Il pensiero di scoprire qualcosa su Albert andò ad inserirsi alla fine della sua lista delle cose da fare.
«TIENI QUESTA» disse la Morte e gli mise in mano una falce, mentre saliva con un balzo su Binky. La falce sembrava quasi normale, eccetto che per la lama: essa era tanto sottile che Morty ci poteva vedere attraverso, un pallido bagliore azzurrognolo nell’aria che era in grado di tagliare la fiamma e mozzare il suono. La tenne con grande cautela.
«BENE, RAGAZZO» disse la Morte. «SALTA SU. ALBERT, NON CI ASPETTARE ALZATO.»
Il cavallo uscì al trotto dal cortile per balzare nel cielo.
Ci sarebbe dovuto essere un lampo oppure un affollamento di stelle. L’aria si sarebbe dovuta sollevare in spirali e trasformarsi in scintille acceleranti come succede normalmente nei comuni iperbalzi transdimensionali di ogni giorno. Ma quella era la Morte, che dominava l’arte di andare in ogni luogo senza ostentazione e poteva scivolare fra le diverse dimensioni con la stessa facilità con la quale poteva passare attraverso una porta chiusa ed essi si mossero quindi, ad un galoppo tranquillo, attraverso canyon di nuvole e oltre montagne ondeggianti di cumuli, finché esse non si aprirono di fronte a loro e apparve il Disco, sotto, che si crogiolava al sole.
«QUESTO È IL MOTIVO PER CUI IL TEMPO È RELATIVO» disse la Morte quando Morty lo indicò col dito. «NON È REALMENTE IMPORTANTE.»
«Ho sempre pensato che lo fosse.»
«LA GENTE PENSA CHE LO SIA SOLTANTO PERCHÉ LO HA INVENTATO» disse la Morte con tono serio. Morty ritenne che l’affermazione fosse alquanto trita, ma decise di non mettersi a discutere.
«E adesso che cosa faremo?» chiese.
«C’È UNA PROMETTENTE GUERRA IN KLATCHISTAN» disse la Morte. «SCOPPI DI PARECCHIE EPIDEMIE, UN ASSASSINIO PIUTTOSTO IMPORTANTE, SE PREFERISCI.»
«Come, un omicidio?»
«GIÀ, DI UN RE.»
«Oh, i re» disse Morty mettendo da parte la questione. Conosceva i re. Una volta all’anno arrivava a Sheepridge una compagnia di attori girovaghi, o almeno ambulanti, e le commedie che recitavano riguardavano invariabilmente dei re. I re si uccidevano sempre l’un l’altro, oppure venivano uccisi. Le trame erano alquanto complicate e comprendevano false identità, veleni, battaglie, figli perduti da lungo tempo, fantasmi, streghe e, di solito, una marea di pugnali. Dato che risultava chiarissimo che essere un re non era affatto una scampagnata era davvero sorprendente che metà degli attori tentassero visibilmente di diventarlo. Il concetto di Morty della vita di palazzo era leggermente confuso, ma si immaginava che nessuno vi potesse dormire sonni tranquilli.
«Mi piacerebbe abbastanza vedere un re vero» disse. «Hanno sempre in testa la corona, diceva mia nonna. Perfino quando vanno al gabinetto.»
La Morte rifletté seriamente su questo punto.
«NON ESISTE ALCUN MOTIVO TECNICO PER CUI NON DOVREBBERO» ammise. «TUTTAVIA, PER QUANTO RIGUARDA LA MIA ESPERIENZA PERSONALE, GENERALMENTE NON SUCCEDE.»
Il cavallo turbinò su se stesso e la vasta scacchiera pianeggiante della pianura di Sto accelerò sotto di essi alla velocità del lampo. Era un paese ricco, pieno di limo, di campi di cavoli e di minuti e lindi regni i cui confini si contorcevano come serpenti mentre piccole guerre formali, patti matrimoniali, complesse alleanze e l’occasionale morso della sciatta cartografia cambiavano la sagoma politica del territorio.
«Questo re» chiese Morty mentre una foresta sfrecciava sotto di loro «è buono o cattivo?»
«NON MI PREOCCUPO MAI DI QUESTE COSE» disse la Morte. «NON È PEGGIORE DI QUALSIASI ALTRO RE, ALMENO LO IMMAGINO.»
«Ha condannato a morte delle persone?» domandò Morty e, ricordando poi con chi stava parlando, aggiunse «esclusi i presenti, ovviamente.»
«A VOLTE. CI SONO DELLE COSE CHE DEVI NECESSARIAMENTE FARE, QUANDO SEI UN RE.»
Una città scivolò sotto di loro, ammassata attorno ad un castello costruito su un affioramento roccioso che spuntava dalla pianura come una pustola geologica. Era una delle grandi rocce delle distanti montagne Ramtop, spiegò la Morte, lasciata lì dai ghiacci in ritirata nei giorni leggendari in cui i Giganti dei Ghiacci avevano mosso guerra agli Dei e avevano spinto i loro ghiacciai attraverso il territorio nel tentativo di congelare l’intero mondo. Alla fine avevano comunque lasciato perdere, e avevano riportato le loro mandrie luccicanti nelle terre nascoste fra le montagne dai crinali affilati come rasoi vicini al Centro. Nessuno, nelle pianure, aveva mai saputo perché lo avessero fatto: la generazione dei giovani della città di Sto Lat, quella che si trovava attorno alla roccia, sosteneva all’unanimità che fosse successo in quanto quel posto era mortalmente noioso.
Binky trottò verso il basso sul nulla e atterrò sul lastricato della torre più alta del castello. La Morte smontò e disse a Morty di tirare fuori il sacco del foraggio.
«La gente non noterà che c’è un cavallo quassù?» chiese, mentre si dirigevano verso una rampa di scale.
La Morte scosse la testa.
«TU CREDERESTI ALLA POSSIBILITÀ CHE CI SIA UN CAVALLO IN CIMA A QUESTA TORRE?» domandò.
«No. Non si riuscirebbe a farlo salire da queste scale» disse Morty.
«BENE, E ALLORA?»
«Oh. Ho capito. La gente non vuole vedere quello che non è possibile che esista.»
«BEN DETTO.»
Adesso stavano camminando lungo un ampio corridoio alle cui pareti erano appesi grandi arazzi. La Morte infilò una mano nel vestito e tirò fuori una clessidra, guardandola attentamente nella luce soffusa.
Era di foggia particolarmente raffinata, il vetro era abilmente sfaccettato ed era imprigionato in una cornice intagliata di legno e ottone. Le parole "Re Olerve il Bastardo" vi erano profondamente incise dentro.
La sabbia che si trovava all’interno scintillava in modo strano. Non ce n’era rimasta molta.
La Morte canticchiò fra sé e riinfilò la clessidra nel recesso, qualunque esso fosse, in cui era stata precedentemente contenuta.
Svoltarono ad un angolo e sbatterono contro una vera e propria parete di suono. Lì c’era una grande sala piena di persone, sotto una nuvola di fumo e chiacchiere che si innalzava su fino alle ombre dei vessilli conquistati in guerra, fissati al soffitto. Nella galleria, un trio di menestrelli stava cercando di fare del proprio meglio per essere udito, senza successo.
La comparsa della Morte non sollevò grande agitazione. Un lacché che si trovava presso la porta si voltò verso di lei, aprì la bocca e quindi corrugò la fronte in maniera distratta, mettendosi a pensare a qualcos’altro. Un limitato numero di cortigiani gettarono sguardi nella loro direzione, ma i loro occhi perdevano immediatamente la messa a fuoco mentre il buon senso teneva a bada gli altri cinque sensi.
«ABBIAMO POCHI MINUTI» disse la Morte, prendendo un bicchiere da un vassoio che le passava davanti «MISCHIAMOCI A LORO.»
«Non possono vedere nemmeno me!» disse Mort. «Ma io sono reale!»
«LA REALTÀ NON È SEMPRE QUELLO CHE SEMBRA» rispose la morte. «COMUNQUE, SE NON VOGLIONO VEDERE ME, CERTAMENTE NON VOGLIONO VEDERE TE. QUESTI SONO ARISTOCRATICI, RAGAZZO. SONO BRAVISSIMI NEL NON VEDERE LE COSE. PERCHÉ MAI C’È UNA CILIEGINA SU UNO STUZZICADENTI IN QUESTO DRINK?»