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La Morte guardò le tre clessidre che teneva in mano.

«STAVO QUASI PENSANDO DI INVIARE IL RAGAZZO DA SOLO» disse.

Albert consultò il suo librone.

«Be’, Goodie non dovrebbe creare problemi e l’Abate è quello che potremmo definire un uomo con una discreta esperienza in materia» disse. «Peccato per la principessa. Soltanto quindici anni. Potrebbe essere una cosa delicata.»

«È VERO. È UN PECCATO.»

«Padrona?»

La Morte rimaneva in piedi con la terza clessidra in mano, fissando pensosamente il gioco di luci sulla sua superficie. Sospirò.

«UNA COSÌ GIOVANE…»

«Si sente bene, padrona?» chiese Albert con voce molto preoccupata.

«IL TEMPO, COME UN FIUME CHE SCORRE PERENNEMENTE, SOPPORTA TUTTO QUESTO…»

«Padrona!»

«COSA?» chiese la Morte uscendo dallo stato di malinconia.

«Ha un po’ esagerato ultimamente, padrona, ecco di che si tratta…»

«DI CHE VAI BLATERANDO, UOMO?»

«Ha uno strano atteggiamento, padrona.»

«SCIOCCHEZZE. NON MI SONO MAI SENTITA MEGLIO. ADESSO, DI CHE STAVAMO PARLANDO?»

Albert alzò le spalle e sbirciò le voci sul librone.

«Goodie è una strega» disse. «Si potrebbe irritare un po’ se lei inviasse Morty.»

Tutti i praticanti di arti magiche avevano il diritto, nel momento in cui la loro sabbia fosse terminata, di essere visitati dalla Morte in persona, piuttosto che da un suo qualche impiegato di second’ordine.

Sembrò che la Morte non avesse nemmeno sentito quello che aveva detto Albert. Stava fissando nuovamente la clessidra della principessa Keli.

«CHE COS’È QUELLA SENSAZIONE DI MALINCONICO RAMMARICO CHE SI PROVA ALL’INTERNO DELLA TESTA PER IL FATTO CHE LE COSE STANNO NEL MODO IN CUI SEMBRANO STARE?»

«Tristezza, padrona. Almeno penso. Adesso…»

«IO SONO TRISTEZZA.»

Albert rimase in piedi a bocca aperta. Alla fine riuscì a riprendersi tanto da essere in grado di farfugliare «Padrona, stavamo parlando di Morty!»

«MORTY CHI?»

«Il suo apprendista, padrona» disse pazientemente Albert. «Quel giovanotto alto.»

«CERTO. BENE, MANDEREMO LUI.»

«È già pronto per andare da solo, padrona?» chiese Albert con aria dubbiosa.

La Morte rifletté. «CE LA PUÒ FARE» rispose alla fine. «È UN TIPO SVEGLIO, IMPARA VELOCEMENTE E POI» aggiunse «LE PERSONE NON POSSONO PRETENDERE CHE IO CORRA LORO DIETRO PER TUTTO IL TEMPO.»

Morty fissò con sguardo vacuo le tende di velluto che si trovavano a pochi centimetri dai suoi occhi.

"Sono passato attraverso un muro" pensò. "Ed è impossibile."

Spostò di lato, con grande circospezione, le tende in modo da vedere se ci fosse una porta nascosta da qualche parte, ma non c’era nulla oltre l’intonaco grumoso che si era staccato in determinati punti per mettere a nudo dei mattoni ammuffiti, ma inequivocabilmente solidi.

Lui spinse, tanto per provare. Era abbastanza evidente che non sarebbe stato in grado di uscire di nuovo da quella parte.

«Benissimo» disse alla parete. «E adesso?»

Una voce dietro di lui disse: «Ehm. Scusi?»

Lui si voltò lentamente.

Raggruppati attorno alla tavola che si trovava al centro della stanza, c’era una famiglia di Klatchiani formata da padre, madre, una mezza dozzina di bambini di dimensione decrescente. Otto paia di occhi spalancati erano fissati su di lui. Un nono paio, appartenente a un nonno anziano di sesso indefinibile, non lo erano, in quanto il loro proprietario aveva colto l’occasione dell’interruzione per portar via una bella porzione dalla ciotola comune di riso, ritenendo che un pesce bollito in mano valesse più di una qualsiasi quantità di manifestazioni inspiegabili e il silenzio venne sottolineato dal rumore di una robusta masticazione.

In un angolo della stanza affollata c’era un tempietto ad Offler di Klatch, il Dio Coccodrillo dalle sei zampe. Stava ghignando proprio come la Morte, a parte il fatto che la Morte non aveva uno stormo di uccelli sacri che gli portavano notizie dei suoi fedeli e, come compenso, aveva anche i denti puliti.

I Klatchiani stimavano l’ospitalità al di sopra di ogni altra virtù. Mentre Morty si guardava attorno, la donna prese un altro piatto dalla mensola che si trovava dietro di lei e cominciò silenziosamente a riempirlo con i contenuti della grossa terrina, strappando un pezzo di pesce gatto dalle mani del vecchio dopo una breve colluttazione. Gli occhi della donna, orlati di nero col carboncino, rimanevano comunque fissi su Morty.

Era stato il padre quello che aveva parlato. Morty si inchinò con atteggiamento nervoso.

«Mi spiace» disse. «Ehm, sembra che io sia passato attraverso questo muro.» Era un’affermazione che non reggeva, doveva ammetterlo.

«Come, scusi?» chiese l’uomo. La donna, con i bracciali che tintinnavano, aggiunse con cura qualche grano di pepe sul piatto e vi spruzzò sopra una salsa verde scura che Morty temette di avere riconosciuto. L’aveva provata qualche settimana prima e, sebbene si trattasse di una ricetta complicata, un singolo assaggio era stato sufficiente per sapere che essa era a base di interiora di pesce marinate per parecchi anni in un vaso di bile di squalo. La Morte aveva detto che era un gusto da acquisire. Morty aveva deciso di non volersi sforzare troppo.

Cercò di svicolare attorno ai lati della stanza verso l’arco della porta schermato da una tenda a palline, mentre tutte le teste si giravano per guardarlo. Tentò di fare un sorrisetto storto.

La donna domandò: «Come mai il demone mostra i suoi denti, uomo della mia vita?»

Il marito le rispose: «Potrebbe essere fame, luna dei miei desideri. Aggiungi un po’ più di pesce!»

L’antenato grugnì: «Lo stavo mangiando io, quello, figlio infame. Che sia maledetto il mondo in cui non esiste più rispetto per l’età!»

Ora il fatto era che mentre le parole penetravano nell’orecchio di Morty nel loro Klatchiano parlato, con tutti gli svolazzi e i sottili dittonghi di un linguaggio tanto antico e sofisticato da possedere quindici diversi termini per la parola "assassinio" prima che il resto del mondo fosse arrivato a comprendere il solo concetto relativo allo sfracellarsi la testa l’uno con l’altro con delle pietre, esse gli arrivavano nel cervello chiare e comprensibili come se fossero state pronunciate nella sua lingua madre.

«Non sono un demone! Sono un umano!» disse bloccandosi per lo shock quando le sue stesse parole gli emersero dalla bocca in un perfetto Klatchiano.

«Sei un ladro?» chiese il padre. «Un assassino? Per insinuarti qui in questo modo, sei forse un esattore delle tasse?» La sua mano scivolò sotto la tavola e riemerse tenendo una mannaia da macellaio con la lama affilata allo spessore di un foglio di carta. Sua moglie strillò e fece cadere il piatto stringendosi forte al petto i figli più piccoli.

Morty osservò la lama roteare nell’aria e lasciò perdere.

«Vi porto i saluti dagli estremi gironi dell’inferno» provò a dire.

Il cambiamento fu repentino e significativo. La mannaia venne abbassata e la famiglia cominciò a rivolgergli ampi sorrisi.

«Ci verrà grande fortuna se un demone viene a visitarci» disse il padre raggiante. «Qual è il tuo desiderio, o corrotta pedina dei lombi di Offler?»

«Prego?» disse Morty.

«Un demone porta benessere e fortuna all’uomo che lo aiuta» rispose l’uomo. «Come possiamo fornirti assistenza, oh, malefico fiato di cane della fossa più profonda?»

«Be’, non ho troppa fame» disse Morty «ma se sapete dove io possa procurarmi un cavallo veloce potrei arrivare a Sto Lat prima del tramonto.»

L’uomo sorrise radiosamente e si inchinò. «Conosco il posto adatto, dannosa estrusione di budella, se sarai tanto gentile da seguirmi.»