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Ci fu silenzio e il fragore del Lepe sembrava un intruso. Il nonno girò lo sguardo per la valle che i Beverley coltivavano da un secolo e mezzo, poi guardò il ragazzo che gli stava accanto.

— Non vedo perché aspettare tanto per conoscerci a fondo, David — disse. — Ti piacerebbe coltivare questa valle quando sarai grande?

— Più di qualsiasi altra cosa al mondo.

— Allora sarà tua. La fattoria ha bisogno di un proprietario, e non credo che a tuo fratello possa piacere questa vita.

— Vuole diventare ingegnere — disse David.

— E con tutta probabilità diventerà un ottimo ingegnere. Tu cosa pensavi di fare?

— Non ci ho ancora pensato.

— Forse non lo dovrei dire, dato che non ho mai visto altro genere di vita oltre quella che si svolge al mercato di Lepeton, ma non ho mai sentito di un’altra vita che dia tanta soddisfazione. Questa è terra buona, David, e rappresenta una sicurezza per l’uomo che si accontenta della sua compagnia e di quella dei pochi vicini. Nel Top Meadow ci sono delle lastre di pietra sottoterra. Sono la testimonianza che questa valle, nei tempi passati, è stata utilizzata come fortezza. Capisco che oggi, contro cannoni e aerei, non si potrebbe fare altrettanto. Ma tutte le volte che sono andato fuori ho sempre avuto la sensazione che, al mio rientro, non appena varcato lo stretto passaggio, mi sarei potuto chiudere la porta alle spalle.

— Anch’io ho avuto la stessa sensazione, quando siamo arrivati — disse David.

— Mio nonno — disse il nonno di David — si è fatto seppellire nella valle. Anche allora non era molto normale, ma in quei giorni c’erano cose che si dovevano accettare, anche se piacevano poco. Oggi è assolutamente impossibile farlo, maledizione! Un uomo dovrebbe avere il diritto di farsi seppellire nella sua terra! — Guardò le spighe di grano ondeggianti. — Ma non avrò grande rimpianto ad andarmene, se posso lasciare la terra al mio stesso sangue.

Un pomeriggio, John, raggiunta una cima del versante sud, dopo essersi fermato ad ammirare il panorama, tornò a scendere verso la valle.

Il Lepe, dal punto in cui sbucava dal terreno fino al punto in cui usciva dalla valle, premeva contro i pendii meridionali della collina, che per questo motivo potevano essere raggiunti soltanto risalendo il versante all’estremità orientale della valle. Ma il ragazzo si era accorto che, una volta sopra il fiume, sarebbe potuto scendere fino a pelo dell’acqua. Dall’altro versante aveva visto una spaccatura nella roccia. Una spaccatura che poteva essere l’ingresso di una grotta.

Scese con agilità e con prudenza perché, anche se pronto di movimenti e di pensiero, non era un temerario. Raggiunse alla fine la spaccatura, cinque metri circa sopra le scure acque ribollenti, e scoprì che si trattava soltanto di una semplice spaccatura. Con un gesto di disappunto si guardò attorno in cerca di qualche altra meta di esplorazione. Sotto di lui, quasi a pelo dell’acqua, la roccia formava una specie di davanzale. Mettendosi a sedere su quella roccia forse gli sarebbe stato possibile, lasciando penzolare le gambe, immergere i piedi nell’acqua. Non sarebbe stato eccitante quanto scoprire una grotta, ma era sempre meglio di un ritorno deluso alla fattoria.

Riprese la discesa, con maggiore cautela. Il pendio era ripido, e il Lepe lanciava un ruggito minaccioso. La roccia, quando l’ebbe finalmente raggiunta, risultò piccolissima. Adesso, però, il ragazzo era ossessionato dalla sua idea: mettere almeno un piede nell’acqua. Appoggiando la schiena al fianco della collina, si chinò per slacciare il sandalo del piede destro. Nel movimento il piede sinistro scivolò sulla roccia levigata. Spaventato, e rendendosi conto che stava cadendo, fece un gesto brusco, ma le sue mani non trovarono appiglio. E le acque del Lepe, gelide anche in piena estate, e sferzanti, lo travolsero.

Nuotava molto bene, per la sua età, ma non poteva lottare contro la violenza del Lepe. La corrente lo trascinò nelle profondità del letto che il fiume si era scavato secoli prima che i Beverley o altri fossero venuti a coltivare nella valle. Rotolò come un ciottolo, premuto, schiacciato, quasi che l’acqua volesse strizzargli il respiro e la vita. Non si rese più conto di niente, solo della violenza con cui veniva trascinato via, e delle furiose pulsazioni del suo cuore.

Poi, all’improvviso, vide che l’oscurità diminuiva. Raggi di sole filtrarono attraverso le acque sempre turbinose, ma non più molto profonde. Raccogliendo tutte le forze, si mise in posizione eretta, e uscì all’aria. Respirò con affanno, e si accorse di essere quasi al centro del fiume. Non gli fu possibile mantenersi in piedi, perché la corrente era troppo forte, ma un po’ camminando e un po’ nuotando cercò di non finire nuovamente sottacqua, mentre il Lepe continuava a trascinarlo verso la gola che segnava la fine della valle.

Fuori dalla valle il fiume cominciò a scorrere con minore violenza. Dopo un centinaio di metri le acque diventarono relativamente tranquille. John riuscì a muovere qualche goffa bracciata e raggiunse la riva. Si arrampicò sulla terraferma, esausto, e guardò le acque ribollenti che lo avevano trascinato tanto lontano in così breve tempo. Stava ancora con gli occhi fissi alle acque del fiume quando sentì il rumore degli zoccoli di un cavallo che avanzava lungo la strada. Dopo un attimo gli giunse all’orecchio la voce del nonno.

— Ehi, John! Hai fatto una nuotata?

John si alzò lentamente e avanzò traballando verso il calesse. Il nonno gli tese le braccia e lo fece salire.

— Hai passato una bella avventura! Sei cascato in acqua?

Ancora sconvolto, John raccontò quanto ricordava, a bassa voce, con frasi smozzicate. Il vecchio lo ascoltò, attento.

— Pendaglio da forca! — disse poi. — Un adulto non avrebbe avuto molte probabilità di uscirne vivo. E dici di essere riemerso con la testa appoggiando i piedi sul fondo? Mio padre era solito dire che esisteva un fondale basso al centro del fiume, ma nessuno ha mai voluto controllare. Lungo le due rive l’acqua è molto profonda.

Guardò il ragazzo. Stava tremando. Più per il ricordo dell’esperienza appena vissuta che per qualsiasi altro motivo.

— Be’, è inutile stare qui tutto il pomeriggio a chiacchierare. Andiamo subito alla fattoria per prendere degli abiti asciutti. Corri, Flossie!

Nell’attimo in cui il nonno fece schioccare la frusta, John ritrovò la voce.

— Nonno… non dire niente alla mamma. Per favore!

— Com’è possibile? — disse il vecchio. — Vedrà che sei inzuppato fino alle ossa.

— Potrei asciugarmi stendendomi al sole.

— Ah, non al sole che abbiamo questa settimana. Però… non vuoi far sapere alla mamma che hai fatto un bagno. Hai paura di una scenata?

— No.

I loro occhi s’incontrarono.

— Allora — disse il nonno alla fine — ricorda che sei in debito di un segreto, marmocchio. E se andassimo dagli Hillen? Da qualche parte ti dovrai pure asciugare.

— Sì — disse John. — Per me va bene. E… grazie, nonno.

Le ruote del calesse scricchiolarono sui sassi della strada mentre passavano attraverso la gola, e la fattoria degli Hillen compariva in distanza. Il vecchio ruppe il silenzio in cui si erano chiusi.

— Quindi, vuoi fare l’ingegnere, tu?

John staccò gli occhi dall’affascinante visione del Lepe che scorreva ribollendo.

— Sì, nonno.

— Non ti piacerebbe fare il contadino?

— Non in modo particolare — disse John, cautamente.

— No, penso proprio di no — disse il nonno con un sospiro di sollievo. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma cambiò idea. Quando furono vicini ai covoni della fattoria degli Hillen disse: — Ne sono felice. Io amo la terra più di chiunque altro, ma ci sono dei casi in cui il possesso della terra diventa un pericolo. La migliore terra del mondo perde ogni valore se porta cattivo sangue tra fratelli.