Morty si affrettò dietro di lui. Il vecchio antenato li guardò andare via con una espressione critica, mentre le mandibole masticavano ritmicamente.
«Quello sarebbe ciò che da queste parti chiamano demone?» disse. «Offler ha fatto marcire questo paese con l’umidità, perfino i demoni qui sono di terza categoria, non sono nulla in confronto ai demoni che avevamo nel Vecchio Stato.»
La donna sistemò una piccola tazza di riso nella coppia centrale di mani ripiegate della statuetta di Offler (sarebbe sparita per la mattina successiva) e indietreggiò.
«Il mio uomo ha detto che il mese scorso nel Curry Gardens ha servito una creatura che non era lì» disse. «È rimasto molto impressionato.»
Dieci minuti dopo l’uomo tornò e, in solenne silenzio, depose un mucchietto di monete d’oro sulla tavola. Esse rappresentavano una ricchezza sufficiente per acquistare una bella parte della città.
«Ne aveva un sacchetto pieno» disse.
L’intera famiglia fissò il denaro per qualche tempo. La donna sospirò.
«Le ricchezze portano con sé molti problemi» disse. «Che cosa faremo, adesso?»
«Torneremo nel Klatch» esclamò fermamente il marito «dove i nostri figli potranno crescere in un paese adeguato, fedele alle gloriose tradizioni della nostra antica razza, e gli uomini non hanno bisogno di lavorare come camerieri per malefici padroni e possono camminare a testa alta, con orgoglio. E dobbiamo partire immediatamente, fragrante bocciolo di palma da dattero.»
«Perché tanto presto, oh, indefesso lavoratore figlio del deserto?»
«Perché» rispose l’uomo «ho appena venduto il campione dei cavalli da corsa del Patrizio.»
Il cavallo non era altrettanto bello, né veloce quanto Binky, ma spazzò via le miglia sotto i suoi zoccoli e distanziò facilmente alcune guardie a cavallo che, per qualche strano motivo, sembravano essere estremamente ansiose di parlare con Morty. Presto si lasciò alle spalle i sobborghi a bidonville di Morpork e la strada si dipanò lungo il paese caratterizzato dalla fertile terra nera della pianura di Sto, creata nel corso dei secoli dalle mondazioni periodiche del grande e lento Ankh che forniva alla regione prosperità, sicurezza economica e artriti croniche.
Era anche un paesaggio tremendamente noioso. Mentre la luce si distillava passando dal colore argentato a quello dorato, Morty galoppava attraverso un territorio piatto, poco gradevole, pieno di appezzamenti piantati a cavoli da un’estremità all’altra. C’erano molte cose da dire sui cavoli. Si poteva parlare a lungo del loro cospicuo contenuto vitaminico, del loro vitale apporto di ferro, della loro ricchezza di cellulosa e del loro lodevole valore nutritivo. Nel conplesso, tuttavia, mancavano di un certo non so che: nonostante le loro rivendicazioni di essere infinitamente superiori a livello nutrizionale e morale rispetto ai… diciamo… ai narcisi, non avevano mai fornito una visuale che ispirasse la musa del poeta. A meno che il poeta non avesse fame, ovviamente. C’erano soltanto venti miglia per arrivare a Sto Lat, ma in termini di insignificante esperienza umana, sembravano duemila.
Alle porte di Sto Lat c’erano delle guardie anche se, confrontate con quelle che pattugliavano Ankh, esse avevano un aspetto mansueto e amichevole. Morty trotterellò oltre di esse e uno dei soldati, sentendosi perfettamente pazzo, gli chiese dove stesse andando.
«Temo di non potermi fermare» rispose Morty.
La guardia era nuova del mestiere e piuttosto intelligente. Fare la guardia non era esattamente quello che si era aspettato. Stare tutto il giorno in piedi con una cotta di maglia e un’ascia fissata su una lunga asta non era propriamente quello per cui si era arruolato: si era aspettato di avere avventure eccitanti, sfide, una balestra e una uniforme che non si arrugginisse sotto la pioggia.
Fece un passo avanti, pronto a difendere la città contro la gente che non rispettava gli ordini dati da un impiegato civico autorizzato. Morty osservò per benino la lama della picca che gli ondeggiava a pochi centimetri dalla faccia. Le cose si stavano complicando.
«D’altra parte» disse in tono calmo «che ne diresti se io ti facessi dono di questo bel cavallo?»
Non fu difficile trovare l’entrata del castello. Anche lì c’erano delle guardie, esse avevano balestre e una concezione di vita sensibilmente meno simpatica della prima che aveva incontrato, e poi, in ogni caso, Morty era a corto di cavalli. Girellò un po’ lì attorno finché esse non cominciarono a rivolgergli una esagerata attenzione e quindi si allontanò, sconsolato, vagando per le strade della cittadina, sentendosi molto stupido.
Dopo tutto quello che aveva passato, dopo miglia di cavoli e un posteriore che gli sembrava ora un blocco di legno, non sapeva nemmeno perché si trovasse lì. Lei lo aveva visto anche quando lui era invisibile, e allora? Significava forse qualche cosa? Certo che no. Il fatto era soltanto che lui continuava a rivedere quel volto e il barlume di speranza negli occhi di lei. Voleva dirle che tutto sarebbe andato bene. Voleva raccontarle tutto di sé e di quello che desiderava diventare. Voleva scoprire quale fosse la stanza di lei nel castello e controllarla tutta la notte finché le luci non si fossero spente. E così via.
Un po’ più tardi, un fabbro, la cui bottega si trovava in una delle viuzze che davano sulle mura del castello, sollevò lo sguardo dal proprio lavoro per vedere un ragazzotto alto e dinoccolato, piuttosto paonazzo in viso, che continuava a cercare di passare attraverso le mura.
Parecchio tempo dopo, un giovane con qualche escoriazione superficiale sulla testa entrò in una taverna della città e chiese indicazioni per arrivare dal mago più vicino.
Ancora più tardi, Morty si trovò davanti ad una casa con l’intonaco staccato che proclamava essere, su una targa di ottone annerita, la dimora di Ingneous Bentagliato, DM (Invisibile), Maestro dell’Infinito, Illuminartus, Mago di Principi, Guardiano del Sacro Portale, Se Fuori Casa Lasciare la Posta alla Signora Nugent, Porta Accanto.
Adeguatamente impressionato, nonostante il cuore gli battesse forte, Morty sollevò il pesante battaglio, che aveva la forma di una ripugnante gargolla con un grosso anello di ferro in bocca, e bussò due volte.
Si udì un breve tumulto provenire dall’interno, la tipica serie di veloci rumori domestici che sarebbero potuti, in una casa meno importante, essere stati prodotti da… diciamo… qualcuno che rovesciava i piatti sporchi del pranzo nel lavello e nascondeva la biancheria sporca alla vista.
Alla fine la porta si aprì, lentamente e misteriosamente.
«Farai bene a far finta di effere rimafto molto impreffionato» disse il battaglio con atteggiamento confidenziale, e tuttavia un po’ impedito nella pronuncia dall’anello che aveva in bocca. «Lo fa con una carrucola e un pezzo di fpago. Non è bravo negli incantefimi di apertura, vedi?»
Morty guardò la faccia metallica sogghignante. "Io lavoro per uno scheletro che può camminare attraverso le pareti" pensò fra sé. "Come potrei rimanere sorpreso da qualche cosa?"
«Grazie» disse a voce alta.
«Fei il benvenuto. Puliffiti i piedi fullo zerbino, è il giorno di libera uffita del luftraftivali.»
La grande e bassa stanza all’interno era scura, piena di ombre ed era caratterizzata principalmente da un odore di incenso, ma anche, leggermente, di cavolo bollito, di biancheria sporca e del tipo di persona che getta tutte le calze contro la parete e indossa quelle che non ci si sono conficcate. C’era una grande sfera di cristallo con una crepa dentro, un astrolabio al quale mancavano parecchi pezzi, un ottogramma piuttosto mal fatto sul pavimento e un alligatore impagliato che pendeva dal soffitto. Un alligatore impagliato costituisce, in assoluto, l’arredamento base di qualsiasi istituto di magia ben condotto. Questo sembrava non avesse particolarmente gradito la cosa.
Una tenda di palline che si trovava sulla parete opposta venne scostata di scatto con un gesto drammatico e mise in luce una figura incappucciata.