questo, guidò per chilometri senza parlare.
Secondo quanto avevano stabilito, cercarono di mantenersi lontani dalle strade principali. Si fermarono su una via isolata che correva lungo un bosco, nelle vicinanze di Stapleford. Lì, seminascosti sotto le querce, bevvero la cioccolata che si erano portati nei thermos. Tennero accese soltanto le luci interne di una macchina. La Citroën di Roger aveva i sedili ribaltabili, e le tre donne si sdraiarono lì. I ragazzi si sistemarono sui sedili posteriori delle altre due macchine. Gli uomini presero delle coperte e andarono a distendersi sotto gli alberi.
Pirrie lanciò l’idea dei turni di guardia. Roger rimase incerto. — Non penso che si corrano rischi, in questo bosco. E abbiamo tutti bisogno di dormire. Domani ci aspetta un lungo viaggio. — Si rivolse a John. — Che cosa ne pensi?
— Dormiamo… è meglio.
John si distese sul ventre, una posizione imparata durante la vita militare. La più comoda, quando si doveva dormire sulla terra nuda. Questa volta gli parve che il disagio fisico fosse minore di quanto ricordasse.
Ma stentò a addormentarsi. E quando il sonno lo vinse, fu disturbato da sogni insensati.
6
Saxon Court sorgeva in cima a un’altura che da quelle parti era considerata una collina. Come molte scuole aveva sede in una vecchia villa che da lontano conservava ancora una certa eleganza. Un viale di accesso molto ben tenuto (Davey aveva confidato che la manutenzione del viale era una punizione disciplinare inflitta agli allievi) passava in mezzo a un ampio terreno bruciato che una volta era stato il campo da gioco degli allievi, e portava a due edifici che facevano ala a una costruzione centrale, più antica e molto più brutta.
Dato che tre macchine in fila potevano far nascere dei sospetti, decisero che solo quella di John avrebbe raggiunto la scuola. Le altre si sarebbero fermate a una certa distanza dall’inizio del viale. Steve volle a tutti i costi essere presente al momento dell’incontro con Davey, e Olivia decise di andare con lui. Insieme a John c’erano anche Ann e Mary.
Il direttore non era nel suo studio. La porta era aperta, e la stanza sembrava la sala di un trono vacante, affacciata su un palazzo disadorno. Nell’atrio e per le scale si muoveva una frotta di ragazzi. Chiacchieravano a voce alta ed eccitata, cosa che John interpretò come segno di insicurezza. Da una porta che si apriva sull’atrio veniva un mormorio di verbi latini, ma ce n’erano altre da cui uscivano soltanto schiamazzi.